Marina Verna, La stampa 17/3/2009, 17 marzo 2009
DUE ARTICOLI:
MISTERO ROSEMARIE "DIMENTICATEVI DI ME"-
C’è una figura enigmatica, in questa storia. Impenetrabile, sfuggente. E’ Rosemarie Renner, 69 anni. E’ stata la moglie di Fritzl, gli ha dato sette figli, da un anno ha tagliato ogni legame con lui: ha cambiato nome e città, vive con un numero imprecisato di figli e di nipoti in un appartamentino al primo piano di una casa di Linz. Vita grama, un’unica entrata: la pensione. Metà se ne va per l’affitto. Per vivere non le resta molto. «Non ho denaro - ha detto in una intervista al Sun -, solo l’orgoglio e la mia famiglia. La gente ha detto tante cose di me, ma io non posso parlare. Voglio solo essere dimenticata».
Qualche parola in più arriva dalla sorella Christine, che sempre al Sun ha detto: «Rosemarie è stata distrutta da questa storia, è un relitto emotivo e psichico. Esce di rado, e solo per fare una passeggiata. Se non avesse i ragazzi, non so che cosa avrebbe fatto. Con Josef ha avuto una vita terribile ma adesso è ancora peggio. Tutti pensano che non poteva non sapere, invece è proprio così. Non sapeva che cosa succedeva in cantina, le era proibito anche solo chiedere».
Gli inquirenti non hanno mai formulato un’accusa nei confronti di Rosemarie. L’hanno interrogata ma l’hanno scagionata da qualunque collusione con il marito. C’era stata una segnalazione: qualcuno l’aveva vista in un supermercato con lui, a comprare pannolini e omogeneizzati, ma lei aveva dato una spiegazione convincente e l’avevano lasciata andare in pace. I fantasmi, invece, in pace non la lasciano.
«IL DOMINIO TOTALE ERA IL SUO AFRODISIACO»-
5 domande al Vittorino Andreoli, psichiatra
Professor Andreoli, Josef Fritzl, nei suoi colloqui con gli psicologi in carcere, ha detto di aver segregato la figlia per amore: «Non la vedevo come una figlia, ma come una moglie e una partner». E’ possibile o è solo una linea difensiva?
«Se l’avesse veramente considerata una moglie non l’avrebbe segregata. Quindi è una spiegazione strumentale. Probabilmente per lui il dominio totale aveva una forte valenza sessuale. Per capire questi casi bisogna tener conto che la sessualità è parte del dominio e il fatto di poter disporre totalmente della vita e della libertà di una persona è come un afrodisiaco».
Fritzl ha pure detto di essere «nato per stuprare». E’ un tipico caso clinico?
«Lo stupro è un comportamento che comincia a fare parte anche della nostra cultura, dove la sottomissione diventa un ingrediente necessario perché il piacere accettato non basta più».
Passando alla moglie: è possibile che non sapesse?
«Direi proprio di no, lo sapeva di sicuro ma anche lei era una vittima. Vivere accanto a una personalità istintiva, pulsionale, che vive solo dominando, è terribile perché non lascia scampo: o fai come ti dice o ti sopprime».
Dunque, tra marito e moglie c’era un gioco delle parti?
«Assolutamente sì. E in fondo, che cosa rimane a lei? La sua salvezza è aiutare la figlia a fare la madre, il che vuol dire fare la moglie, mantenere il proprio ruolo gregario nei confronti del marito. Con la figlia invece c’è complicità. E’ probabile che ci sia una perfetta identità tra le due, ognuna si identifica nell’altra, senza competizione, perché c’è una sorta di ruolo comune. Tutte e due dipendono dal padrone. In questi casi - e io ne ho visti anche in Italia - si generano relazioni che a noi sembrano strane, ma rientrano abbastanza bene nello schema del padrone che delle donne fa quello che vuole e quelle si adattano per sopravvivere».
Ma come può una situazione simile durare per decenni?
«Dura perché ormai non c’è più nessun conflitto tra madre e figlia. Se entrambe accettano il rapporto di dipendenza dall’uomo, tutto segue una regolarità che diventa banale. Il male si cronicizza. Difficile è il primo periodo, quello dell’adeguamento, poi la situazione diventa un trantran. Io la definirei una variabile della sindrome di Stoccolma, con la vittima del sequestro che manifesta sentimenti positivi nei confronti del proprio rapitore. Che all’inizio è certamente un mostro, ma poi si riesce a vivergli insieme».