Varie, 20 marzo 2009
I RANDAGI DI SAMPIERI IN GOCCE
Domenica 13, ora di pranzo. Sampieri è una borgata marinara tra Modica e Scicli nel Ragusano, dove hanno girato alcune scene del Commissario Montalbano e dove Andrea Camilleri ha ambientato il libro Il Cane di Terracotta. Giuseppe Brafa, 10 anni, gira in sella alla sua bicicletta verde sulla pista ciclabile del lungomare, quando una quindicina di cani randagi lo aggrediscono. Azzannato alle cosce, al torace, al viso, viene trascinato per una decina di metri. Quando i carabinieri mettono in funzione la sirena della volante allora i cani mollano il corpo. Giuseppe è grave, perde sangue a fiotti. E, mentre l’elicottero che dall’ospedale di Modica deve trasferirlo al Cannizzaro di Catania accende i motori, dice «ho freddo, voglio la mamma» e muore (la Repubblica 19/3).
Gli stessi cani, dieci minuti prima, avevano azzannato un altro ragazzino, salvato dall’intervento di un passante, e in mattinata, ferito ad un polpaccio un uomo in bicicletta. Ad essere arrestato per omicidio colposo, malgoverno di animali e resistenza a pubblico ufficiale è un Virgilio Giglio di 64 anni. Lìestate scorsa la Procura di Modica gli aveva affidato la custodia di questi ed altri randagi, in tutto una sessantina. Quando i carabinieri sono andati ad arrestarlo, l’uomo si è barricato in casa e ha aizzato gli animali contro i militari. Alla fine si è deciso ad arrendersi in cambio ha chiesto che ai cani non fosse fatto del male (La Stampa 17/3).
Il giorno dopo Sampieri è un paese assediato dalle forze dell’ordine. I cacciatori sono carabinieri del Noe, dei Nas, guardie forestali, società di accalappiacani. Quaranta sono i randagi subito catturati ma il branco che ha ucciso Giuseppe è ancora in circolazione. E nel pomeriggio torna a seminare il panico. Fa irruzione in un giardino di una villetta, dov’è seduta una donna di 74 anni che per miracolo riesce a raggiungere la porta e barricarsi in casa. Intanto i militari fanno un sopralluogo nel canile del Giglio. La recenzione è inconsistente. Ci sono cumuli di ossa, carcasse di animali, sporcizia ovunque. A quanto pare i cani mangiavano solo ossa con brandelli di carne cruda, recuperata al macello di Modica o quella di altri cani morti. E mentre Giglio, davanti al Gip, nega che i cani incriminati appartenessero a lui, tra Comune, forze dell’ordine e Procura comincia lo scaricabarile. Per il sindaco di Scicli Giovanni Venticinque «quelli non erano cani randagi, ma affidati su disposizione della Procura a un animalista convinto. I cani stavano all’interno di una recinzione e non erano lasciati a se stessi. Per noi non erano più un problema». Per il procuratore Domenico Platania «i cani erano di proprietà di Giglio e siamo in possesso della relazione redatta dopo un sopralluogo fatto a settembre secondo il quale nella casa era tutto in regola. Cosa sia successo da settembre a ora non lo sappiamo». Ma qualcosa è successo e le segnalazioni erano state tantissime. Lo testimoniano le cronache locali della Gazzetta del Sud: almeno dieci i servizi su altrettante aggressioni da agosto a domenica scorsa (Corriere della Sera 17/3).
Passa ancora un giorno, è martedì. Verso le otto di mattina il sindaco Giovanni Venticinque insieme a due tecnici comunali sono in giro per un sopralluogo, quando vedono due cani che si disputano qualcosa e altri otto che gli girano attorno latrando, chiamano i carabinieri e intanto provano ad intervenire. Quel qualcosa è Marya M., una ragazza tedesca di 24 anni al suo ultimo giorno di vacanza a Sampieri. Stava facendo footing sulla spiaggia quando i cani le si avvicinano. Impaurita, si mette a scappare e quelli le saltano addosso. Uno le azzanna il volto strappandole l’occhio destro e gli zigomi, sfigurandola fino al collo. Altri s’avventano sulle gambe, sullo stomaco, sul seno finché non arrivano i militari che sparano in aria e riescono ad allontanarli (la Repubblica 18/3).
Nella stesse ore in cui 6mila persone, tutto il paese di Modica, sta celebrando i funerali del piccolo Giuseppe nel Duomo di San Giorgio, Marya e sul lettino della sala operatoria dell’ospedale Cannizzaro di Catania. I medici ricostruiscono l’ampia lacerazione facciale, riattaccano l’orecchio sinistro, bloccano le ossa nasali fratturate, ricostruiscono palpebre labbra e naso, suturano braccia e gambe, torace e addome. Si salverà (Il Messaggero 18/3).
Dopo il nuovo assalto dalla prefettura di Ragusa arriva l’ordine di abbattere i randagi. Le strade di accesso al litorale vengono sbarrate. I residenti sono invitati a restare in casa. Le forze dell’ordine si mobilitano. Due cani azzannano un carabiniere e vengono abbattutti. Ma a breve giunge l’intervento del sottosegretario al Welfare Francesca Martini: nessuna caccia, i cani vanno solo narcotizzati e catturati. Alla fine della giornata di martedì in libertà ce ne dobrebbero essere rimasti meno di una decina (Corriere della Sera 18/3).
Il giorno dopo vengono catturati altri sei. Quattro tutti insieme, a mezzogiorno, tra cui il capobranco. una femmina di 4 anni, meticcia, di taglia pittosto piccola, dal pelo nero che diventa bianco sul petto e sulle zampe. Gli altri tre sono figli suoi che non hanno più di nove mesi. Adesso l’aggressività di quelli rimasti liberi è ridimensionata dal numero ridotto del gruppo e, sopratutto, dall’assenza della madre che li guidava. La caccia è guidata da Sergio Bramante, fondatore di una cooperativa che si occupa di randagi e che in questi giorni ospita gli oltre 40 animali accalappiati sulla spiaggia di Sampieri. Certo che prima o poi sarebbero tornati nella loro tana si è messo ad aspettarli proprio nel canile del Giglio. Fulvio Milone: «E arrivano davvero, alle 10.30. Prima tre, poi quattro. Avanzano esitanti, fiutano l’aria con diffidenza. Il terreno tutt’intorno alla casa è disseminato di pentole piene di bocconcini impregnati di acepromazina: un sedativo abbastanza potente da intontire il cane e impedirgli di andare lontano. La prima ad accostarsi al cibo è la madre capobranco. I cuccioli le stanno attorno a una certa distanza, quasi a proteggerla [...] Mangia tutto, la madre. Non lascia nulla ai cuccioli e questo è un problema. ”Dovremo preparare altra esca ¬’ spiega Sergio – e nel frattempo i cani potrebbero allontanarsi”. Non se ne vanno, per fortuna. Neanche dopo la cattura della madre. Disorientati dall’assenza del capobranco, intimiditi dal ”ringhio” insistente del Bramante che nel frattempo li ha raggiunti e correndo in circolo blocca loro le vie di fuga, continuano a vagare attorno alla casa. Trascorrono ore prima che si decidano a mangiare le esche. Poi, finalmente, anche loro si accucciano, intontiti, fra i cespugli» (La Stampa 19/3).
Secondo il Ministero della Salute sono circa 600 mila i cani randagi in Italia. Un quarto è ospitato nei canili, gli altri girano per strada, prediligendo le regioni del Sud: 70mila sono i randagi in Calabria, Sicilia e Puglia, 60mila nel Lazio e in Campania. I comuni che non hanno un canile comunale o una convenzione con una struttura privata sono 1.650 (l’80% sono del sud), mentre 1.200 sono quelli che non dispongono di un servizio per la cattura dei cani randagi. Intanto lo Stato dal 2001 a oggi per combattere il randagismo ha stanziato 30 milioni di euro (3 dei quali per la Sicilia). Ma il randagismo, dicono gli esperti, è anche un problema culturale. Nasce cioè dall’abbandono. Secondo l’Associazione per la difesa degli animali, nell’estate del 2008 su strade e autostrade sono stati lasciati 14 mila cani, il 19 per cento in meno rispetto al 2007. Ma se a Milano gli abbandoni sono calati del 25 per cento, tra Sicilia, Puglia, Sardegna e Campania sono cresciuti del 5 per cento, con punte del 30 per cento. Carla Rocchi, ex senatrice e presidente dell’Enpa: «Nei piccoli centri del Sud i cani sono lasciati troppo all’aperto, spesso vivono giorno e notte senza mai essere tenuti in luoghi recintati e ciò non aiuta certo a tenere sotto controllo né il loro comportamento né il ritmo riproduttivo» (Corriere della Sera 18/3).
Il randagismo è regolato dal 1991, anno in cui la legge quadro 281 per debellare il randagismo decreta che i cani senza padrone non debbano più essere soppressi ma è responsabilità dell’amministrazione comunale, nel cui territorio gli animali vivono, ospitarli temporaneamente (massimo due mesi) in strutture pubbliche di prima accoglienza – i canili sanitari – dove dovrebbero essere sterilizzati, vaccinati e curati, in attesa di essere adottati o di essere trasportati, nei rifugi, dove finire serenamente i propri giorni (Il Messaggero 19/3).
Annalisa Bucchieri: «Attualmente vi sono 465 canili sanitari e 679 rifugi (con 149.424 ospiti) che, sebbene per legge avrebbero dovuto essere strutture pubbliche gestite dai comuni e dalle Asl sono state quasi tutte appaltate a privati, tramite convenzioni. Convenzioni che fruttano un giro d’affari annuo di 500mila euro per struttura. Ciò non incentiva evidentemente la politica delle adozioni: se gli animali rimangono rinchiusi, più contributi ricevono le strutture. Basti pensare che il comune eroga alla società o associazione esercente del canile da 1,80 euro fino a 5 euro al giorno per il mantenimento alimentare dell’animale. Quindi meno il cane mangia, più si guadagna. Per lo smaltimento di una carcassa dai 50 ai 75 euro. Meno si vaccinano e si curano gli animali, prima muoiono e più si guadagna. Per l’accalappiamento di un nuovo cane dai 35 ai 40 euro. Non conviene sterilizzare, dunque, perché terminerebbe la riproduzione della ”fonte di profitto”. E mentre i gestori dei rifugi guadagnano le amministrazioni comunali vanno in perdita. Ad esse spetta infatti l’onere di risarcire le persone che vengono aggredite da un randagio (per un morso la vittima può ottenere fino a 5mila euro) o subiscono un danno personale o all’autovettura nei tanti casi di incidenti stradali provocati dagli animali che deambulano notte e giorno sulle arterie stradali (secondo l’Istat si aggirano intorno ai 6mila l’anno gli incidenti automobilistici provocati da animali randagi o abbandonati)» (Il Messaggero 19/3).