Gianni Perrelli, L’Espresso, 19 marzo 2009, 19 marzo 2009
GIANNI PERRELLI PER L’ESPRESSO 19 MARZO 2009
Partita finale a Teheran Crisi economica, rapporto con gli Usa, nucleare. Sono i grandi temi su cui si gioca il futuro del Paese. Che a giugno sceglierà il nuovo presidente tra il riformista Khatami e il falco Ahmadinejad da Teheran
I giovani pittori che espongono le tele nel parco centrale di Teheran evitano di cimentarsi su temi politici. Tutt’al più mettono il talento al servizio dell’unico argomento che sotto la coltre del nazionalismo unifica l’Iran: il diritto al nucleare. "Bomba o non bomba", sbotta una studentessa di belle arti che preferisce omettere il nome dopo le recenti retate contro i leader delle proteste universitarie, "non si capisce perché debba essere negato a noi ciò che è concesso a Israele, India e Pakistan". Ma nelle chiacchiere che si intrecciano nei campus universitari o al bazar, il soggetto dominante è Mohammad Khatami, il riformista che accese, ma anche vanificò, le speranze di apertura tra il 1997 e il 2005 e che ha deciso di ricandidarsi per le presidenziali del 12 giugno. Non c’è canale televisivo né giornale che lo appoggi. Il suo potere mediatico è concentrato sul Web, ma anche i siti che lo sostengono vengono periodicamente boicottati. O sul passaparola fra gli intellettuali e le giovani generazioni delle metropoli che votarono in massa per lui (22 milioni contro i 17 dell’attuale presidente Mahmoud Ahmadinejad) e concederebbero alla ’colomba dalle ali spezzate’ una seconda chance. Quel poco che riuscì a smuovere in una società ingessata dalle rigide gabbie della teocrazia sciita è ritenuto una buona base di partenza per alimentare le speranze di un cambiamento.
Nella rosa degli sfidanti del falco Mahmoud Ahmadinejad, Khatami è il più accreditato. "Potrebbe dialogare con Barack Obama", dice la guida turistica Mohammad Khorasani, "anche se il nuovo presidente americano appare ancora timido nelle aperture". Per esperienza è adatto a dischiudere una fase di distensione Mehdi Karroubi, ex presidente del Parlamento sostenuto dall’anziano ayatollah Akbar Hashemi Rafsanjani (punto di riferimento delle élite economiche, con grande influenza sulle istituzioni), che sta tentando di darsi un profilo riformista. O Mohammed Baqer Qalibaf, sindaco di Teheran ed ex comandante dei pasdaran (i guardiani della rivoluzione) e Alì Larijani, il presidente del Parlamento, che piacciono ai circoli occidentali, ma non sembrano avere lo spessore politico per rappresentare un’efficace alternativa al populismo di Ahmadinejad. Gli sfidanti belano e Ahmadinejad tuona. Il presidente alza i toni per attenuare gli effetti dei fallimenti economici che rischiano di erodere la base di consenso. La sua immagine resta forte nelle campagne e fra i ceti urbani più disagiati conquistati alla causa dell’Islam duro e puro con un attento dosaggio di sussidi. Ma il crollo del prezzo del petrolio, la risorsa su cui ruota l’intera economia nazionale, ha prodotto una inevitabile fase di restrizioni. Rompendo l’incantesimo che quattro anni fa legava il popolo all’impetuoso e spartano ingegnere dalle giacche striminzite che, per eccesso di propaganda anti-israeliana e anti-americana, ha rotto quasi tutti i ponti con l’Occidente. Ahmadinejad, nei primi cauti sondaggi filtrati dagli organi di regime, rimane però ancor oggi il favorito. "Lo rimarrà", osserva Mehdi Armadi, imprenditore edile, "a meno che gli Stati Uniti non cessino le loro aggressioni, la smettano di trattarci da appestati".
Per gli osservatori politici che cercano di decifrare gli equilibri dalle sfumature, anche Ahmadinejad si appresterebbe a smorzare i decibel, lasciando lo stipite socchiuso alla mano tesa da Obama. Nella conferenza di Teheran sulla Palestina ha sì inveito con l’abituale enfasi retorica contro l’Occidente e "la grande bugia dell’Olocausto costruita per creare lo Stato di Israele". Ma il suo intervento è apparso meno duro di quello della massima autorità dello Stato, la Guida Suprema Sayyed Alì Khamenei, che non ha esitato a definire lo Stato ebraico un "tumore canceroso" e ha messo Obama sullo stesso piano di George Bush. " una sorpresa relativa", commenta un politologo che pure si trincera dietro l’anonimato: "L’ayatollah Khamenei mantiene un profilo più alto e più spirituale perché la sua è una carica a vita. il capo dello Stato con potere di veto su tutto. Non deve preoccuparsi dei risvolti elettorali. In questo momento sente il dovere di ribadire la supremazia del clero sul presidente per la prima volta laico". Ahmadinejad ha invece, problemi di rielezione. Obama, per bocca di Hillary Clinton, ha risposto a brutto muso alle invettive, inducendo anche il nostro ministro degli Esteri Franco Frattini ad annullare l’annunciata visita a Teheran. Ma il giorno successivo - la carota dopo il bastone - ha invitato la leadership iraniana alla conferenza sull’Afghanistan. Il dialogo, insomma, resta aperto. E Ahmadinejad ne ha tutto l’interesse. L’allentamento delle sanzioni favorirebbe con il rilancio dell’economia il recupero dei voti forse in uscita. La priorità resta la crescita, frenata proprio nel trentennale della rivoluzione khomeinista, dalla fuga dei capitali e dalle enormi spese militari (5 miliardi di dollari l’anno per un esercito di quasi 500 mila soldati). La teocrazia non sa più come fronteggiare l’inflazione (28 per cento) e la disoccupazione (26 per cento) che colpisce i giovani (oltre 40 dei 70 milioni di iraniani ha meno di 30 anni), in bilico fra precarietà e piani di emigrazione. "Alla crisi mondiale stiamo resistendo meglio di altri paesi", minimizza in un colloquio privato concesso a ’L’espresso’, l’hojatoleslam Alì Akbar Mohtashami, fra i fondatori nel ’79 della Repubblica Islamica dopo essere stato discepolo dell’ayatollah Ruollah Khomeini nell’esilio iracheno di Najaf. Nonostante una reputazione da falco, oggi in Parlamento fa da ago della bilancia fra conservatori e riformisti, con pubbliche aperture di credito sia per Khatami che per Karroubi.
"L’economia iraniana", sottolinea il leader religioso, "è svincolata da quella internazionale. Anche perché abbiamo provveduto per tempo a ritirare i capitali dagli Stati Uniti e dall’Europa. Ma, pur non essendo in emergenza, ci aspettano pesanti sfide. E abbiamo bisogno che alle elezioni prevalga un leader di grande popolarità, sostenuto dal consenso indispensabile per poterci difendere anche dall’ostilità dell’imperialismo. Perché è vero che Obama ha promesso sensibili cambiamenti, ma durante la terribile aggressione israeliana contro i palestinesi di Gaza non ha mai fatto sentire la sua voce. Ho la sensazione che voglia inseguire anche lui i vecchi schemi anche se con una tattica diversa, ma altrettanto pericolosa. meno subdolo e infido chi per tagliarti la testa si presenta con la spada in pugno, di chi ti sorride ma intanto progetta di recidertela con un filo di cotone nascosto nella tasca. Contro chi cerca di ingannarti, hai meno possibilità di proteggerti. All’Europa, che segue quasi sempre le direttive di Washington, mi permetto di dare, invece, un suggerimento: quello di essere più neutrale, di non legarsi così strettamente ai destini degli Stati Uniti che pensano solo ai loro interessi, mai a quelli degli altri".
L’obiezione è che la rapida corsa verso il nucleare nelle centrali di Bushehr e di Natanz (secondo alcuni esperti americani Teheran avrebbe già il potenziale per costruirsi un’atomica grezza) e le continue minacce della leadership iraniana di cancellare Israele dalla faccia del pianeta, non possono che mettere in guardia l’Occidente.
"Il nostro nucleare", ribatte Mohtashami, "è un passo scientifico straordinario, che sarà impiegato a uso civile solo al servizio del popolo e che per questo è difeso da tutti i cittadini. Abbiamo sempre rispettato i parametri fissati dall’Aiea (l’agenzia atomica internazionale). E siamo francamente sorpresi per le paure dell’Occidente. Come si spiega che Israele, da anni potenza atomica che non ha aderito al Trattato di non proliferazione nucleare, non suscita alcuna apprensione mentre l’Iran che lo ha firmato e sta ancora sperimentando per soddisfare il fabbisogno di energia elettrica rappresenterebbe una minaccia?".
Nonostante la paranoia del complotto imperialista, la modernizzazione avanza. L’antisionismo delle autorità non impedisce che la comunità ebraica (25 mila persone, la più grande del Medio Oriente fuori da Israele) venga lasciata in pace. E dove le chiusure dei mullah vengano eluse dai borghesi delle grandi città: non possono acquistare i dvd occidentali, ma se li procurano al mercato clandestino. Non hanno l’autorizzazione a bere alcolici o a scambiare effusioni amorose per strada, ma alle feste private scorrono fiumi di bevande al bando e le ragazze si liberano di tuniche e chador sfoggiando i capi sexy. Ma soprattutto, indistintamente tutti, sfogano il bisogno di aprirsi al mondo tramite i gli sms e Internet (il farsi è la terza lingua più diffusa del Web) censurato solo sui temi politici più scabrosi.