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 2009  marzo 16 Lunedì calendario

QUESTA CRISI APPESA ALLE GONNE


Si avvicina la primavera. Lo si sente nell’aria, più dolce nonostante il vento. E si vede anche. Appaiono in giro le prime minigonne. In metropolitana, nei tavolini all’aperto dei bar, è aumentato il numero delle ragazze che indossano la gonna corta, seppure sempre con gli stivali. Un doppio segno: la primavera in arrivo, ma l’inverno non ci lascia ancora. Forse in primavera e in estate trionferanno le minigonne? «Una rondine non fa primavera», dice il proverbio. Probabilmente è vero. Nelle ultime sfilate di moda le gonne si sono allungate e nelle prossime stagioni, sino all’autunno compreso, decretano gli stilisti, andrà per la maggiore la gonna lunga.
Questo sembra confermare uno schema esposto qualche anno fa da Desmond Morris, studioso di comportamento umano, in L’uomo e i suoi gesti (Mondadori): esiste un rapporto preciso tra l’andamento dell’economia occidentale e la lunghezza dell’abito femminile, gonna in particolare. Nei ruggenti Anni Venti le gonne erano corte, stile charleston, cui seguono gonne lunghe durante la recessione degli Anni Trenta. Durante la Seconda guerra mondiale, con l’economia di guerra in crescita, tendono a diventare corte, per poi crescere nel corso dell’austerità postbellica. Il periodo in cui appaiono le «mini», conquistando il mondo, sono gli anni 60, durante il boom economico: le gonne sono appena corte nel 1960, cortissime nel 1968-69, per allungarsi di colpo nel 1970 e diventare molto lunghe nel 1971. Non sono mai più state così corte, almeno come fenomeno di massa, per quanto, dopo d’allora, la minigonna sia entrata a far parte stabilmente della moda, e ritorni di continuo, più come una scelta personale che come stile diffuso.
Morris spiega che gli stilisti hanno cercato più volte d’opporsi a questo rapporto tra economia e lunghezza dell’abito - quando la Borsa sale le gonne le seguono, e quando la Borsa scende le gonne pure -, ma sempre con risultati disastrosi. Dato che il prezzo della gonna è spesso legato alla quantità del tessuto utilizzato, durante il boom degli Anni 60 le case di moda cercarono di allungarle, lanciando la gonna «midi», lunga il doppio della «mini», senza successo. Poi vennero persino gli hot-pants, che sono ricomparsi qualche tempo fa più volte, poco prima dell’esplosione della bolla finanziaria. Forse è con questo medesimo criterio che si può interpretare l’accorciarsi delle magliette e l’esposizione dell’ombelico? Il boom dei mutui facili ha corrisposto quasi perfettamente a questa moda femminile. L’antropologo inglese si fa una domanda: perché le donne dovrebbero essere più inclini a mostrare le gambe quando l’economia è più sana? Forse la sicurezza economica le induce a essere più disponibili nei confronti dei maschi? Oppure l’euforia che circola nella società le fa sentire più attive fisicamente, scegliendo la gonna «mini» che facilita i movimenti?
Una risposta sicura non c’è. Ma la corrispondenza tra ciclo economico e lunghezza della gonna appare convincente. Bisognerà dunque tenere d’occhio la lunghezza dei vestiti femminili, e cercare di capire da lì se la crisi sarà passeggera, oppure no, se sarà forte oppure debole. Tutto, naturalmente, senza usare il metro da sarta. Basterà il colpo d’occhio.