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 2009  marzo 21 Sabato calendario

FINANZA ARMATA


La notizia più inquietante arriva dalla Gran Bretagna. Nell’estate 2007, giusto due settimane dopo il crollo della Northern Rock e la sua nazionalizzazione repentina, una banda di criminali hi-tech era già in possesso di nomi e dati degli ex correntisti della banca inglese: le informazioni prelevate con l’inganno sono state subito utilizzate per proporre nuovi investimenti, all’apparenza leciti ma invece perfettamente illegali. Il problema del credito negato non riguarda solo i 10 milioni di inglesi che trovano chiuse le porte delle banche ma valica la Manica e invade tutta l’Europa. Con l’Italia in prima fila. Un’impresa su dieci, ha appena denunciato la Confindustria, ha problemi enormi a ricevere finanziamenti. E queste migliaia di piccole e medie aziende, insieme a 200 mila esercenti che nel 2008 hanno dovuto chiudere l’attività strozzati dall’astenia finanziaria, sono il bacino di una finanza armata pronta a tutto. L’allarme arriva da tutte le più alte autorità economiche e investigative, come dimostra questa inchiesta di MF-Milano Finanza. Il racket organizzato è ormai la prima industria italiana, con un fatturato di 130 miliardi di cui 92 impiegati nel ramo «commerciale» e un utile che sfiora i 70 miliardi, al netto di investimenti e ammortamenti, recitano gli ultimi dati in possesso del ministero dell’Interno. E il rischio è che in tempi di crisi e recessione la piovra sbarchi anche nelle banche e in borsa.

L’allarme della Consob. L’accorto e solitamente molto taciturno Lamberto Cardia, presidente della Consob, ha da poco lanciato un masso nello stagno. «In un momento in cui gli indici di borsa sono molto bassi, fondi sovrani o ricchezze private possono con pochi spiccioli portarci via pezzi strategici del nostro sistema produttivo», ha detto, lasciando capire che per ricchezze private si intende capitali di provenienza illecita o quanto meno oscura. E che il suo allarme sia stato preso alla lettera lo dimostra il fatto che il governo Berlusconi è corso subito ai ripari. Dopo aver modificato la norma della passivity rule nell’autunno scorso, ora diventata semplicemente opzionale in caso di opa ostile, alla Camera si sta discutendo l’innalzamento dal 10 al 20% del tetto alle azioni proprie acquistabili nonché l’aumento dal 3 al 5% dei limiti annuali di innalzamento delle quote di controllo di fatto di una società. Si tratta di misure che blindano la borsa italiana dove oggi, con poco più di 100 miliardi, si può comprare metà listino, dall’Eni alle Generali.

Il dossier dei servizi. Che la finanza illecita sia davvero uno spauracchio in grado di minacciare «la sicurezza nazionale» lo conferma anche un recentissimo dossier della presidenza del Consiglio stilato sulla base di informazioni riservate fornite dai servizi segreti. Secondo la «Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza» la contrazione del pil, della produttività e dei livelli di occupazione ha ampliato i margini di vulnerabilità del tessuto economico italiano accentuando l’invasività delle organizzazioni criminali. Ciò che preoccupa maggiormente è «la capacità di penetrazione» nei settori produttivi nazionali da parte delle associazioni mafiose, propense ad acquisire, soprattutto attraverso pratiche d’usura, il controllo di aziende in difficoltà. Inoltre, spiegano gli esperti dell’Agenzia Informazioni Sicurezza Interna, l’Italia si dovrà preparare a un incremento delle attività delinquenziali estere, che sono interessate a reinvestire proventi illeciti nel mercato immobiliare italiano approfittando dell’immissione di asset pregiati da parte delle imprese in crisi. Una situazione che ha reso necessario sviluppare un’azione di intelligence rivolta non soltanto ai temi cosiddetti tradizionali (criminalità organizzata, riciclaggio e finanziamento al terrorismo) ma anche alla salvaguardia del patrimonio industriale. Due i fronti su cui gli 007 italiani si sono concentrati: l’azione dei fondi sovrani e l’immissione nei circuiti del credito di ingenti quantità di denaro «ripulito». Nel primo caso gli agenti dell’Aisi sottolineano come i piani d’investimento dei fondi sovrani «possano nascondere progetti di controllo di tecnologie del Paese dove il fondo investe». In poche parole Palazzo Chigi teme l’acquisizione di «posizioni dominanti in imprese detentrici di brevetti e di controllo a fini ostili di infrastrutture critiche», anche se per la verità i fondi arabi raramente puntano al controllo di società e sembrano badino soltanto al ritorno economico. Sebbene in Italia il peso dei fondi sovrani è «sostanzialmente ridotto», pari allo 0,3% del mercato, i servizi segreti avvertono che «il fenomeno è tanto più meritevole di attenzione in quanto spesso riconducibile ad attori statuali esterni al sistema di alleanze politico-militari di cui l’Italia fa parte». Ma è sul rischio di malavita finanziaria che l’allarme si fa più acuto. Per quanto riguarda la criminalità economica, le conseguenze dirette della crisi (come la disoccupazione e la restrizione del credito), creano, sempre secondo il dossier che è di fatto la base di tutti gli ultimi interventi legislativi effettuati dal governo Berlusconi sulla legge Draghi, un «humus favorevole» per reclutare nuove leve. «L’ingente volume di denaro ripulito» rischia di far finire nelle mani del crimine il controllo di «interi comparti strategici nazionali». Inoltre i gruppi finanziari vicini alla malavita organizzata possono inserirsi, secondo gli 007, nelle piazze finanziarie alterando le dinamiche della domanda e dell’offerta. «Elevata è stata poi l’ingerenza criminale nell’aggiudicazione dei pubblici appalti e dei finanziamenti pubblici», si legge ancora nel dossier messo a punto proprio dopo la recente riunione del Comitato di sicurezza finanziaria (al quale partecipano, tra gli altri, il Tesoro, la Guardia di Finanza, la Banca d’Italia, i Servizi segreti, l’Antimafia e la Consob): al centro delle indagini la realizzazione di opere viarie, lo smaltimento dei rifiuti, la realizzazione di infrastrutture.

Il pericolo giallo. Ma i pericoli per l’economia italiana fiaccata dalla recessione non finiscono qui. Nella lista nera di Palazzo Chigi figurano anche i consorzi euroasiatici che si infiltrano nell’economia attraverso società off shore; in particolare, le consorterie criminali cinesi che, oltre al business della contraffazione, gestiscono e costituiscono banche clandestine per il trasferimento dei fondi. Il riciclaggio attraverso l’acquisizione dei money transfer è di competenza dei nigeriani, un mercato particolarmente rilevante visto che ben 6 miliardi di euro sono stati trasferiti all’estero nel 2007. Truffe on line e vulnerabilità dell’home banking sono invece il regno incontrastato della criminalità romena. Per quanto riguarda il supporto economico al terrorismo, le attività di intelligence monitorano i flussi finanziari in entrata destinati all’associazionismo islamico radicale presente in Italia e quelli in uscita riconducibili a movimenti terroristici separatisti che operano all’estero. Un nuovo aspetto delle indagini dei servizi, infine, ha interessato gli andamenti del mercato energetico, posto sotto osservazione visto «il rilievo che assume ai fini di sviluppo economico e della competitività dell’Italia». Gli 007 hanno passato in rassegna «le dinamiche poste in essere dai principali Paesi produttori per individuare i fattori di rischio in grado di incidere sulle forniture nazionali».

Il boom dell’usura organizzata. La malavita bussa alla porta anche di negozi, bar, alberghi e piccole aziende. La prima volta è di solito sotto forma di una fiduciaria di comodo che garantisce un finanziamento che la banca tradizionale non vuole più autorizzare; la seconda fase si presenta con qualcuno che senza indossare la grisaglia sfila direttamente il controllo della società al proprietario. Si chiama usura organizzata e le ultime cifre del fenomeno sono spaventose. Secondo Sos Imprese della Confesercenti, nel triennio 2005-2007 erano state 165 mila le attività commerciali e 50 mila gli alberghi e i pubblici esercizi costretti alla chiusura a causa della crisi. Ma gli ultimi dati ancora inediti e che MF-Milano Finanza può anticipare sono peggiori. Nel biennio 2007-2008 i negozi e gli esercizi che hanno tirato giù la serranda per sempre hanno toccato quota 200 mila, mentre sono 40 mila gli alberghi e i pubblici esercizi sbarrati. Nel 2008 per la prima volta c’è stato un saldo negativo tra esercizi aperti e chiusi: non accadeva da 30 anni. Il racket impazza. «Ci troviamo in un momento in cui quello che sostanzialmente manca è la liquidità, dunque chi ha soldi liquidi, come gli usurai, fa affari d’oro», spiega Lino Busà, presidente di Sos Imprese. Non solo. Cresce «l’usura di mafia e di malavita» che puntano alla vera e propria spoliazione delle imprese e dei patrimoni delle vittime. Nell’albergo o nel ristorante diventato di proprietà della malavita «dopo un po’ si spaccerà la droga». aggiunge ancora Busà. Delle 200 mila imprese chiuse, un robusto 40% deve la sua cessazione proprio all’aggravarsi di problemi finanziari, a un forte indebitamento, all’usura. Non tutti chiudono definitivamente. Due commercianti su tre tentano di intraprendere un’altra attività cambiando ragione sociale o intestando l’attività ai figli, alla moglie, a qualche parente. Il fenomeno colpisce in larga parte persone mature, intorno ai cinquant’anni, che hanno sempre fatto i commercianti e che hanno oggettive difficoltà a riconvertirsi nel mercato del lavoro e quindi tentano di tutto per evitare il protesto di un assegno, il fallimento della loro attività. Solitamente sono commercianti che operano nel dettaglio tradizionale: alimentaristi, fruttivendoli, gestori di negozi di abbigliamento e calzature, fiorai, mobilieri, sono quelli che oggi pagano più di ogni altro il prezzo della crisi. Un mondo strozzato dai debiti.

I fidi strozzati. Ciò che più preoccupa è il balzo in avanti registrato dai piccoli prestiti, cresciuti dell’11,2% nel 2008 a quota 51,5 miliardi: un incremento che vale 5,2 miliardi in un anno. I Consorzi fidi raccontano che le richieste di prestito non sono più per investimenti, ma per credito d’esercizio. Agli sportelli antiusura si presentano imprenditori che solo fino a poco tempo fa non avrebbero mai pensato di dover bussare alla porta dello Stato alla ricerca di protezione. Ma crescono anche i privati che si rivolgono alle istituzioni. Semplici famiglie. In questo panorama, secondo le autorità, l’attività usuraia, pur non avendo abbandonato le zone di marginalità sociale, ha subito un processo di trasformazione diffondendosi in aree interessate da profondi processi di ristrutturazione economica e sociale, in territori di forte sviluppo economico e di benessere sociale diffuso, colpendo i più diversi ceti sociali. Un cancro che ha ormai attecchito dove non si sarebbe mai immaginato. E’ in questi contesti che, accanto all’usura strettamente intesa, emerge una vasta area di sovraindebitamento che colpisce soprattutto le famiglie. Il fenomeno preoccupa perché per molti può rappresentare l’anticamera del girone infernale del «prestito a strozzo». E’ come in ogni mercato, dove con il crescere della domanda si sviluppa anche l’offerta. Questa, ormai diversificata, è in grado di rispondere a ogni esigenza. Così, accanto alle figure classiche degli usurai di quartiere, si muove un nuovo sottobosco, che va dalle società di servizi e mediazione finanziaria, ormai presenti in ogni città, a reti strutturate e professionalizzate, fino a soggetti legati ad organizzazioni criminali. Solo gli intermediari finanziari non bancari censiti dalla Banca d’Italia sono 2.000, uno per comune. Aggiungendovi agenti di cambio e affini si supera quota 50 mila. Una giungla, legale e non.

Il ruolo delle banche. In questo contesto drammatico si capiscono ancor di più le recenti parole del governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, che ha invitato gli istituti di credito a sostenere le imprese. Nel periodo tra agosto e dicembre del 2008 la percentuale di incagli sul credito erogato dalle banche alle aziende è schizzata dal 2,4 al 3,2% per le imprese piccole e dall’1,4 al 2,1% per le grandi. Il flusso di crescita del credito bancario ha subito un netto stop a gennaio 2009. Il tasso di insolvenza sui prestiti a famiglie e imprese, sempre secondo Via Nazionale, a fine 2008 ha raggiunto il punto più alto dal ’99. «Nei prossimi mesi», avverte la Bankitalia, «l’evoluzione del mercato del credito sarà condizionata dalla recessione». Chi avrà messo più fieno in cascina sopravviverà. (riproduzione riservata) (ha collaborato Carmine Sarno)