Alain Elkann, La stampa 22/3/2009, 22 marzo 2009
MI SENTO IL BECKHAM DELLA TV"
Alessio Vinci, come si trova dopo un mese di conduzione di Matrix?
«Meglio di quanto pensassi perchè la sfida era enorme e io do il meglio di me nelle sfide. Il programma andava benissimo, aveva un conduttore che è il numero uno in Italia. Ora mi sento più a mio agio in un ambiente nuovo. All’inizio ho trovato una redazione sotto choc per una separazione traumatica perchè Enrico era Matrix. Sostituire un padre non è mai facile».
Vi siete parlati con Mentana?
«Sì, prima di accettare, e poi attraverso degli sms. Mi sono assicurato prima che lui non sarebbe tornato. Il primo giorno mi ha mandato un messaggio ”Fatti onore”».
Chi l’ha convinta ad accettare?
«Alcune settimane prima della telefonata avevo incontrato i vertici di Mediaset che avevo conosciuto quattro anni prima quando Carlo Rossella voleva portarmi al Tg5. Li avevo visti per trovare sinergie tra Canale 5 e la Cnn. Quando mi hanno detto che Pier Silvio Berlusconi voleva incontrarmi e parlare di Matrix e della mia conduzione, ho capito che non era una boutade e che i tempi di decisione sarebbero stati strettissimi. Però non ho lasciato Cnn, ho chiesto una aspettativa, cosa rara negli Stati Uniti».
Il suo contratto quanto dura?
«Fino al 28 giugno. Poi è un’incognita. Non è facile licenziarsi dopo vent’anni di lavoro. Era una esperienza che dovevo provare. Io sono come Beckham che è andato a giocare per quattro mesi al Milan dal Galaxy».
Come sono ora gli ascolti e i giudizi su Matrix?
«Secondo me va bene, mi sono trovato diverse volte nella stessa agenzia paragonato a Vespa e questo è un grande onore. Dopo un mese essere comparato a lui è già un successo».
C’è molta differenza tra lavorare in una tv americana e in una italiana?
«Per Cnn ho sempre lavorato sul campo, in Iran, in Afghanistan, in Medio Oriente, in Russia. Non ho mai partecipato invece ad una riunione di redazione, ricevevo una telefonata e mi si diceva di cosa c’era bisogno. Nel giornalismo italiano mi trovo a fare il mestiere di conduttore e responsabile. Sono io che devo fare i primi passi».
Le piace fare il capo?
«Sì nella misura in cui riesco a dare ai collaboratori la voglia di lavorare. La motivazione è una cosa essenziale. Io do molto più spazio ai giornalisti e li porto in trasmissione».
Come decide gli argomenti?
«Seguendo il ritmo di Mentana, martedì e mercoledì cronaca e politica e venerdì intrattenimento. Abbiamo lanciato un nuovo sistema ”Matrix live”, cercherò di farne un appuntamento fisso e darò la possibilità a chi è a casa di mandare le domande attraverso Internet. Abbiamo fatto una prima prova con il ministro Brunetta, sono arrivate novemila email in venti minuti. Si tende a decidere dei temi delle puntate sfogliando le prime pagine dei giornali ma la televisione è più rapida e il mio sogno è che quando saremo a regime saremo noi della televisione a stilare le prime pagine e non viceversa. Con i prossimi ospiti cercheremo di fare una puntata di economia e banche e il mio sogno nel cassetto è di portare un grande americano a Matrix ma non posso ancora dire il nome».
Un gran lavoro, questo le provoca stress?
«Non vedo l’ora di vedere le mie foto di due mesi fa e oggi e vedere quanti capelli bianchi mi sono venuti come al povero Obama. Scherzi a parte la sfida più grande è seguire tanti argomenti. In una settimana per esempio puoi trovarti a parlare di sicurezza, di un caso giudiziario oppure di intervistare Gerri Scotti».
Quali sono state le reazioni dei critici televisivi al suo arrivo?
«Per sopportare l’enorme pressione e la mole di lavoro è meglio non leggere spesso quello che scrivono. Però Aldo Grasso è stato molto attento verso di me e i suoi appunti li ho trovati giusti. La grande maggioranza della critica è costruttiva di gente che conosce la televisione. Per esempio un Carlo Freccero sul Foglio».
E cosa le hanno detto?
«Freccero dice che il passaggio dal ”campo” allo studio non è automatico ma non sono sicuro che se hai in mano una trasmissione di un’ora e un quarto tu debba essere necessariamente un editorialista».
La riconoscono per strada?
«E’ stato divertente quando si è fermato uno con il motorino per chiedermi una indicazione stradale e mi ha detto: ma noi ci conosciamo? A Belgrado io ero l’unico corrispondente americano dopo i bombardamenti della Nato fino alla caduta di Milosevic e lì ero molto più riconosciuto che in Italia».
C’è una parte di improvvisazione nel suo lavoro?
«De Filippo diceva che un buon copione è quello che può essere cambiato, e quindi dipende dalle risposte che si ricevono a volte bisogna cambiare lì per lì».
Insomma è contento delle sue scelte?
«Sì e vorrei aggiungere la partecipazione del pubblico tramite Internet, con risposte in diretta alle email, e appuntamenti fissi. In America quando si è cominciato a dare spazio al giornalismo dei cittadini si è capita la grande forza di Internet nei blog. Io credo che questo tipo di giornalismo che coinvolge il pubblico sia oggi di grandissima attualità».