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 2009  marzo 14 Sabato calendario

IL FUTURO E LA SUA STORIA


La violenza e il disordine dei mercati finanziari riempiono oggi le cronache di tutto il mondo di storie di truffe gigantesche, arricchimenti smisurati di pochi e miseria di molti. difficile immaginare che tutto questo abbia un rapporto con lo spirito evangelico e con le virtù cristiane. Eppure da quando Max Weber propose nel 1905 la sua celebre tesi di un nesso fra l´etica protestante e lo spirito del capitalismo non c´è questione storica più dibattuta di questa. Il problema nei suoi termini più semplici è quello di capire perché proprio in Europa abbia avuto origine la rivoluzionaria espansione del sistema capitalistico destinata a rompere le catene che avevano fino ad allora legato le energie prometeiche della specie umana. La proposta di Weber suscitò uno straordinario interesse perché spostava la questione dal capitale di cui aveva parlato Marx allo spirito capitalistico, cioè sul terreno della cultura e della religione. Ma quale religione? E perché proprio il calvinismo? Nel 1934 un giovane professore dell´Università Cattolica destinato a un grande futuro politico, Amintore Fanfani, candidò il cattolicesimo a vero padre del capitalismo. Poi gli studi si sono spostati sull´etica economica medievale.
Oggi l´intera questione è riproposta in termini nuovi nell´ultimo libro di Paolo Prodi: Settimo: non rubare. Furto e mercato nella storia dell´Occidente (Il Mulino, pagg. 396, euro 29). Il comandamento biblico dà il titolo a una ricerca di grande respiro e di robusta costruzione che abbraccia l´intero Occidente cristiano dall´XI al XIX secolo. La storia che vi si racconta è quella delle discussioni e delle regole tese a fissare i confini tra il furto e il guadagno legittimo da quando nelle città dell´Europa si avviò lo sviluppo delle moderne attività mercantili. Lo sforzo di disciplinare gli spiriti animali del mercato dominò da allora le riflessioni sui rapporti tra guadagno privato e bene comune, ricchezza individuale e benessere della città, frode commerciale e corruzione politica. Dopo le regole fissate dalla Chiesa vennero quelle della repubblica internazionale del danaro e le leggi degli stati. Ma quali furono le precondizioni della rivoluzione commerciale avviatasi nelle città medievali? La tesi di Prodi è che il mercato come realtà autoregolantesi, dotata di una propria capacità di espansione, vide aprirsi per la prima volta uno spazio di libertà nel contrasto fra papato e impero. Fu quella la via che gli permise di sfuggire al controllo di un potere politico tendente per sua natura a coartare le straordinarie potenzialità di sviluppo del mercato.
Il successo dell´Europa medievale spicca al confronto del mancato sviluppo del mercato dell´agorà ateniese dove, osservò una volta Karl Polanyi, era stata proprio quell´antica democrazia a soffocarne l´espansione. Invece, secondo Prodi, grazie al dualismo istituzionale di papato e impero si installò nel cuore dell´Europa quella fibrillazione o rivoluzione permanente che doveva sostentarne l´ascesa come centro propulsore dello sviluppo mondiale.
 dunque dalla «rivoluzione papale» che nasce la rivoluzione commerciale, in sincronia con altri macroprocessi che ebbero un identico scenario: la piazza, luogo del giuramento costitutivo del patto politico ma anche luogo simbolico della giustizia e luogo infine del mercato, terzo e ultimo oggetto di questo volume che conclude una serrata trilogia. I caratteri originali della storia europea sono ricondotti alle comuni radici cristiane e agli spazi di libertà aperti dalla dialettica tra Chiesa e poteri politici. E non c´è solo questo. Viene qui messo in luce il contributo intellettuale degli uomini di Chiesa e in particolare dei nuovi ordini francescano e domenicano all´elaborazione delle regole del mercato con lo sviluppo dei concetti di tempo, prezzo, moneta, con le nuove definizioni del reato di furto, con l´esercizio della guida delle coscienze attraverso la predicazione e la confessione: ma anche, infine, con la creazione di moderne istituzioni bancarie (sotto il segno, ricordiamo, di un violento attacco a un protagonista di questa storia che qui rimane piuttosto in ombra, l´ebreo).
Quelle ricchezze accumulate che inquietavano le coscienze di uomini come il celebre mercante di Prato Francesco di Marco Datini imponevano la necessità di mettere d´accordo il settimo comandamento col flusso di benessere portato dal commercio. La ricostruzione del lavoro intellettuale e pratico svolto a tal fine dagli uomini della Chiesa ha impegnato l´autore di queste pagine in una ricerca di cui affiora qui anche la sensazione di una grande fatica.
L´esito è chiaro. Finora il contributo della Chiesa allo sviluppo del mercato è apparso in genere negativo, per le condanne del prestito a interesse come peccato di usura che alimentarono l´antigiudaismo cristiano e che nascevano dalla considerazione del tempo come qualcosa che apparteneva solo a Dio. Ma Prodi contesta la tesi formulata da Jacques Le Goff di un´opposizione fra l´immobile «tempo della Chiesa» e un «tempo del mercante» aperto all´azione umana e a valori laici e sottolinea invece l´importanza del volontarismo francescano e di teologi come Pietro di Giovanni Olivi.
Non è possibile qui seguire l´intero disegno dell´opera, scandito dalle metamorfosi del furto da peccato religioso a colpa morale e a crimine e articolato nelle fasi di una storia dominata agli inizi dalla teologia e dalla casistica di coscienza, poi dalla autonomia delle leggi di mercato, infine dall´affermarsi nell´800 del dominio dello Stato sulla vita sociale con l´alleanza di potere politico e potere economico. Vediamo in prospettiva la globalizzazione dell´economia, quando la «repubblica internazionale del denaro» cancellerà i confini degli stati insieme ad ogni ricordo di quelle norme etiche dell´equità e del bene comune che la tradizione cristiana aveva lungamente elaborato.
Sui temi e sulle tesi di questo libro ci sarà modo di discutere. Qui si dovrà almeno osservare che ancora una volta Paolo Prodi oppone a un consumo della storia oggi dominato dai contemporaneisti un modello di ricerca storica che punta a capire il presente partendo da distanze lontanissime: o meglio, partendo verso l´esplorazione di quelle terre lontane da una propria intuizione dei problemi del presente. Di fatto, è il ritorno conclusivo su questi problemi che è il presupposto e il premio del ricercatore.
Ed è ai propri tempi che l´autore dedica l´ultimo capitolo di «riflessioni attuali» sui rapporti tra economia e politica, finanza e stato, etica e giustizia. La crisi economica mondiale in cui siamo immersi è l´esito, a suo avviso, di una dislocazione tettonica affiorante da profondità secolari, di cui solo una ricerca storica di adeguata ampiezza può rintracciare le cause profonde. Ma se i mali sono evidenti, se è vero che i confini tra il furto e il non furto sono diventati evanescenti e che nell´attuale situazione di dominio della finanza sulla politica le leggi della democrazia liberale esistono solo in apparenza, se è indiscutibile che la fragilità istituzionale dell´Italia rende più visibili qui da noi i disastri della privatizzazione del pubblico e la gravità del conflitto di interessi, la cura resta incerta e problematica: come si potrà reintrodurre l´auspicata distinzione fra il sacro, la politica e l´economia? Dobbiamo forse tornare a leggere la Rerum Novarum e a riflettere sulla dottrina sociale cristiana, secondo l´auspicio che chiude questo libro?