Alessandra Farkas, Corriere della sera 18/3/2009, 18 marzo 2009
L’FBI TROVA LA RETE DEI TREMILA «AIUTANTI SUICIDI»
Aveva già scelto il metodo e il luogo della sua morte, che avrebbe dovuto consumarsi lo scorso 26 febbraio nella casetta vicino a Chicago dove vive con la madre. Ad aiutarlo: un flacone di elio puro e due guide spirituali di Final Exit, un’associazione non profit di tremila persone che dal 2005 assiste gli aspiranti suicidi in decine di Stati. Finora aveva agito nell’ombra, ma ora questo caso l’ha messa sotto i riflettori dell’America: si teme che possa già aver aiutato duecento persone a farla finita.
Ma a rovinare i piani di Kurt Perry, un 26enne affetto da Charcot-Marie- Tooth (CMT), una sindrome neurologica ereditaria a carico del sistema nervoso periferico, è stata l’Fbi che a meno di 24 ore dall’ora X ha costretto Final Exit a chiudere i battenti. All’alba del 25 febbraio, in un paesino sperduto della Georgia, due guide avevano bussato alla porta di un presunto malato di tumore, che aveva chiesto il loro aiuto per porre fine al suo calvario.
In realtà l’uomo era un agente undercover del Georgia Bureau of Investigation,
che li monitorava dallo scorso giugno, quando avevano aiutato un altro malato. Oltre a incriminare i due volontari per violazione della legge statale sul suicidio assistito, le autorità hanno congelato i beni dell’organizzazione, in attesa del processo.
«Per noi è la fine: senza soldi non potremo pagare gli avvocati e perderemo », profetizza Jerry Dincin, il 78enne psicologo in pensione e presidente ad interim dopo l’arresto dell’ultimo presidente. Proprio Dincin, insieme alla 76enne Rosalie Guttman, avrebbe dovuto accompagnare Perry nel suo ultimo viaggio. Per il giovane, che da tre anni si stava preparando a morire con loro, è una tragedia.
«Final Exit è come una famiglia – spiega al Chicago Tribune ”. Mi impegnerò per farli assolvere. Farò il possibile per aiutare il movimento del diritto a morire». La sua storia ha già spaccato in due l’America, dove solo l’aborto e le nozze gay scaldano gli animi quanto ciò che i detrattori chiamano «suicidio assistito».
«Non ci interessa aiutare gente che ha rotto col fidanzato o perso il lavoro», si difende Dincin, convertitosi alla filosofia della «morte con dignità » dopo un tumore alla prostata. «Offriamo solo conforto, mai partecipazione – insiste ”. Siamo esseri umani che assistono altri esseri umani mentre passano dalla vita alla morte».
Ma se i depliant di Final Exit promettono aiuto solo a «gente che soffre a causa di una condizione intollerabile », persino la Charcot-Marie- Tooth Association fa notare che, pur portando alla perdita di tono muscolare e sensibilità al tatto (in particolare agli arti inferiori al di sotto del ginocchio), la sindrome di Perry non è mortale e non lede le funzioni cerebrali.
E adesso persino la Guttman, una delle sue due exit guides, si dice contenta che Perry non sia morto. «Due settimane fa, durante una vacanza a Washington e Baltimore, si è divertito come un bambino – spiega ”. Penso che sia ancora una persona vitale, che può provare momenti di gioia e di vero piacere nella vita».