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 2009  marzo 22 Domenica calendario

UN DESTINO INEVITABILE COL VESTITO DELLA SCELTA


Ma oggi Alleanza Nazionale si scioglie, come il sangue miracoloso di san Gennaro, o si squaglia come il burro al calore del Re Sole, al secolo Berlusconi? An sostiene la prima ipotesi, molti suoi elettori propendono per la seconda. Io invece oggi vorrei uscire dal dilemma feltriano e prospettarvi una terza ipotesi. La fine (...)

(...) della destra politica non è né un merito di Fini e del suo partito, né una loro colpa. una fatalità. Non l’hanno voluta loro, non l’hanno decisa loro; l’hanno eseguita. Era destino. Eccolo, direte voi, l’intellettuale della Magna Grecia, il fatalista meridionale e il filosofo presocratico. Ringrazio per il complimento, che accolgo volentieri, ma vorrei giustificare quel che dico alla luce della politica presente e non interrogando i cieli, il fondo del caffè o le viscere degli animali. Se la mutazione fosse opera dei leader di An, come vi spieghereste la simultanea scomparsa della sinistra nello scenario politico e ideologico? Si sono messi d’accordo Fini e Veltroni, i colonnelli di An e della sinistra radicale? E il fatto che a sostituire la politica siano arrivati da altri mondi i Berlusconi e i Di Pietro, conferma che qualcosa di più grande è avvenuto; qualcosa che passa sopra le loro teste, altro che la decisione di un piccolo gruppo dirigente di un partito o la scelta di un leader che peraltro nella sua vita non ha mai scelto nulla ma è stato sempre scelto e orientato da altri.
Strane coincidenze

Il fatto che questo processo giunga a maturazione simultaneamente, a destra come a sinistra, come altrove, indica che i soggetti fanno parte di un gioco ma non sono i giocatori; recitano una parte in commedia ma non sono gli autori. Sono più burattini che burattinai. Se ne vanno insieme le due rugose sorelle, destra e sinistra, vanno via le ali della politica, dopo aver perso lungo la strada, la storia e l’ideologia, il progetto e la passione civile, le masse e la mobilitazione militante.

E non è neanche del tutto vero che a liquidarle tutte sia stato l’avvento di Berlusconi, su cui campano gli amici e i nemici. Non è Berlusconi che ha portato il deserto nella politica, semmai è il contrario: il deserto della politica è stato colmato dalla presenza di Berlusconi, disceso dall’etere a intrecciare economia, sport e tv alla posto della politica e della sua cultura. Berlusconi non ha americanizzato e personalizzato la politica, svuotato di contenuti e di legami ideali; ma è il frutto di quella mutazione. Frutto benedetto, per la maggioranza; frutto malefico, per l’opposizione.

Potete non credere allo Spirito del Tempo, al Destino o alle leggi della Storia, alla Provvidenza o alla Morte di Dio, e ridurre tutto a Caso e Caos più umane volontà; però poi non riuscirete a spiegare perchè da opposti versanti, in diverse condizioni, si verifica nello stesso tempo lo stesso processo di liquidazione. Non attribuite a quattro dichiarazioni di Fini la responsabilità di un evento fatale. Assolvetelo da colpe e meriti, non ne avrebbe avuto la forza. No, è un’epoca che muta, è il condensarsi di troppi fattori economici e tecnologici, culturali e civili, che cambia il paesaggio così radicalmente e si serve di piccoli agenti e funzionari d’occasione per ratificarli. Bisogna andare a monte per capire ciò che è accaduto a valle.

Intanto, a valle possiamo giudicare i comportamenti singoli e di gruppo, valutare le azioni politiche e i discorsi, o chiederci cose concrete: per esempio, è vero che il patrimonio immobiliare del vecchio Msi va a finire frazionato nella nomenklatura dell’ex An, anziché magari in una Fondazione che prosegua su altri piani la presenza di una tradizione politica, civile e culturale? Giriamo la domanda agli interessati.

Quanto ai colonnelli che ora se la prendono con gli intellettuali, inevitabilmente critici e anche un po’ astiosi, la cosa non mi riguarda ormai da tempo. Lieto di essere intellettuale della Magna Grecia e di essermi liberato di quella logora etichetta d’intellettuale di destra. Preferisco sentirmi addosso l’identità di meridionale rispetto all’identità di destra (non a caso ho scritto un libro dedicato al Sud...). Ma le loro critiche sono film già visti.
Colonnelli senza gradi

Quando noi fondavamo settimanali di successo per una nuova destra, loro pensavano a farci fuori e poi chiudevano quelle voci libere e innovative. Quando noi chiedevamo di superare il nostalgismo, loro campavano ancora sul neofascismo. Quando noi tentavamo fondazioni o progetti culturali, in Rai o altrove, loro pensavano a piazzare veline e scagnozzi. Quando noi parlavamo di idee e scrivevamo libri di successo, loro non capivano e non leggevano. Quando noi criticavamo a viso aperto i Fini, loro lo facevano di nascosto, al caffè o a ristorante. Salvo poi inginocchiarsi a chiedere pietà. Personalmente mi pento ancora di aver accettato di fare il consigliere della Rai che non chiesi di fare; e sono invece fiero di non aver mai accettato candidature politiche. Ora i colonnelli dicono che loro hanno vinto e gli intellettuali di destra invece hanno fallito; ma gli intellettuali vanno giudicati uno per uno e non per categoria, perché gli intellettuali, almeno a destra, non sono un partito; e ciascuno va giudicato per le sue opere intellettuali e per l’incidenza che hanno avuto sui loro lettori. Quanto al successo dei colonnelli, sono contento per loro sul piano personale, perché mi sento nonostante tutto loro amico e voglio il loro bene; però ringrazino Berlusconi che li ha portati al governo, altrimenti avrebbero rischiato di ridursi alla copia malriuscita dei loro imitatori. Ma da oggi, grazie al destino, finisce un equivoco e nasce una nuova stagione.