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 2009  marzo 20 Venerdì calendario

DUE ARTICOLI: NELLA CLASSE DOVE NON C’E’ UN ITALIANO


All’entrata della scuola di via Paravia i colori della pelle sono diversi. Giallo, caffellatte, nero, bianco. Uno spaccato di società multietnica che farebbe ingolosire un pubblicitario. I tratti asiatici e quelli di colore sono la maggioranza. I bambini bianchi pochi, solo uno su dieci. Ma entrano stoicamente nella scuola come se niente fosse, per loro è normale convivere con altri compagni, il colore della pelle non conta. Del resto, lo sparuto drappello degli italiani, l’anno prossimo scomparirà. La prima classe che sostituirà la quinta uscente sarà formata da bambini stranieri, quasi tutti extracomunitari. Una spiegazione strategica c’è. La zona è popolare, abitata quasi interamente da arabi e da nordafricani. Sette abitanti su dieci del quartiere masticano male l’italiano. Dunque la scuola rispecchia la zona. In gran parte.
I pochi italiani, però, hanno deciso di non sostenere più la scuola multietnica. E nessuno vuol sentire parlare di razzismo. «Io vivo nelle case popolari di piazza Selinunte e Giacomo gioca ai giardinetti con i bambini di tutte le razze senza problemi – spiega Rosa – ma l’educazione è un’altra cosa. Vorrei che mio figlio frequentasse anche coetanei italiani e imparasse prima di tutto l’italiano». Per Elise, la mamma di Iacopo, i problemi sono gli stessi. «Gli stranieri spesso non socializzano, nessuno si presenta mai alle feste, soprattutto gli arabi. Le mamme con il velo in testa arrivano a prenderli a scuola e poi non si vedono più». Così l’anno prossimo, l’elementare di via Paravia parlerà solo straniero. E le maestre italiane non correranno il rischio di restare indietro con i ragazzini italiani. Non ce ne sarà neppure uno. A poche centinaia di metri di distanza c’è un’altra scuola di confine, quella di via Carlo Dolci. Il rapporto italiani-stranieri è di quattro a sei, ma l’anno prossimo sarà di tre a sette. E all’asilo creato nello stesso complesso il rapporto è di uno a nove. Gli italiani che riescono a farsi iscrivere in scuole con meno presenza di extracomunitari scappano a gambe levate.
Nonostante ci siano buone maestre e un dirigente preparato e molto attivo. Che, non a caso, invoca da molto tempo l’introduzione delle quote per gli stranieri. Un modo per recuperare anche i ragazzini italiani del quartiere ora sparpagliati in altri plessi scolastici. Del resto, Alessandra, la mamma di un bambino di quinta elementare, non nasconde il suo disappunto: «Carlotta non l’iscriverò qui l’anno prossimo. L’esperienza di mio figlio non è stata positiva. Nulla da dire sulle maestre, ma non basta. Il programma va a rilento, mio figlio non ha amici con cui passare del tempo libero. I suoi compagni di classe stranieri non socializzano fuori dalla scuola e i pochi italiani non riescono a fare gruppo. Altrimenti qualcuno li addita come dei piccoli razzisti».

NELLA CLASSE DOVE CI SONO GIA’ LE QUOTE-
Bastava andare a fare un giro nella quarta B della scuola elementare Colombo, all’inizio dell’anno scolastico, per capire che Vicenza stava scivolando nell’apartheid studentesca. Diciotto alunni su diciassette erano stranieri e, con tutta la buona volontà e la disponibilità di ragazzini e insegnanti, non è che il programma scolastico potesse essere sviluppato in maniera, come dire, normale. Pure in prima B le cose non sono cominciate benissimo: su un totale di 24 scolari, 14 provenivano da famiglie immigrate. La situazione del comprensivo scolastico del Villaggio del Sole, uno dei quartieri vicentini a più alta densità di residenti stranieri, è al limite anche per materne e medie: su 966 allievi, 258 sono stranieri.
 partito da qui il viaggio esplorativo del sindaco Achille Variati, reduce da una sorprendente (Vicenza è una delle roccheforti del centrodestra) vittoria alle elezioni amministrative sotto le insegne del Pd, e dalla sua assessora all’Istruzione, Alessandra Moretti, per cercare delle soluzioni potabili a un fenomeno che col razzismo non c’entra un fico secco ma che induceva un numero sempre maggiore di genitori vicentini a spostare i propri figli verso scuole in cui si potesse, appunto, fare scuola.
Calcolatrice alla mano, Variati a Moretti hanno scoperto che al prossimo avvio d’anno scolastico sulle 49 classi prime delle 23 scuole elementari cittadine si iscriveranno 1.045 bambini. Dovessero spartirsi nella maniera più equilibrata possibile, gli extracomunitari rappresenterebbero circa il 21 per cento del totale. Che fare perché non si ripetano casi di concentrazione visti al Villaggio del sole, ma anche in una delle due prime della «Vittorino da Feltre», dove 23 bimbi su 31 sono figli di immigrati? Semplice, introdurre un tetto massimo del 35 per cento per ogni singola classe.
Questione di senso pratico, non di politica. Tanto è vero che anche la precedente amministrazione comunale, retta dal centrodestra, l’allora assessore all’Istruzione, Arrigo Abalti, aveva esaminato un percorso analogo, poi rimandato proprio a causa delle elezioni. A Vicenza l’integrazione degli immigrati è molto buona. Qui ci sono famiglie di tutte le nazionalità la cui vera preoccupazione è la dannata crisi economica, che sta spazzando via posti di lavoro indipendentemente dai passaporti. I ghetti creati in alcune scuole beriche rischiavano di mandare all’aria i progressi fatti in questi anni di sviluppo e per questo era necessario intervenire con l’accetta. Il fatto che la scure sulle classi della Cristoforo Colombo sia stata impugnata da un sindaco di centrosinistra, con un passato democristiano che a queste latitudini non guasta mai, è servito per evitare che qualcuno cominciasse a sparare l’assurda accusa di razzismo. Tutto il contrario: dall’anno prossimo si potrà finalmente far lezione in maniera decente.