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 2009  marzo 23 Lunedì calendario

BOOM DEL "QUINTO" SEMPRE PIU’ ITALIANI IMPEGNANO LA PAGA


La crisi frena il credito. Anche quello alle famiglie, anche quello al consumo, nonostante quest’ultimo regga meglio l’impasse rispetto alle altre forme di finanziamento. Il credito, al contempo, diventa sempre più finalizzato e diretto: così in Italia volano i prestiti personali (+10,9% la crescita nel 2008 rispetto al 2007), le carte di credito a rimborso rateale (+7,2%) e - in questo caso un vero boom - la cessione del quinto dello stipendio, segmento che ha visto l’anno scorso un’erogazione complessiva di 5,315 miliardi di euro, in aumento del 39,3% sull’anno precedente. Tanto che il business si allarga: nel 2001 le società iscritte all’associazione di settore erano undici, oggi sono cento, le prime dieci delle quali facenti capo a banche.
«Il credito al consumo negli ultimi dieci anni ha registrato incrementi a due cifre. Nel 2007 c’è stata la prima contrazione, nell’ambito comunque di una crescita del 9,5%. Valore che l’anno scorso si è assestato sul +1,4%» spiega Massimo Sanson, presidente e ad di Pitagora, una Spa con quartiere generale a Torino e 34 filiali sul territorio nazionale, 340 dipendenti per un fatturato di 216 milioni (e 4,1 milioni di utile 2008), partecipata - attraverso la holding di controllo Pitagora 1936 - dal fondo Wisequity (Gruppo De Agostini) e Banca Popolare di Milano, nonché Cassa di Risparmio di Asti (altre quote sono del management e dei dipendenti). Che prevede «un 2009 duro: non è da escludere il segno meno».
Resta, comunque, la potenzialità di sviluppo del settore. L’Italia, paese di risparmiatori, dove la propensione all’indebitamento è ancora molto lontana da quella di buona parte di altre nazioni europee (non parliamo degli Usa), sembra preferire infatti il prestito personale a quello finalizzato. «Se devo comprare la Tv nuova, è il ragionamento di molte famiglie, anziché accedere al credito propostomi magari dal negozio stesso, rateizzato, preferisco ottenere subito una certa cifra e andare a contrattare sul prezzo con l’esercente».
Il credito non finalizzato, nonostante l’appeal, non è immune dalla crisi in atto. Non è così, invece, per la cessione del «quinto», formula che invece continua nonostante tutto a crescere. Perché? «Anzitutto, è un mercato ancora vergine. Nasce nel 1950, solo per i dipendenti pubblici, e soltanto più di recente s’è allargato anche agli addetti delle aziende private e ai pensionati - spiega Sanson -. Poi, c’è il discorso dei tassi, che si sono ancorati a quelli dei prestiti personali, colmando il gap originario di 5-6 punti, e che sono stati ultimamente ritoccati al ribasso ((un tag del 10,50, ndr.) dalle società erogatrici, quale risultato della concorrenza. Infine, c’è la facilità di accesso al prodotto: la cessione del quinto non tiene conto della solvibilità del richiedente, quanto quella dell’azienda per cui egli stesso lavora». E’ chiaro che, su questo fronte, la «stretta» creditizia delle banche (che negano sempre più spesso un prestito personale) ha favorito le aziende come quella di Sanson.
E la clientela? Chi è che ricorre alla cessione del quinto dello stipendio? «Il 10% è un cliente che chiede soldi a prescindere, che non ce la fa comunque ad arrivare a fine mese, crisi o non crisi. Ma si tratta di una clientela sempre più marginale. I restanti, la maggioranza, sono persone che devono, vogliono affrontare una spesa contingente: auto nuova, ristrutturazione della casa, nozze della figlia...». Che s’indebitano per un massimo di dieci anni, dietro una garanzia assicurativa (se muore lo stipulante, gli eredi sono manlevati dal pagamento della somma richiesta dal defunto) e per una somma media di 15-17 mila euro. Sono dipendenti, per il 73,2% dei casi; ma sta crescendo notevolmente anche la categoria dei pensionati, che ha fatto registrare un incremento del 77,6% - quanto a numero di contratti - rispetto al 2007.
L’ad di Pitagora Spa, tornando alla crisi, ribalta la concezione che chi eroga prestiti faccia più affari quando le cose vanno male. «E’ vero il contrario: se il mercato tira, va meglio anche per il credito al consumo. In questi frangenti di recessione si spende meno e c’è, da parte delle società erogatrici, più difficoltà ad assumere rischio, stante la situazione non favorevole in cui versano le aziende, vale a dire i datori di lavoro dei nostri clienti».