Fulvio Milone, La stampa 19/3/2009, 19 marzo 2009
LO SCERIFFO CHE PRENDE AL LAZO I CANI KILLER
Resta grave la tedesca di 24 anni azzannata dal branco a Sampieri, dopo l’operazione a Catania. E continuano le polemiche sulla gestione dei cani killer. Il sindaco di Modica, Antonello Buscema, ha firmato un’ordinanza per l’abbattimento dei randagi pericolosi: «L’ho promesso al padre del piccolo ucciso». Immediata la contestazione delle associazioni animaliste: «In Sicilia rischia d’iniziare una mattanza». Un’ipotesi che il sottosegretario al Welfare, Francesca Martini, esclude. Poi ricorda che la Regione ha avuto negli ultimi anni 3 milioni per l’applicazione della legge sul randagismo. Replica il sindaco di Scicli, Giovanni Venticinque: «Al mio paese non è arrivato un centesimo». E il Codacons invita il sottosegretario «a recuperarli lei i randagi pericolosi».
Si accovaccia al riparo dei fichi d’india, poi scatta come una molla con le braccia spalancate, saltellando qua e là fra i rovi. Sembra un pazzo mentre avanza verso il branco, emettendo un verso aspro e profondo, come se ringhiasse. Ma Sergio Bramante tutto è, fuorchè un matto. un cacciatore di cani. «Semplicemente parlo la loro lingua», dice, e pare proprio che le bestie lo capiscano: non l’aggrediscono mentre si china su un cespuglio fitto e basso. Fra i rami si intravede una massa nera che si muove appena. « il capobranco, ce l’abbiamo fatta. una femmina, non ha più di 4 anni. Gli altri sono i suoi figli, avranno 9 mesi al massimo», spiega, mentre infila con mosse delicate ma decise il cappio di metallo al collo del cane intorpidito dal sedativo.
Mancano 15 minuti a mezzogiorno e sulle dune di Punta Pisciotto si è appena conclusa una fase decisiva della guerra contro i cani che da domenica uccidono e feriscono, terrorizzando gli abitanti del villaggio di Sampieri. «Per favore, non chiamatele bestie assassine - avverte Bramante - se sono diventate così è solo per colpa dell’uomo». Bisogna stare attenti alle parole: Sergio, 58 anni, prepensionato della Regione Sicilia, cinofilo da sempre e fondatore della cooperativa Maia che si occupa di randagi, non accetta neanche l’appellativo di «accalappiacani». «Scrivete che ci prendiamo cura di loro nel nostro canile, cerchiamo di riabilitarli. Per quanto possibile, naturalmente...».
Per quanto possibile, certo. Perchè sarà davvero difficile dare una nuova casa e un nuovo padrone a questa meticcia di taglia piuttosto piccola, dal pelo nero che diventa bianco sul petto e sulle zampe. Vista così, addormentata in una gabbia, sembra la quintessenza della dolcezza. Eppure Bramante non ha dubbi: è stata lei a guidare il branco composto dai suoi cuccioli, tutti con pelo corto e nero, che ha ucciso un bambino di 10 anni, ferito uno di nove anni e ridotto in fin di vita una tedesca che faceva jogging sulla spiaggia. I «cacciatori di cani», guidati dal pensionato della Regione, hanno preso altri 4 randagi. «Tre sono suoi figli, come quelli che mancano all’appello - dice Bramante - sono liberi ma la loro aggressività dovrebbe essere ridimensionata dal numero ridotto del gruppo e, soprattutto, dall’assenza della madre che li guidava».
La caccia al branco assassino comincia di buon’ora, quando il sole non ha ancora riscaldato la spiaggia deserta di Punta Pisciotto. A sferrare l’offensiva contro i cani inferociti sono in tre: Bramante, il veterinario Francesco Savarino, suo braccio destro, e Dino Zavagna. Hanno organizzato il quartier generale sul tetto di un cubo di cemento privo di infissi e circondato dal fetore insopportabile delle carogne stipate all’interno: la casa di Virgilio Giglio, l’uomo che aveva scelto di dividere la sua vita con una sessantina di cani ed ora è in prigione.
Sergio e i suoi hanno capito dalle tracce che, nella notte, gli animali sfuggiti finora alla cattura sono tornati qui, nella loro tana, dopo essersene tenuti alla larga per tre giorni. «Bisogna solo avere pazienza, prima o poi arrivano», dice il cacciatore. E arrivano davvero, alle 10.30. Prima tre, poi quattro. Avanzano esitanti, fiutano l’aria con diffidenza. Bramante potrebbe usare il «Disk inject», la carabina che spara siringhe di narcotico, ma se ne guarda bene. «Il fucile serve in ambienti meno vasti: in questo caso l’animale colpito avrebbe il tempo di fuggire chissà dove prima di addomentarsi. Meglio lavorare in silenzio con le esche, e poi col cappio». Il terreno tutt’intorno alla casa è disseminato di pentole piene di bocconcini impregnati di acepromazina: non un narcotico, ma un sedativo abbastanza potente da intontire il cane e impedirgli di andare lontano.
La prima ad accostarsi al cibo è la madre capobranco. I cuccioli le stanno attorno a una certa distanza, quasi a proteggerla. «Lasciano che mangi per prima: è la prova che è lei a guidare il gruppo - sussurra Bramante che si porge appena dal muretto che circonda il terrazzo - li guardi, hanno tutti la coda alta e le orecchie drizzate: sono segni di aggressività». Mangia tutto, la madre. Non lascia nulla ai cuccioli e questo è un problema. «Dovremo preparare altra esca - spiega Sergio - e nel frattempo i cani potrebbero allontanarsi».
Non se ne vanno, per fortuna. Neanche dopo la cattura della madre. Disorientati dall’assenza del capobranco, intimiditi dal «ringhio» insistente del cacciatore che nel frattempo li ha raggiunti e correndo in circolo blocca loro le vie di fuga, continuano a vagare attorno alla casa. Trascorrono ore prima che si decidano a mangiare le esche. Poi, finalmente, anche loro si accucciano, intontiti, fra i cespugli. Vengono accalappiati uno dopo l’altro. «Ne rimangono ancora quattro, li prenderemo, è solo questione di tempo e pazienza», sospira il cacciatore di cani.