Pablo Trincia, La stampa 23/3/2009, 23 marzo 2009
HARLEY REGINA CON LE RUGHE
Per oltre un secolo è stata la regina incontrastata della strada, e non importa che si fosse sugli spettacolari tornanti della Pacific Coast Highway californiana, o sulla superstrada 98 tra Bitonto e Andria. Il passaggio di una Harley Davidson - con quel metallo che acceca e quel motore rombante che fa tremare i muri - ha sempre lasciato dietro di sé una scia di stupore, dita puntate e bocche aperte a tutte le latitudini.
Oggi però, la storica moto americana che ha fatto un’epoca e dato vita a una vera e propria religione tra i suoi centauri, subisce i duri contraccolpi di una crisi economica che è riuscita a scoraggiare molti dei suoi clienti più fedeli: sovrapproduzione, scelte finanziarie errate o controproducenti, ma soprattutto una poca attenzione verso il mercato delle nuove generazioni che le è costata la perdita di interesse da parte di molti acquirenti sotto i 40, con un conseguente impietoso titolo a tutta pagina sul New York Times: «Harley, you are not getting any younger». «Harley, stai invecchiando».
Un vero schiaffo per le Hogs (così sono conosciute tra gli appassionati) e per il loro club di riders in tutto il pianeta, capace di accomunare generazioni di vip hollywoodiani, baby-boomers del secondo dopoguerra, cassieri di supermercati e famigerate gang di motociclisti con gilet di pelle, barba lunga e capelli al vento. Anche perché a parlare ci sono i numeri: lo scorso anno i ricavi sono diminuiti del 30%, ma il grosso del danno è arrivato dallo tsunami dei mutui subprime che ha già travolto il mercato immobiliare statunitense. Quindici anni fa, nel tentativo di incrementare ulteriormente il proprio fatturato, l’Harley aveva creato una società sussidiaria - la Harley Davidson Financial Services - che concedeva finanziamenti ai clienti e li trasformava in titoli da mettere sul mercato. Poi è arrivata la crisi finanziaria, e con essa le insolvenze di migliaia di clienti incapaci di ripagare il debito. Una sorta di subprime a due ruote, che finora al marchio del Wisconsin è costato caro: 80 milioni di dollari in prestiti mai rientrati solo lo scorso anno.
«Non ho mai visto niente del genere in 33 anni che vendo queste moto», ha dichiarato Spuck Bennett, un noto rivenditore del Maryland, che nel 2008 è riuscito a vendere solo 200 esemplari (contro le 280 dell’anno precedente), e quest’anno si aspetta di peggio. «Stiamo giusto cercando di sopravvivere».
Non una frase che ti aspetteresti di sentire, quando si parla di uno dei marchi più famosi, longevi e ben riusciti della storia contemporanea. Tutto è cominciato nel 1903, quando William Harley e Arthur Davidson - due ragazzi di Milwaukee, nel Wysconsin - costruirono un piccolo motore da 7 pollici cubici e lo adattarono a una bicicletta, segnando la nascita di un prodotto che avrebbe fatto fortuna anche nel campo dell’abbigliamento e degli accessori.
In oltre cento anni di vita, l’Harley è riuscita a zigzagare con successo tra una serie di tornado che hanno rischiato di spazzarla via: la crisi del ’29, l’arrivo delle marche giapponesi negli anni ’70, la quasi bancarotta di metà anni ’80. Niente da fare, le Hogs erano sempre lì, luccicanti e splendenti, grazie anche alla cura quasi maniacale riservatele dai proprietari e dalla loro passione per i raduni su scala regionale e nazionale.
Il problema è che quegli stessi proprietari stanno invecchiando (l’età media di un harleyista è passata da 42 a 49 anni), e pochi giovani sembrano a disposti a seguire le loro orme. Sia per una questione di costi (negli Usa una Harley costa intorno ai 20mila dollari, circa 14.600 euro), sia perché - secondo alcuni analisti - le altre marche concorrenti sembrano aver investito più su nuovi modelli e prodotti.
I tempi in cui il successo delle moto del Wysconsin era diventato persino oggetto di studi accademici è tramontato. La soluzione, per la vecchia Harley, è convincere le nuove generazioni che le strade dell’America e del mondo sono ancora sue. E magari evitare i subprime a due ruote.