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 2009  marzo 17 Martedì calendario

I FUORI CORSO? QUASI LA META’. E’ IL FLOP DEL 3+2


Il ”3+2” è un flop. Colpa degli errori di applicazione e delle distorsioni che lo hanno accompagnato. Non c’è solo il proliferare clientelare dei corsi di laurea e la frammentazione delle materie. Dopo un calo iniziale, la piaga dei fuori corso aumenta. La riforma, che doveva servire a ridurre il numero dei ritardatari, non ha ottenuto i risultati sperati. Infatti il numero degli studenti-lumaca cresce. Così a otto anni dall’avvio i numeri dicono che occorre una profonda revisione del doppio livello di laurea. Ecco i dati: oltre quattro studenti su dieci non sono in regola e il fenomeno tende a peggiorare. Nel 2006-2007 gli «studenti fuori corso o ripetenti erano il 40,7% degli iscritti all’università, tra vecchio e nuovo ordinamento», recita il nono Rapporto del Comitato nazionale di valutazione, presentato lo scorso dicembre. Dato che ha già subito un incremento. Consultando il sito del Comitato si scoprono aggiornamenti inediti: «Nel 2007-2008 il totale di studenti (vecchio e nuovo ordinamento) è pari a 1.806.056, di questi risultano regolari (ovvero iscritti da un numero di anni non superiore alla durata del corso) 1.058.628, pari al 58,6% del totale. Risultato: gli iscritti non regolari sono 747.428, il 41,4% del totale», lo rileva il Comitato nazionale di valutazione. Se poi si va indietro nel tempo si vede che il numero dei regolari è in progressivo calo. Nel 2006-2007 erano il 59,3%, nel 2007-2008 il 58,6%. Si può ipotizzare che siano gli studenti ante riforma a tenere alta la percentuale del fuori corso. Ma è vero in parte. Infatti, nel 2006-2007 i fuori corso del nuovo ordinamento, ossia quelli del ”3+2”, erano il 31,5%. Nel 2007-2008 sono diventati il 36% (il totale degli iscritti al ”3+2” è di 1.499.008, di questi sono regolari 959.356, ossia il 64%). Anzi, c’è un dato ancora più sorprendente. Nel vecchio ordinamento il numero dei regolari nel 2005-2006 era del 5,1%, nel 2006-2007 è salito al 5,7%. «C’è una tendenza opposta nei corsi del nuovo ordinamento - osserva il Comitato di valutazione - Poiché, confrontando gli stessi periodi, la regolarità degli studi si è ridotta di 2,5 punti percentuali, toccando i valori più bassi dall’introduzione della riforma».
E’ desolante il quadro che emerge dal dossier. Significa che il nuovo ordinamento, nonostante qualche miglioramento ottenuto, non fa decollare l’università italiana. Su oltre un milione e ottocentomila studenti solo un milione è in regola con gli studi. Il 41,4% di ripetenti o fuori corso è il valore più alto registrato in tutto il periodo considerato, prova che il sistema è in crisi. Dai dati per nulla incoraggianti si evincono le difficoltà degli studenti italiani nel tenere il passo con le lezioni e gli esami. A suscitare preoccupazione ci sono anche le cifre degli abbandoni: «Uno studente su cinque dopo avere frequentato il primo anno getta la spugna». Preoccupanti anche le percentuali degli ”studenti inattivi”, che nel corso dell’anno precedente non hanno sostenuto alcun esame o acquisito crediti formativi: nel 2005-2006 sono stati il 16%, nel 2006-2007 il 18,3%. I dati negativi sono in crescita.
«Il ”3+2” non solo non ha risolto i problemi, ma ne ha creati altri. Ha prodotto un netto abbassamento della qualità della didattica danneggiando gli studenti - sostiene Nunzio Miraglia, dell’Andu, l’Associazione nazionale docenti universitari - La riforma è stata imposta, è stata una operazione di ammodernamento dall’alto, i cui risultati sono sotto gli occhi di tutti. Uno dei mali peggiori è stato il proliferare di stampo clientelare dei corsi di laurea. E’ stato un errore anche avere imposto un meccanismo rigido nella articolazione degli anni. Più volte abbiamo richiesto un monitoraggio della riforma, senza pregiudizi, senza dire che tutto è sbagliato». L’altro problema è quello degli sbocchi professionali: le lauree triennali hanno come obiettivo la formazione di professionalità definite, però il mercato ha molte resistenze nei confronti dei triennalisti. Risultato: la maggior parte degli studenti sente di avere una «laurea di serie B» e va avanti con il biennio specialistico, allungando i tempi di permanenza all’università, il contrario di quello che si auspicava.
Positiva, invece, l’esperienza di molti atenei del Nord. Il rettore del Politecnico di Milano, Giulio Ballio, fa un bilancio favorevole del ”3+2”: «Siamo riusciti ad abbassare l’età di ingresso nel mondo del lavoro, ci è costato lacrime e sangue ma ci siamo riusciti, cambiando i contenuti di tutti i corsi di laurea». Convinto che si debba fare una riforma del ”3+2” il rettore di Tor Vergata, Renato Lauro. «Molte scelte andrebbero riviste, l’esperienza non è stata positiva - osserva Lauro - Però va anche detto che nel settore delle professioni sanitarie la laurea di primo livello ha risolto molti problemi. Penso comunque che se i ragazzi non tengono il passo il problema è anche legato alla fragilità della loro preparazione». «Certo, la scuola ha le sue colpe - osserva Mauro Moresi, docente dell’ateneo della Tuscia - E’ soprattutto scarsa la formazione di base in matematica, fisica e in genere nelle materie scientifiche». Ma anche nel campo letterario ci sono carenze, lo dimostrano i tanti corsi di alfabetizzazione che molti atenei hanno dovuto allestire per le matricole.
Quando Luigi Berlinguer si adoperò per varare la riforma, partì dalla constatazione che l’età dei neolaureati italiani era in media molto alta, oltre i 27 anni, che le università avevano un numero enorme di studenti fuori corso e che il numero degli abbandoni era elevato, sette su dieci. Nacque la formula del ”3+2” che richiedeva che gli universitari si rimboccassero le maniche e organizzassero i loro insegnamenti in modo efficiente. Pochi lo hanno fatto, il sistema feudale dell’università italiana ha prodotto reazioni patologiche, dalla moltiplicazione dei corsi a quella degli esami, incurante degli obiettivi da raggiungere.