Marisa Fumagalli, Corriere della Sera 22/03/2009, 22 marzo 2009
Rien ne va plus. Gira la pallina della roulette, ai tavoli verdi degli storici saloni di Cà Vendramin Calergi
Rien ne va plus. Gira la pallina della roulette, ai tavoli verdi degli storici saloni di Cà Vendramin Calergi. Più la pallina gira (e più si fa sentire il rumore metallico delle slot machine), più soldi entrano nelle casse del casinò. Ma la notizia è un’altra; riguarda il beneficiario finale: Venezia. La città più bella e affascinante del mondo. Che riceve dalle fortune dell’azzardo la quota più alta di finanziamenti: 107 milioni di euro (anno 2008); e altri 6 in aggiunta come contributi a sport, eventi culturali, opere di solidarietà. Sintetizza l’assessore al Bilancio, Michele Mognato, per rendere l’idea: «Considerando il totale delle entrate correnti, il Casinò, di cui l’amministrazione comunale è proprietaria, vale il 36%, l’Ici il 10, i proventi dai ticket dei bus turistici e dei vaporetti, il 5». Risultato? Se andasse in crisi il croupier, per Venezia sarebbero dolori. «In tempo di crisi, ahinoi, le puntate sono avare – osserva Mauro Pizzigati, presidente delle case da gioco veneziane, Vendramin Calergi e Ca’ Noghera in terraferma – Le avvisaglie del 2009 non sono buone; nei primi due mesi, siamo sotto del 6%». Insomma, quando si parla di Venezia, la contaminazione tra sacro (i monumenti, le opere d’arte) e profano (i soldi) spunta da ogni dove. Da una parte, ecco il patrimonio ambientale e artistico da tenere vivo e smagliante, da preservare e da conservare; dall’altra, le ingenti somme di denaro che occorrono perché ciò si realizzi. Tenendo conto che il centro del capoluogo lagunare non solo è antico, ma, in balìa alle maree, è anche eccezionalmente esposto. Da sempre. Tuttavia, c’è una data, riconosciuta, come punto di svolta: il 4 novembre 1966, giorno della grande alluvione, l’«aqua granda». Il drammatico evento, infatti, certificò ufficialmente, con l’inventario delle gravi ferite, lo stato di fragilità. Da allora la città finì sotto i riflettori del mondo. E negli anni successivi, attraverso forti campagne di stampa (Indro Montanelli, in prima linea), maturò quella che venne chiamata la Legge Speciale. Con una dotazione economica notevole, finalizzata alle opere di salvaguardia. Il concetto: a fronte di una città speciale, per mantenerla occorrono contributi speciali. Contemporaneamente, si attivarono, sotto l’egida dell’Unesco, numerosi Comitati nazionali e internazionali, con lo scopo di raccogliere fondi per restaurare i «pezzi» pregiati in degrado. A quei tempi, il termine sponsor non si usava. Del resto, i cartelloni pubblicitari, issati sulle facciate dei palazzi in restauro (in passato, erano coperte soltanto da teloni trompe-l’oeil), sono una novità. Un capitolo a parte, invece, riguarda il Mose: progetto, a lungo discusso e contrastato, di difesa dalle acque alte, attraverso un sistema di paratie mobili. Ora il Mose è in costruzione e, inserito nella voce «grandi opere», sta ricevendo dallo Stato fondi importanti (l’ultimo stanziamento è di 800 milioni di euro), con l’obiettivo di tagliare finalmente il traguardo. Ma che succede a Venezia, a quarant’anni dalla sua certificazione di fragilità? Che succede alla «mantenuta speciale»? L’espressione è forte e sgradevole. Il fatto è che, a fronte di un gran bisogno di quattrini, del calo delle entrate statali per le opere di manutenzione e salvaguardia (dai 134 milioni del 2000, sono precipitate ai 28 previsti del 2009), si è creato un meccanismo, frenetico quanto la pallina della roulette, che ha lo scopo di rastrellare finanziamenti. Così, al fine di rendere più agili le operazioni economiche, da alcuni anni il Comune si è dotato di un ufficio marketing, cui fanno capo tutte le iniziative di sponsorizzazione. (Adesso la parola non è più una bestemmia). Ce n’è di tutti i tipi. In queste settimane, sta facendo scalpore l’affare Coca- Cola. Che prevede un contributo da parte della multinazionale di 2 milioni e 100.000 euro, in cambio di 38 distributori (no logo) di lattine e snack da piazzare in vari punti del centro storico. E il benefit di un paio di Galà aziendali, da allestire nelle sale apollinee della Fenice e al Casinò. Ma le polemiche, subito in agguato, hanno convinto il sindaco a fermarsi. Per ripartire da una gara pubblica. Ancora: sotto l’ala dell’ufficio marketing (che gestisce anche il club degli Amici di Venezia, piccolo, qualificato, gruppo di importanti mecenati a cui è concesso il marchio del Leone della Serenissima, in versione «rivisitata»), finiscono altre sponsorizzazioni. Alcune di esse, originali, mirate. All’iter di ideazione e realizzazione pensa la società privata Fondaco, attiva dal 2004. Un esempio: il restauro della Scala d’oro di Palazzo Ducale (200.000 euro) è targato Bulgari. Oro chiama oro, dunque. «C’è anche il riferimento ai bassorilievi del Sansovino, che raccontano storie della romanità – spiega Enrico Bressan, uno dei due soci di Fondaco – Non è forse l’atelier di Bulgari nel centro di Roma?». Chiaro. Da una sorta di filiazione dell’ufficio marketing, spunta, poi, nel 2007, Venezia Marketing Eventi. Come si evince dalla denominazione, la società (a capitale misto, pubblico – attraverso il casinò – e privato) si occupa degli appuntamenti irrinunciabili in Laguna: dal Capodanno, al Carnevale, alla Regata Storica. Nel 2008, il volume d’affari di Venezia Marketing ha sorpassato i 3 milioni di euro, facendone risparmiare al Comune 750.000. "L’obiettivo è passare dai risparmi ai guadagni", spiega Mauro Pizzigati. Vendita o svendita – a volte di necessità bisogna fare virtù – Venezia e la sua immagine stanno inesorabilmente cambiando. Al passo con i tempi? «A volte ho l’impressione di stare in un supermarket, dove ognuno si muove, qua e là, riempiendo il carrello della spesa’ osserva Franca Coin, presidente di Venice Foundation (14 anni di attività), uno dei 24 Comitati Unesco raggruppati in Associazione (retta da Alvise Zorzi) – Ci vorrebbe una visione complessiva, puntando sul marketing illuminato, non sulla svendita della città al miglior offerente. Il nostro micro-mecenatismo (7.000 nomi in mailing list) finora ha dato frutti positivi. In questo periodo, siamo concentrati sul restauro del soffitto della Sala del Gran Consiglio di Palazzo Ducale. Abbiamo raccolto 60.000 euro; in tutto, ne occorrono 120.000. Ce la faremo». E Alvise Zorzi sottolinea come i vecchi comitati Unesco («Nell’anno 2008-2009, i fondi erogati ammontano a un milione e mezzo di euro»), fedeli a quel fervore di rinascita, stimolato dal dramma dell’«aqua granda», «non hanno mai chiesto e non chiedono ritorni pubblicitari». Non sponsorizzazioni, ma puro amore per Venezia. Marisa Fumagalli