Maurizio Bono, La Reppubblica 18/03/2009, 18 marzo 2009
EDITOR I SEGRETI DEI TAGLIATORI DEI ROMANZI
Buon divertimento ai filologi del futuro: nonostante l´avvento del computer e il passaggio dai drastici tratti di penna alla Gordon Lish (l´editor che mutilava e riscriveva Carver) al tasto "delete" del computer che non lascia traccia, almeno parte degli interventi editoriali sui testi dei romanzi italiani man mano avviati alle stampe è al sicuro. Da Segrate li archiviano alla Fondazione Mondadori, scatole di bozze impaginate, con le correzioni e le indicazioni a colori: rosso per i refusi, matita nera per i cambiamenti stilistici suggeriti, verde per le incongruenze, blu per i tagli proposti. E sui bordi le risposte di pugno dell´autore alle osservazioni dell´editor: sì se accetta, varianti scritte a mano dove riscrive.
Documentazione riservata ma un domani utile per una controversia postuma o a sfatare tenaci leggende, come quella che il best seller di Paolo Giordano La solitudine dei numeri primi sia stato limato, levigato, tirato a lucido da editing robusti e ripetuti. Tutti l´hanno sempre smentito: l´autore, gli editor, il direttore editoriale Antonio Franchini che rivendica solo d´aver acchiappato al volo il manoscritto da un milione e 300 mila copie e scelto il bel titolo, «che comunque era già dentro il romanzo». Ma tant´è, sono molto cambiati i tempi da quando a officiare con ruvido e autorevole garbo la magia dell´intervento sull´autore perché intervenisse sui propri testi erano una Grazia Cherchi o un Cesare Garboli. Così la voce resiste e la "prova" è tenuta da conto in caso di futuro "cold case". Lo stesso accade in altre case editrici perché sui blog e nelle chiacchiere del salotto letterario il sospetto sulla "manipolazione" del manoscritto d´autore divampa. E sorprese come il "vero" Carver pubblicato dalla vedova gettano benzina sul fuoco.
Nei romanzi italiani felicemente editi, però, tira tutt´altra aria. Una rivoluzione scritta dopo la parola fine: nei "ringraziamenti" dei romanzieri, fino a poco fa riservati a parenti e occasionali consulenti tecnici, appaiono sempre più frequentemente proprio gli editor, pudicamente citati per nome o a chiare lettere. Nel thriller Il suggeritore di Donato Carrisi, (best seller Longanesi venduto in sei paesi europei) lo si nota perché lo scrittore esagera: una trentina di ringraziati di cuore e la parte del leone la fanno «Luigi e Daniela Bernabò per i consigli che mi hanno permesso di maturare aiutandomi a curare lo stile e l´efficacia. Grazie. Grazie. Grazie», e poi grazie a «tutte le collaboratrici dell´agenzia Bernabò che hanno seguito i primi passi del romanzo» e ancora agli «amici che hanno letto in anteprima la storia e mi hanno aiutato a farla crescere». Sarà che Carrisi viene dalla sceneggiatura ed è abituato ai titoli di coda, ma così segnala che la terapia di gruppo intensiva sul testo non é più esclusiva delle case editrici, a volte le precede. Daniela e Luigi Bernabò, una delle più importanti agenzie in Italia, tra i clienti Ken Follett e Dan Brown, confermano: «Riteniamo di dover portare all´editor un testo che sia già pienamente accettabile». Carrisi aveva «già una marcia in più», ma dopo una serie di osservazioni l´autore l´ha «asciugato, anche nella lingua, e ripulito di un vezzo cinematografico: le azioni erano sempre portate alla fine, la porta si chiude dopo l´uscita del personaggio; la cornetta si abbassa a telefonata conclusa. In un romanzo non serve».
Oppure l´editing viene affidato dall´editore a uno specialista esterno come Laura Lepri, che lo fa da vent´anni (ha lavorato su Va´ dove ti porta il cuore) e ora nota dei cambiamenti: «La qualità media dei manoscritti si è alzata grazie al successo dei gialli e alle scuole di scrittura. E la demonizzazione dell´editing è finita, restano solo i cascami del rifiuto ideologico, che si risvegliano ogni volta che l´editor si dimentica di restare defilato e al servizio dell´autore».
L´ultima volta l´ha fatto Sergio Claudio Perroni, che ha scritto sul risvolto del suo primo romanzo di essere l´editor «per esempio di Veronesi e Buttafuoco». C´è chi non glielo ha ancora perdonato. Ancor più clamore aveva fatto l´editing di 100 colpi di spazzola prima di andare a dormire di Melissa P., un milione di copie dal 2003. Girano ancora su internet 40 pagine ingenuamente porno-sfacciate, con esilaranti strafalcioni, intese a mostrare com´era la prosa di P. prima del trattamento editoriale (era un abbozzo spedito a case editrici meno svelte di Fazi, che l´ha pubblicato). Oggi quell´editor, Simone Caltabellota, lavora alla raffinata Elliot e non è pentito: «Le ho detto: sei brava, ma devi tirar fuori la tua voce, usa l´io. Lei ci ha pensato e ha rimontato tutto come un diario. Ma se il libro non c´è, anche l´editor più bravo non può farci nulla». E nessuno è perfetto: «Quand´ero da Fazi ho rifiutato Tre metri sopra il cielo».
Quel romanzo giovanilista invece l´ha preso nel 2004 Alberto Rollo, autorevole direttore editoriale di Feltrinelli. Ha chiesto a Moccia di cambiare l´epoca (si svolgeva negli ´80) e "asciugare" cento pagine. Ma Rollo ha una visione maieutica dell´editing che va oltre il taglio. «Dipende dal tipo di libro. Nei saggi è un lavoro certosino di controlli, uniformità e ritmo. Nella fiction più spesso occorre aiutare l´autore a riconoscere dove va la sua lingua, alla ricerca della giusta tonalità. Solo per gli story-teller, mi sento di dire che si può arrivare a lavorare insieme nell´officina delle idee narrative dell´autore». Vuol dire quando il libro non c´è ancora o è solo agli inizi, orientandone lo sviluppo. Lavora così con Maurizio Maggiani («un narratore di qualità che tende a eccessi di liricità epica») e con Simonetta Agnello Hornby («si parte dall´idea, che a lei piace molto esporre, e si procede per tappe. Emozionante»).
Se l´editing fosse un delitto, questo sarebbe perfetto: niente forbici o risentimenti come nella chirurgia letteraria. Invece è probabilmente il futuro e ne sono convinti nella più vasta fabbrica di romanzi d´Italia, Mondadori. Sotto la supervisione di Franchini – che sull´editing tradizionale raccomanda cautela – si muove una squadra di giovani guidata dalla trentunenne entusiasta Giulia Ichino, cresciuta alla scuola di Vittorio Spinazzola e Renata Colorni, e ormai adorata da esordienti e parrucconi: «L´importante è il transfert editor-scrittore, fatto di attenzione a stile e trama, ma soprattutto di fiducia ed empatia. Qui si chiama "caring", il risultato è un´editoria più simile alla cucina redazionale di una rivista, un lavoro non su testi compiuti atterrati sulla scrivania, ma nati dal confronto, a volte perfino su impulso dell´editore. Ho visto discussioni del genere con Saviano e Buttafuoco». Tra i progetti ora in cantiere varati in questo modo ci sono romanzi sui generis che forse non potevano nascere altrimenti: il libro di una ginecologa siciliana che ha per protagoniste "le minne", da quelle "di Sant´Agata", dolci tradizionali a forma di mammella, al simbolo di femminilità, al cancro al seno. O l´epopea dell´Autosole scritta da un ingegnere. Se somiglia a una delle frontiere dell´editoria Usa (romanzi-non romanzi di outsider di talento) non è un caso. un metodo.
Così pound dimezzò Eliot di Irene Bignardi
Dice, in stile Catalano, l´American Heritage: «l´editor è uno che edits». Definizione che non spiega granché. Solo l´esempio di chi ha fatto questo mestiere generoso e altruistico di "letterato ombra" ce ne dà un´idea. Come Mr Shawn, il grande editor del New Yorker dei tempi d´oro, colui che diede preziosi consigli a Salinger (che gli dedicò Franny and Zooey), l´uomo modesto immortalato in un libro intitolato Remembering Mr. Shawn´s New Yorker: The Invisible Art of Editing: l´invisibile arte dell´editing, l´arte di tagliare, cucire, migliorare senza lasciar traccia e ferite.
L´esempio più celebre è probabilmente Maxwell Perkins, anima della Scribner´s, editor di grandi scrittori, da Hemingway a Thomas Wolfe, da James Jones a Ring Lardner, di cui ha studiato, riletto, riscritto i libri. Entrato da Scribner nel 1910 Perkins nel 1920 incontrò il suo primo grande autore. Era un ragazzo di ventiquattro anni che aveva già ricevuto due dolorosi no. Si chiamava Francis Scott Fitzgerald.
Perkins decise di pubblicare il libro, che uscì (e questo non è proprio da grande editor) con molti refusi. Ma bello, dopo il loro lavoro comune, come è bello Di qua dal Paradiso. Vendette 35.000 copie, diede voce a una generazione e aprì la strada alla collaborazione tra Scott e Perkins che, tra discussioni, lavoro di bulino e tentativi di Maxwell di frenare l´autodistruttività di Fitzgerald, arrivò fino a Tenera è la notte.
Era una persona così speciale, Perkins, che anche chi aveva a che fare con lui finiva per seguire il suo esempio. Lo stesso Fitzgerald, tanto per fare un nome. Quando, dopo il successo di Il grande Gatsby, Scott conobbe a Parigi Ernest Hemingway, allora giovane giornalista con un bel libro imperfetto nella valigia che si intitolava The Sun also Rises, ovverossia Fiesta, lo prese sotto la sua ala protettrice, lo presentò a Perkins, lesse i suoi testi, suggerì con molta intelligenza modifiche che vennero accettate, pilotò il suo ingresso nella società letteraria. E, come racconta Scott Donaldson in Hemingway contro Fitzgerald (e/o), lo aiutò a tirare Fiesta fuori dal suo bozzolo. Con poco gratitudine, come si sa, da parte di Hemingway, che però ascoltò saggiamente i consigli di Perkins, attenuando le punte estreme del suo linguaggio.
E i poeti? Anche se sembra impensabile l´editing sulla poesia, è storia che un grande poeta, Ezra Pound, si applicò con l´abnegazione dell´editor a La terra desolata, che T. S. Eliot gli aveva affidato, che lui elaborò e snellì, e che gli venne dedicato dall´amico poeta con le parole «Al miglior fabbro»: a colui che, riuscendo nell´impresa di ridurre il poema di almeno la metà, di enuclearne il meglio, aveva contribuito a fare il capolavoro che ci è giunto (se siete curiosi, cercate in libreria il testo originale e le correzioni di Pound in una edizione Rizzoli a cura di Alessandro Serpieri).