Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  marzo 26 Giovedì calendario

TERRY MAROCCO PER PANORAMA 26 MARZO 2009

Finché mediatore non vi separi. Divorzio all’italiana. I matrimoni finiscono con più facilità ma lasciarsi è oggi più civile, soprattutto se ci sono bambini. Merito dell’affido condiviso e di centri che insegnano a dirsi addio. Come quello di Roma con civilisti, penalisti, psicologi, notai e commercialisti.
L’amore è sopravvalutato. Era il titolo di un romanzo di Brigitte Giraud: storie d’amore che finiscono male, coppie che devono dire ai figli che si separano e non sanno trovare l’ora adatta per farlo. Storie di ordinaria infelicità, come quelle dei padri che al Tribunale di Roma in preda al panico domandano ansiosi: « davvero obbligatorio questo affido condiviso?».
Sono passati tre anni dall’arrivo della legge 54/2006, secondo la quale i figli, in caso di separazione, sono affidati a entrambi i genitori. E i giudici la applicano in oltre il 90 per cento dei casi. Con una conseguenza: è cambiato il modo di lasciarsi, sostiene Alberto Bucci, ex presidente della Prima sezione del Tribunale di Roma, che per anni si è occupato di diritto di famiglia. «Una volta tutto era scontato, il figlio era affidato alla madre, la casa restava a lei».
In Italia, che pure è fra i paesi d’Europa dove è più lungo e complicato lasciarsi (634 giorni, solo dopo Irlanda e Polonia), i divorzi sono aumentati come mai prima: dal 1996 al 2006 del 51,4 per cento (le separazioni del 39,7). In termini assoluti significa 49.534 divorzi nell’ultimo anno e 80.407 separazioni (Istat). «Ci vogliono 6 mesi per ottenere la prima udienza di divorzio e 3 mesi per la separazione. C’è un rischio intasamento proprio perché i divorzi sono decisamente in crescita» conferma Bucci. «Tuttavia la situazione, almeno psicologicamente, è migliorata. Il livello di litigiosità è diminuito, la tensione è scemata. E la cultura dell’affido condiviso piano, molto piano, si fa strada».
Meno conflittualità e più rassegnazione: forse gli italiani stanno imparando a separarsi pacatamente. O forse si arrendono all’idea di lasciarsi, come a quella di perdere la valigia dopo un lungo viaggio.
Racconta Fulvio Scaparro, psicoterapeuta, fondatore nel 1987 della Gea (Genitori ancora), prima associazione nata per diffondere pratica e conoscenza della mediazione familiare: «Nell’elenco telefonico di New York ci sono pagine e pagine di mediatori. Non è una novità, già alla fine degli anni Sessanta negli Stati Uniti visitai centri che ti seguivano dalla culla alla bara, dal pediatra a chi tentava di traghettarti verso una buona separazione». Bucci, con un progetto pilota, ha creato nel Tribunale di Roma il primo Spazio minorenni che, spiegano i responsabili, in 3 anni ha assistito, informato, aiutato 108 coppie separate a rivolgersi a un centro di mediazione familiare (nella capitale quasi una ventina, uno in ogni municipio). E oggi la provincia ha istituito anche un numero verde per chi ha bisogno di aiuto.
Nei paesi anglosassoni la mediazione è spesso obbligatoria, si arriva davanti al giudice solo dopo essere passati al vaglio di «un terzo imparziale, che favorisce la comunicazione fra i coniugi, che fa capire come non ci debba più essere nella coppia uno che vince e uno che perde» sottolinea Scaparro. Dalla Gran Bretagna l’avvocato Marco Calabrese, civilista con esperienza in strutture internazionali, ha mutuato l’idea di uno studio dove chi deve separarsi può avere a disposizione un gruppo di esperti per ogni necessità. A Londra c’è lo storico Family law a Covent Garden, a Roma, da 3 mesi, ha aperto il Family law consortium in via del Babuino, a due passi da piazza di Spagna. Spiega l’avvocato Maria Maddalena Acernese, tra i soci fondatori: «Separarsi con civiltà si può, e così risolvere le crisi familiari, se possibile riaprire i canali tra le coppie, tutelare i minorenni».
Le parcelle si pagano in base a fasce di reddito. I professionisti sono 20, tutti con lunghe esperienze in diritto di famiglia, presidente la civilista Novella Telesca: «Ci sono arrivati, in questi primi mesi, casi di stalking, maltrattamenti, ma anche divisioni patrimoniali difficili».
Nello studio, civilisti, penalisti, un rotale (un matrimonio fallito su cinque è annullato dalla Sacra rota e le richieste sono aumentate tanto da preoccupare il Papa), commercialisti, psicologi, un notaio. «Incontriamo coppie in crisi che hanno bisogno di sapere tutto, da cosa dire ai figli a quali decisioni prendere. Gente smarrita» riferisce l’avvocato Maria Letizia Vallo. A loro, per esempio, si è rivolta una coppia mista (fenomeno in crescita, il 9 per cento dei matrimoni, 30 mila nozze celebrate all’anno) di medici. «Lei, del Mozambico, non riesce a fare carriera quanto lui e con l’arrivo dei figli la situazione precipita». Il rischio è di arrivare alla cosiddetta Pas (parental alienation syndrome), il mobbing di un genitore verso l’altro, come spiega Guglielmo Gullotta, che ha trattato l’argomento in La sindrome da alienazione parentale (Giuffrè). Avverte: « aumentata la tendenza dei genitori a influenzare i bambini per fini processuali. Una vera campagna denigratoria nei confronti dell’altro genitore: non viene più chiamato per nome, di lui/lei, scompaiono le foto in casa, se ne parla nel peggiore dei modi di fronte ai minorenni». I figli sono costretti, per sopravvivere, ad adeguarsi.
«Paradossalmente, quanto più è ben orchestrata, tanto più la Pas è invincibile, perché l’opinione del bambino appare autentica». Gli effetti di questi comportamenti sul bambino sono gravi: «Depressione, tratti antisociali, promiscuità sessuale, disturbi alimentari. Fino all’uso di droghe» enumera la psicologa del Family law consortium, Melania Scali. «I figli soffrono sempre di più e se la tv fa vedere che le famiglie allargate sono felici, la realtà non è questa. Le patologie dei minorenni sono in aumento» avverte Scaparro.
Le rotture familiari riguardano circa 400 mila persone l’anno. Secondo l’Istat, nel 2006 sono stati coinvolti 98.098 figli per separazioni e 46.586 per divorzi. Oltre metà delle separazioni (52,8 per cento) e un terzo dei divorzi (37,1 per cento) vedono implicati minorenni. Eppure, spesso non hanno voce, vengono lasciati sullo sfondo delle liti dei genitori. «Mi sono trovata davanti madri sconvolte che mi urlavano: ”Avvocato, ma lei da che parte sta?” solo perché mi preoccupavo prima di tutto dei loro ragazzi» racconta Lucilla Anastasio, segretario del consorzio familiare.
Grandi egoismi e spesso una sola vera preoccupazione, quella economica, come spiega la matrimonialista Laura Remiddi: « cambiato il modo di lasciarsi, la conflittualità è molto diminuita con l’affido condiviso. Non si litiga più tanto per i figli quanto per i patrimoni». Patrimoni che magari spariscono due ore prima della separazione, mariti che all’improvviso si ritrovano nullatenenti e mogli che non hanno la più pallida idea di cosa guadagnassero i loro sposi. «La legge non aiuta e la donna è ancora la più debole. Può ritrovarsi senza quella casa che al momento delle nozze le era stata comprata dal padre e che allora le era parso giusto intestare al marito». Racconta Maria Letizia Vallo: «Anni fa il Comune di Roma organizzò un corso prematrimoniale che trattava anche i problemi della separazione, ma non ebbe successo. Preferivano non sapere piuttosto che infrangere il sogno».