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 2009  marzo 17 Martedì calendario

SE I PREMI LETTERARI DANNO I NUMERI


Può servire qualche elemento statistico per valutare se davvero il maggior premio letterario italiano, lo Strega, sia influenzato dalle grandi case editrici come si dice? Vediamo. I numeri, dunque. Nelle 62 edizioni dello Strega, la Mondadori, che oggi (dopo le due vittorie consecutive di Ammaniti e Giordano) è in odore di prevaricazione, ha vinto 20 volte, anzi 21 se aggiungiamo il Rea del ’93 pubblicato sotto la sigla Leonardo. Dunque, secondo gli Amici della Domenica nel dopoguerra la Mondadori ha prodotto il miglior romanzo italiano un anno su tre: una media favolosa. Addirittura migliorata nell’ultimo decennio con cinque vincitori: uno su due.
Gli altri sono tenuti a debita distanza: Einaudi (10), Rizzoli (9), Bompiani (8), Feltrinelli e Garzanti (4), Longanesi (2), che ha inaugurato il premio nel ’47 con la vittoria di Ennio Flaiano. Soltanto la Vallecchi nel ’67 con Anna Maria Ortese e la Rusconi con Mario Pomilio nell’83 hanno infranto la regola dei soliti noti. Per non dire di Cardarelli che si aggiudicò la seconda edizione con Villa Tarantola
uscito per la sconosciuta Meridiana. Altri tempi? Forse. In anni recenti né l’Adelphi né la Sellerio, per citare due soli casi nella fitta costellazione degli editori cosiddetti di qualità, sono riusciti a imporsi.
Il bis, in effetti, è una rarità. capitato per autori già affermati. Alla Bompiani nel ’51 e ’52 con Alvaro e Moravia, e due volte all’Einaudi: nel ’56 e ’57 con Bassani e Morante, nel ’90 e ’91 con Vassalli e Volponi. L’indiscusso predominio mondadoriano di questi anni ha un precedente clamoroso nel decennio ’80, quando la stessa Mondadori ottenne ben sei volte l’alloro segnando anche una memorabile tripletta. Il fatto che una mega-casa si sia imposta visibilmente negli anni in cui nascevano molti acclamati piccoli editori, che hanno proposto (senza essere premiati) diversi scrittori poi passati ai grandi (e lì abbondantemente premiati), può apparire come una beffa.
Si dirà che, come nel calcio, anche nell’editoria chi investe di più ottiene i risultati migliori. Ma Scheiwiller diceva non senza ragione che la fortuna dei piccoli sono i capolavori ignorati o trascurati dai colossi: l’elenco sarebbe lungo. Sabato su «Alias», il supplemento culturale del
Manifesto, Andrea Gentile ha dato conto dell’ironica insofferenza dello stesso Vanni Scheiwiller nel ’69 per i premi: Scheiwiller aveva ragione, se si pensa che il maggior editore italiano di poesia figura nell’albo del Viareggio, il riconoscimento poetico per eccellenza, una sola volta, nel ’97. Nel ’66 – ci informa Gentile – la Mondadori inviò un comunicato ai suoi autori pregandoli di astenersi dal partecipare ai concorsi letterari, che «finiscono troppo spesso col premiare l’inevitabile attivismo dei gruppi editoriali piuttosto che la qualità delle opere». Inevitabile? Sarà. E se fosse, perché lamentarsene?
Nel calcio si parla di «sudditanza psicologica» degli arbitri verso le squadre leader. Fa un po’ sorridere che la stessa sudditanza psicologica possa riguardare anche la letteratura, visto che gli interessi economici sono infinitamente minori che nel calcio. Ma a pensarci bene, nei casi migliori può essere una buona formula.