Riccardo Barenghi, La stampa 20/3/2009, 20 marzo 2009
Abituati ai processi italiani, interminabili, farraginosi, ai loro riti, alle udienze che si susseguono per anni, ai rinvii da un mese all’altro per qualsiasi ragione o pretesto o futile eccezione della difesa, o magari perché il giudice di turno non ha molta voglia di lavorare, si resta colpiti da quello che è successo in Austria
Abituati ai processi italiani, interminabili, farraginosi, ai loro riti, alle udienze che si susseguono per anni, ai rinvii da un mese all’altro per qualsiasi ragione o pretesto o futile eccezione della difesa, o magari perché il giudice di turno non ha molta voglia di lavorare, si resta colpiti da quello che è successo in Austria. In tre giorni di dibattimento (preceduti però da un anno di istruttoria) si è arrivati alla sentenza di ergastolo per l’imputato, padre carnefice e infanticida. Non solo, si resta colpiti anche dalla civiltà con cui i mass media hanno seguito il processo. Nessun giornale, nessuna televisione, nessun sito Internet, nessun mezzo di comunicazione si è insomma lasciato prendere dal gusto del particolare macabro, neanche un piccolo brano del video di accusa della vittima è uscito dalle aule giudiziarie per essere sbattuto su qualche schermo e magari sezionato e «commentato» dagli invitati d’occasione, psicologi, politici, giornalisti. E questo non solo grazie alla deontologia professionale dimostrata dai nostri colleghi austriaci, ma anche grazie al fatto che nessun giudice o avvocato o cancelliere abbia «passato» alla stampa le informazioni che dovevano restare riservate e che tali sono rimaste. E questo è indubbiamente un esempio di civiltà dell’informazione. TRE GIORNI UN PROCESSO- Ma è un giusto processo quello che si conclude in tre giorni? Anche se l’imputato ha confessato, malgrado la schiacciante testimonianza della figlia, nonostante insomma l’evidenza dei fatti oltre ogni ragionevole dubbio, è questo l’esempio che si dovrebbe seguire? In altre parole, hanno fatto bene gli avvocati difensori a rinunciare al loro mestiere, visto che il loro assistito era inchiodato da prove schiaccianti e dalla sua stessa confessione? Oppure avrebbero comunque dovuto difenderlo sollevando eccezioni, chiedendo perizie su perizie, insomma allungando i tempi e fornendo quanto più materiale possibile nella speranza di ottenere almeno uno sconto di pena? una domanda che chiama in causa il rispetto delle garanzie e dei diritti degli imputati, anche rei confessi. Anzi, di più: chiama in causa la stessa concezione del processo e del ruolo della difesa. evidente che un processo troppo lungo, come la stragrande maggioranza di quelli che si svolgono in Italia, rischia spesso di essere un processo ingiusto perché alla fine la stessa condanna può essere superata dalla prescrizione o comunque annacquata dal tempo che è passato. Non a caso si discute da anni di certezza della pena senza che però questa certezza diventi mai certa. Di contro, un processo troppo breve rischia di essere sommario, hai visto mai che un domani si scoprisse qualcosa di nuovo (l’altro ieri in Inghilterra un uomo è risultato innocente dopo 27 anni di carcere grazie alla prova del Dna). Se dunque l’eccessiva brevità dei processi resta una questione controversa, così come controversa è la loro eccessiva lungaggine (e su questo noi dovremmo fare non uno ma dieci passi in avanti), quello che ci sembra indiscutibile è la civiltà mediatica che ha accompagnato la vicenda austriaca. Pensate se fosse successo qui da noi, cosa saremmo stati capaci di mettere in piazza, cioè sui giornali e soprattutto in televisione. Da Erika e Omar (Novi Ligure), a Annamaria Franzoni (Cogne), da Andrea Stasi (Garlasco) a Amanda Knox (Perugia), non ci siamo persi neanche un particolare, una macchia di sangue, una lacrima, un urlo di dolore, un pigiama, un pezzo di cervello sul soffitto... Nulla è stato risparmiato alle vittime e ai carnefici di quei delitti, tutto è stato dato in pasto a un’opinione pubblica (chiamiamola così) affamata di mostruosità. Dicono che si trattava del diritto di cronaca. Fesserie: i mass media austriaci hanno dimostrato che quel diritto si può esercitare egregiamente senza sconfinare nella morbosità.