Giovanni Reale, Corriere della sera 20/3/2009, 20 marzo 2009
RATZINGER EREDE IDEALE DI WOJTYLA
Da qualche tempo vengono sollevate critiche contro Benedetto XVI, in quanto si sarebbe arroccato su posizioni retrograde.
Sarebbe rimasto il teologo profondo, ma astratto, ben diverso da Giovanni Paolo II. Ma chi dà questi giudizi non ha capito la grandezza dell’uomo.
Io conosco Ratzinger come teologo da tempo e condivido molte sue idee, che ho maturato tra l’altro - studiando nella Germania dei suoi tempi avendo rapporti con le persone con i luoghi in cui egli ha insegnato.
La prima cosa che in lui diventato pontefice mi ha stupito è stato il modo in cui si è mirabilmente trasformato da teologo a pastore. Ha fatto qualcosa di analogo a ciò che ha fatto Giovanni Paolo II. Quando ho pubblicato tutte le sue opere di poesia e di filosofia, mi ha pregato di non mettere sulla copertina il suo nome di pontefice, ma quello di Karol Wojtyla, in quanto erano state da lui scritte come credente, ma uomo del secolo. E il suo compito di pontefice era non quello di diffondere le proprie idee, ma quelle del Vangelo, come ha fatto Pietro. La stessa linea sta seguendo Benedetto XVI.
Del resto, chi ha letto il bel libro «Gesù di Nazaret», avrà notato come il contenuto corrisponda a quello che preannunciano i due nomi dell’autore nel modo in cui sono stampati in copertina: Joseph Ratzinger in piccolo e Benedetto XVI in grande. Parla l’agguerrito studioso dei testi e il teologo, ma nettamente al di sopra si pone l’uomo di fede; e il suo messaggio di fondo viene espresso nella conclusione del libro proprio con le parole di Pietro. «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». Ed è solo su questa base che si può ricostruire l’unità di tutti i Cristiani, che costituisce l’ideale programma del suo pontificato.
Ma vengo a un punto-chiave che fa comprendere lo spirito rivoluzionario di Ratzinger. L’enciclica di Giovanni Paolo II Fides et ratio del 1998 è assai innovativa. In particolare mi hanno colpito due idee. La prima suona: «La Chiesa non propone una propria filosofia né canonizza una qualsiasi filosofia particolare a scapito di altre». La seconda è la seguente: la fede ha un valore «metaculturale », in quanto non può essere incatenata all’interno di nessuna cultura; inoltre può stimolare varie culture, senza incatenarle.
In un incontro che ho avuto con Giovanni Paolo II, l’ho molto elogiato per queste due idee, che chiudono con il passato. Il Pontefice si è fatto molto serio e mi ha detto: quelle idee sono grandi, ma non le ho create io; ho degli eccellenti collaboratori cui sono debitore. Non ho faticato a capire che Giovanni Paolo II alludeva proprio a Ratzinger, che nel 1997 scriveva: «La filosofia e teologia neoscolastica, pur avendo al proprio attivo tante benemerenze, oggi sembra in qualche modo giunta alla fine », in quanto non è più «uno strumento adatto a far sì che la fede dialoghi con il proprio tempo». Il Tomismo, per quanto grande, non poteva più essere considerato la filosofia ufficiale della Chiesa, come da tempo si pensava. L’incontro del Cristianesimo con la cultura ellenica è stato un grande evento, che ha dato i suoi frutti, ma non va considerato affatto come definitivo, né come elemento condizionante per l’incontro della fede con altre culture.
Credo che queste siano idee rivoluzionarie a trecentossessanta gradi.
Penso che Ratzinger sia, sotto molti aspetti, l’ideale successore di Wojtyla. Dimostrerò questo soffermandomi su un punto particolare. Non solo come pontefice, ma fin dalla giovinezza Wojtyla aveva compreso come l’asse portante della vita dell’uomo sia l’amore, e in una poesia giovanile scriveva: «L’ amore mi ha spiegato ogni cosa,/l’amore ha risolto tutto per me - perciò ammiro questo Amore/dovunque Esso si trovi ». E in una lettera del 2002, dopo aver letto la mia interpretazione di tutte le sue opere letterarie (che ho pubblicato per la Bompiani), mi scriveva: «Illustre professore, Le sono riconoscente per avere sottolineato come proprio l’amore sia la sintesi - nell’essere e nell’esprimersi - di ciò che l’uomo cerca sulle vie della creazione artistica e su quelle della riflessione razionale. Del resto "Dio è amore" osserva l’apostolo Giovanni ( I Gv 4, 8,16) e la persona umana, creata a sua immagine, è chiamata a crescere e a realizzarsi nell’amore».
Ritengo che la sua ultima enciclica avrebbe dovuto essere sul tema dell’ amore. E Benedetto XVI ha dedicato la sua prima enciclica proprio all’amore. Ha scritto in modo incisivo: «"Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui". Queste parole della
Prima lettera di Giovanni esprimono con singolare chiarezza il centro della fede cristiana: l’immagine cristiana di Dio e anche la conseguente immagine dell’uomo e del suo cammino». Ha inoltre più volte ribadito, anche prima di essere pontefice, che l’essenza del cristianesimo consiste in «una storia di amore fra Dio e gli uomini» , con tutto ciò che ne consegue. E sempre nell’enciclica scrive: «All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva» . La tesi di fondo dell’enciclica è di grande verità: l’amore cristiano ( l’agape), non esclude l’eros (come molti pensano) ma lo include, lo rafforza e lo consacra.
Infine, ritengo opportuno richiamare ciò che scriveva nel Catechismo su una questione oggi in primo piano. Certe cure particolarmente gravose e senza esiti vantaggiosi possono essere «omesse lecitamente e perfino doverosamente. Il malato ha diritto di morire con dignità ». esattamente questa la tesi con cui Jacques Ellul concludeva il suo rivoluzionario libro «Il sistema tecnico»: «Allungare artificialmente la vita» significa «derubare l’uomo del momento più importante della propria vita, la morte».
Questo, però, rende le ultime prese di posizione del Vaticano incomprensibili. Spero che Benedetto XVI su questo argomento non sia vittima dei suoi collaboratori e mantenga le idee espresse nel Catechismo, ossia difenda «il diritto del malato di morire con dignità», che per l’uomo è irrinunciabile. Solo chi capisce il senso della morte comprende il senso sacro della vita. Cristo stesso (che proprio con la morte ha ridato nuova vita all’uomo) ha pianto non solo per la morte che lo attendeva, ma anche per quella di Lazzaro, e proprio nel momento in cui stava per compiere il miracolo della sua risurrezione. Il che dimostra la profondità abissale del senso della morte, che non può e non deve essere vanificato da certi artifici della tecnica.