Domenico Quirico, La stampa 23/3/2009, 23 marzo 2009
LA GUERRA DEL LUSSO
Per chi non avesse capito c’è il simbolo eloquente: piccone, vanga e pugno chiuso: «Al di là dei giochi di parole, azione concreta» catechizza robustamente il logo. Se a Torino i sei incursori che si sono regalati una serata al Cambio si sono limitati a un’odorosa contestazione, se ad Atene il commando anti-ricchi ha sfasciato un po’ di vetrine nel quartiere del lusso, a Parigi il Nuovo Partito Anticapitalista non si accontenta di trovare un bersaglio esemplare, ma cerca proseliti tra la gente comune.
Dopo alcune esperienze stuzzicanti», annuncia il manifesto, siete invitati a un nuovo «spiluccamento... perché non dobbiamo essere noi a pagare la loro crisi». «L’operazione» avrà luogo il sabato, l’orario è indicato con tre puntini «per ragioni di discrezione» e il segreto sarà conservato fino al mattino del picnic. Seguono indicazioni, precise, agli aspiranti rivoluzionari del weekend: due numeri di cellulare «dove vi sarà comunicato il punto di riunione sabato al mattino molto presto».
Dobbiamo dunque cercare Leila: di lei possediamo anche la relativa mail, preziosa, non si sa mai i telefonini… Ci consola l’annuncio che il supermercato è sistemato vicino a una fermata del metrò. Più comodo di così. Finale in gloria: «Venite a celebrare la grande redistribuzione della Grande Distribuzione». E giù tre punti esclamativi. Che aprono la strada a una citazione dell’articolo 1587 del Codice civile: «Per quanto riguarda vino olio e altre cose che è in uso assaggiare prima di comprare, non c’è acquisto fino a quando il compratore non li ha assaggiati e apprezzati».
Eccoci qua. Leila si è data da fare. C’è folla davanti al Carrefour, quartiere chicchino. Siamo tutti invitati al nuovo gesto rivoluzionario, allo sberleffo contro la società del lusso, della cospirazione dei profittatori che diventano sempre più obesi mentre la crisi dilaga.
L’obiettivo
Già, Robin Hood in Francia ha scoperto che è arrivato il momento di uscire dalla foresta e di passare al supermercato; eretto a simbolo della società anti-egualitaria e sprecona, crocevia simbolo delle baraonde scialacquative perpetrate alle spalle di quelli che una volta si chiamavano poveri. E che qui, lo provano le statistiche, sarebbero almeno otto milioni. Hugo dunque troverebbe motivi di scrivere con raddoppiato calore e furore poderose continuazioni de «I miserabili». Se il motto è «individuare e distribuire le ricchezze dove si trovano», non c’è niente di meglio per cominciare che il supermercato. Tutto è così ben allineato sugli scaffali. Ci prepariamo a partecipare all’aggiornamento necessario del «casseur», l’assaltatore brutale e nichilista di negozi e magazzini che in Francia è una presenza fissa di ogni manifestazione.
Picnic al supermarket
E’ l’apporto teorico della nuova gauche, vitaminizzata dal carattere ventraiuolo di quella antica sinistra che si riconosce nella faccia simpatica di Olivier Besancenot, un Gavroche della moltitudine, che sarebbe quella dei sans-papiers, dei precari, dei declassati. L’unico vero nemico di quella di Sarkozy, «l’amico degli spendaccioni», uno che promette di «diventare il peggior incubo del presidente» e che applica alla perfezione il detto di Bernstein, antico socialista: «Lo scopo non è niente, il movimento è tutto».
Allora movimento: cioè «il picnic» nei supermercati. Gli incanutiti rivoluzionari degli Anni Settanta storcono il naso: ma l’abbiamo inventato noi, è il vecchio esproprio proletario, l’autoriduzione. Vero, ma le milizie del nuovo partito anticapitalista ci aggiungono qualcosa che in quei tempi rivoluzionariamente seriosissimi non c’era: lo sberleffo, la provocazione di stampo futurista.
Carrelli pieni
Allora, tribolatori di supermercati, si va? Si va. Le avanguardie del picnic entrano con l’aria indifferente dei clienti disposti a riempire il carrello, senza dare nell’occhio. Sono un centinaio almeno, per essere certi di sovrastare numericamente la vigilanza. E il carrello lo riempiono davvero: e con gusto, svuotando gli scaffali costosi, salmone champagne foie gras, ovvero la merenda quotidiana dei profittatori, dei pescecani .
Non a caso tra le vittime c’è stato anche il lussuoso settore culinario delle Galeries Lafayette a Rennes. Poi alle casse, sempre tutti insieme . E qui il picnic diventa politica, dibattito, coscienza. Si annuncia alle cassiere esterrefatte e manifestamente in ritardo nella consapevolezza rivoluzionaria che non si paga, «perché gli alimenti devono essere distribuiti a coloro che non hanno la possibilità di comprarli». E qualcuno comincia subito a stappare bottiglie e gustare terrine fragranti. Sì, ma perché champagne e salmone e non latte e patate? «Perché i poveri non dovrebbero festeggiare come i ricchi?» è la socratica risposta. «Questo è un gesto di solidarietà che si compie collettivamente» si proclama uscendo, e in quell’avverbio ci sarebbe la sottile distinzione che evita di farsi scallottare dal codice penale: articolo riguardante la rapina. Si esce trascinando la spesa. In pochi minuti i carrelli si svuotano nelle sporte di quelli in attesa, i poveri. L’operazione è durata come al solito non meno di un’ora. Non c’è fretta. La polizia non si fa mai vedere. Eppure dovrebbe essere avvertita, questi picnic sono iniziati lo scorso anno, nell’atmosfera delle feste.
La maggioranza dei supermercati per evitare che il picnic diventi guerriglia preferisce tacere e non presentare denuncia. Un centro commerciale addirittura ha stipulato una convenzione con i focosi anticapitalisti: unica condizione è che passino una volta al mese e concordino la lista della spesa. Il modello rischia di estendersi: già spuntano picnic senza il conto al cinema e al ristorante. Al Louis XV di Alain Ducasse sono in allarme.