Renzo Rosati, Panorma 19/3/2009, 19 marzo 2009
ROMA, QUEL DUELLO FA ACQUA
Se anche nela finanza tre indizi fanno una prova, è probabile che agli osservatori più smaliziati non siano sfuggiti i tre articoloni-tre che La Repubblica ha dedicato, da sabato 7 marzo a lunedì 9, alle vicende dell’Acea, azienda elettrica di Roma, e ai suoi due principali azionisti italiani: Gianni Alemanno, che come sindaco ha il 51 per cento della capitale, e Francesco gaetano Caltagirone, titolare di circa l’8.
Ha cominciato Alberto Statera, editorialista principe di fatti economici: un’intera pagina di aspra censura per lo sgarbo che Alemanno e Caltagirone avrebbero fatto ai francesi della Suez-Gaz de France, azionista con il 9,9 per cento. Poi Eugenio Scalfari, che nel tradizionale fondo della domenica sulla crisi economica planetaria ha trovato il modo di indirizzare un paio di passaggi al «sindaco Caltagirone. Chiedo scusa, il sindaco Alemanno» (il tutto per la comprensione del lettore comune). Quindi, discesa in pista del vicedirettore di punta Massimo Giannini, che per testimoniare della «decadenza del capitalismo» ha appunto scelto l osocntro tra i nuovi vertici dell’Acea nominati da Alemanno e Jean-Fracois Carriere, presidente della Suez-Gdf Italia. La prova che il capitalismo è davvero decaduto? Il fatto che l’azionista di maggioranza assoluta, spalleggiato da Caltagirone, abbia rimesso in discussione un accordo negoziato fra un vertice dimissionario (l’amministratore delegato Andrea Mangoni ha lasciato il 4 marzo, il presidente Fabiano Fabiani già a ottobre 2008) e i transalpini. «Acea nemica dei francesi» si indigna Statera.
Ma perchè tanta spasmodica attenzione agli interessi dei colossi energetici di Parigi da parte del quotidiano di Carlo De Benedetti? Lo stesso giornale che non più tardi del 25 febbraio, commentando il patto nucleare tra Silvio Berlusconi e Nicola Sarkozy, l’aveva definito «una scommessa tutta a carico del consumatore italiano»? Insomma, due settimane prima saremmo troppo amici della Francia e due settimane dopo diventiamo degli imperdonabili gaffeur? Deve esserci sotto qualcosa. E infatti c’è. Per capirlo bisogna fare un passo indietro, al 24 ottobre 2003, quando Walter Veltroni, da due anni succeduto a Francesco Rutelli come sindaco di Roma,
nomina il cda dell’Acea. Presidente fabiani, manager ulivista di lunghissimo corso. Amministratore delegato (in rappresentanza, notate bene, del Comune di Roma) Mangoni. Fra i consiglieri, Umberto Colombo, Luigi Spaventa, Franco Bernabè, Massimo Caputi. Tutti pezzi da novanta più o meno vicini al centrosinistra, come del resto l’Acea era in epoca Rutelli. E come è rimasta fino al cambio della guardia in Campidoglio dell’aprile 2008. Al punto che tre anni fa, quando morì Colombo, al suo posto venne nominata Luisa Torchia, docente a Roma Tre, spesso ospite a Balalrò quale «economista indipendente», ma soprattutto tra gli artefici della Fabbrica del programma di Romano Prodi.
Quando Veltroni nomina Fabiani e Mangoni, affida loro, attraverso il suo assessore al Bilancio, Marco Causi, questa testuale missione: «Concentrarsi sul core business abbandonando la diversificazione che è stata alla base delle eprdite degli ultimi due esercizi». In altri termini, meno finanza e più acqua (di cui l’Acea è il prim operatore in Italia) ed elettricità, dove è seconda dietro l’Enel.
Mangoni come interpreta il mandato? Iniziando a lavorare con la Suez-Gdf alla creazione di tre subholding. La prima per la produzione elettrica, nella quale l’azienda italiana dovrebbe cedere ai francesi tutte le centrali e gli asset, a cominciare da quelli ottenuti dall’alleanza con la belga Electrabel, restando con una quota del 30 per cento. La seconda di trading di energia, anche qui in discesa al 30 per cento e con la Suez-Gdf non solo azionista di maggioranza assoluta, ma fornitore pressochè esclusivo. E la terza di gestione di rete: quella elettrica e, novità, quella della Romana Gas. In questa terza azienda l’Acea resterebbe in maggiornaza, sia pure lasciando ai francesi in 25 per cento.
Qui entra in ballo l’Eni, con un ruolo, dal suo unto di vista, marginale. Strategico, invece, per la Suez-Gdf. Che ha sottoscritto con la società guidata da Paolo Scaroni un preliminare di acquisto da 1,1 miliardi di euro proprio per la vecchia Romana Gas, già inserita nell’Italgas, che il gruppo sta dismettendo. Girando la Romana Gas all’Acea, la Suez-Gdf intende pagare all’azienda capitolina l’acquisto di tutto il resto. Con una variabile non da poco: la Romana gas è una concessione comunale che scade a dicembre 2009, e ha all’interno altre connessioni locali che, se non rinnovate, rischiano di dare luogo a contenziosi di anni. Uno dei quali magari con il suo stesso azionista di maggioranza, il Campidoglio, se per ipotesi decidesse di valorizzare la concessione mettendola all’asta.
Ricapitolando: l’Acea, che secondo le direttive del suo ex azionista Veltroni doveva concentrarsi sul core business, cede ai francesi la produzione e la commericlaizzazione di elettricità e acqua, proprio i due settori strategici, restandone solo distributrice, una rete di gas per la quale ha una concessione in scadenza. Non solo, resta in minoranza in una holding controllata oltralpe, trasformandosi da azienda industriale a finanziaria di servizi. Il tutto senza che il progetto, che pure ha già due advisor (uno dei quali la francese Lazard), sia mai approdato in consiglio d’amministrazione. A ottobre 2008 Alemanno ha rimpiazzato Fabiani con Giancarlo Cremonesi, espressione dei costruttori romani. Operazione,allora, di spoils system, anche se l’inossidabile manager ha cercato di perdere tempo. Con lui sono usciti dal cda Luisa Torchia e Spaventa. Invece Mangoni ha resistito fino all’ultimo, sebbene fosse il rappresentante (sfiduciato) del Campidoglio e avesse contro Caltagirone, uno che a Roma qualcosa conta. Finchè il dossier Suez-Gdf è finito sul tavolo del sindaco e qualcuno dello staff di Alemanno ha commentato: «Ma questa è una stangata!». Del piano, se mai sopravviverà, si occuperà il probabile successore di Mangoni, Marco Staderini, manager di area Udc;e c’è chi vorrebbe passare al setaccio l’intera gestione dell’era Veltroni. L’ipotesi più probabile è che i francesi escano dalla partita, magari dando la colpa alla politica italiana. Resta quel famoso punto da chiarire: ma la Repubblica che c’entra? perchè questa batteria di primissime firme schierate per Parigi? Motivi di politica, concorrenza con il «Calta» proprietario del Messaggero? O forse, per caso, questione di affari? La risposta giusta è l’ultima: l’Ingegnere è in effetti nel business dell’energia attraverso la Sorgenia, presidente Rodolfo De Benedetti. La Sorgenia non è azionista dell’Acea, però è socia al 50 per cento della Tirreno Power, quinto produttore italiano. E di chi è l’altro 50%? Ma sì, proprio della Suez-Gdf. La «vittima» di Alemanno e Caltagirone. Come dire: Parigi val bene una messa. Perfino quella cantata da Eugenio Scalfari.