Federico Rampini, la Repubblica 15/3/2009, 15 marzo 2009
AMERICA E CINA IL MONDO DEVE RIPARTIRE DA DUE
«Spechino e la Cina continua a comprare i Bot americani pagherà lei la maggior parte del nuovo debito pubblico di Obama, 1.200 miliardi di dollari. Tra noi e loro si stabilirà un rapporto finanziario simile a quello che legò l´Impero britannico e gli Stati Uniti tra il 1941 e il 1945». Scommette su questo scenario Paul Kennedy, che profetizzò l´indebolimento americano fin dal 1989 nel suo celebre saggio Ascesa e declino delle grandi potenze. L´analisi dello storico aiuta a decifrare la clamorosa sortita del premier cinese Wen Jiabao che venerdì si è detto «preoccupato per la sicurezza degli investimenti cinesi in America». L´inedita simbiosi tra le due superpotenze genera tensioni ma anche una nuova visione degli affari mondiali, che matura a Washington e a Pechino. Ad accelerare un ripensamento c´è la crescente insofferenza verso le vecchie istituzioni della governance globale.
Il capo e il vicecapo della Banca mondiale lo hanno affermato nero su bianco: "Solo Washington e Pechino possono indicare la via d´uscita da questa crisi" Giornali finanziari, autorevoli riviste, prestigiosi intellettuali concordano E mentre gli esperti di economia e di finanza dei due Paesi cercano di imparare gli uni dagli altri, uno studioso cinese ammonisce: "Dobbiamo impedire che il declino degli Usa avvenga troppo presto"
Arcaico e inadeguato il G8: non rappresenta le potenze emergenti. Pletorico e inconcludente il G20: lo si vede dai litigiosi preparativi del prossimo summit di Londra. I vertici dell´Unione europea? Inflazionati e impotenti. Mentre urge una risposta globale alla recessione, spunta l´idea di una semplificazione radicale, un direttorio che esprima i veri rapporti di forze del Ventunesimo secolo. «La ripresa dipende dal G2: America e Cina». la proposta lanciata in un editoriale del Washington Post. Lo firmano l´americano Robert Zoellick e il cinese Yifu Lin, numero uno e numero due della Banca mondiale. Cioè i massimi dirigenti dell´istituzione che fu creata a Bretton Woods nel 1944 da Franklin Roosevelt, sulle macerie della Grande Depressione e della Seconda guerra mondiale, per costruire con gli alleati europei il nuovo ordine mondiale.
Oggi si riparte da due, Zoellick e Yifu Lin non hanno dubbi: «Sono stati i due Paesi all´origine dei maggiori squilibri mondiali: troppi consumi e importazioni in America, troppo risparmio e troppo export in Cina. Sono le due nazioni che hanno varato le più grosse manovre antirecessione. Loro possono indicare la via d´uscita da questa crisi. A loro tocca il compito di disegnare l´economia globale del futuro».
I dirigenti della Banca mondiale rendono esplicito l´umore dei governi che li hanno nominati. Barack Obama trasuda irritazione verso i governi europei che lesinano mezzi per combattere la depressione. Questa settimana parlando alla Business Roundtable il presidente americano ha citato un solo governo, oltre al suo, che investe per rilanciare la crescita: la Cina. Solo Pechino ha varato una manovra di spesa pubblica di dimensioni paragonabili a quella americana: quasi 500 miliardi di euro. In quanto ai cinesi, loro all´Unione europea non hanno mai veramente creduto. James Cox e François Godement dello European Council of Foreign Affairs paragonano i rapporti sino-europei a una strana partita a scacchi. Da una parte c´è un giocatore solo, Pechino. Dall´altro lato della scacchiera c´è una squadra caotica che litiga prima di decidere una mossa. Fin dai tempi di Deng Xiaoping i leader comunisti della Repubblica popolare hanno in mente una sola superpotenza con cui misurarsi. Ai loro occhi il G2 è già una realtà. Hillary Clinton al suo viaggio inaugurale da segretario di Stato a Pechino è stata molto discreta sui diritti umani e il Tibet; al presidente Hu Jintao ha portato un solo invito pressante: «Continuate a comprare i nostri buoni del Tesoro». L´allarme di Wen sul debito americano è un modo per far pesare questo aiuto finanziario chiedendo in cambio una rinuncia al protezionismo.
Il G2 traspare nel rapporto del Financial Times sui «50 leader decisivi per uscire dalla crisi». Elencati in ordine gerarchico d´importanza, il numero uno è Obama, subito dopo viene il premier cinese Wen Jiabao. In quell´elenco compaiono altri cinesi sconosciuti in Europa ma ben noti a Washington: il vicepremier Wang Qishan, plenipotenziario sulla finanza internazionale, il governatore della banca centrale Zhou Xiaochuan, il presidente del fondo sovrano di Pechino Lou Jiwe.
Cruciale è il dibattito che si svolge sulle colonne di Foreign Affairs. L´autorevole rivista americana di politica estera da oltre mezzo secolo ospita le riflessioni strategiche dei think tank consultati dalla Casa Bianca e dal Dipartimento di Stato. Spesso i saggi di Foreign Affairs hanno preannunciato le svolte strategiche di Washington. Nel numero monografico The Great Crash, 2008 il verdetto è affidato a Roger Altman, che fu sottosegretario al Tesoro di Bill Clinton. L´effetto della crisi secondo Altman è di «accelerare lo spostamento del centro di gravità mondiale»; la Cina si troverà «in una posizione di maggiore forza relativa a livello globale, perché è la nazione più dotata di risorse finanziarie». Con un tasso di risparmio cinese che sfiora il 40 per cento del Prodotto interno lordo, 2.000 miliardi di dollari di riserve valutarie, un colossale attivo commerciale col resto del mondo, conti pubblici ancora in equilibrio, per il tecnocrate vicino a Obama non ci sono dubbi: «Pechino sarà in grado di assistere altri Paesi in difficoltà finanziarie mentre noi non possiamo farlo».
Altman immagina che scoppi una terza ondata della crisi: la bancarotta sovrana di nazioni che l´America considera importanti per ragioni geopolitiche, come accadde con il collasso del Messico nel 1994. Oggi Washington non avrebbe più i mezzi per salvare nessuno, l´America dovrà chiedere aiuto ai cinesi, gli unici che hanno risorse per rifinanziare il Fondo monetario internazionale. Pechino può diventare l´unico pompiere se c´è bisogno di spegnere nuovi incendi sui mercati globali. La sua conclusione: «Il rapporto America-Cina diventa la nostra più importante relazione bilaterale». d´accordo lo storico Harold James, studioso della Grande Depressione: «L´azione concertata a livello internazionale è necessaria, ma chi deve prenderne la guida? Come la Gran Bretagna negli anni Trenta, oggi gli Stati Uniti non hanno né la volontà né la forza di agire da stabilizzatore. La Cina, in quanto tesoriera di gran parte del risparmio mondiale, è in una posizione economica più simile all´America degli anni di Roosevelt».
Non sfugge all´establishment americano che il G2 è un direttorio rischioso. Rispetto all´asse euroatlantico che guidò la strategia americana per mezzo secolo, con Pechino non c´è sintonia di sistema politico e di valori. All´opzione G2 gli Stati Uniti arrivano in stato di necessità. «Il nostro indebitamento», osserva Paul Kennedy, «rende l´impero americano simile a quello di Filippo II di Spagna o Luigi XIV, sovrani che furono fortemente dipendenti dai finanziatori stranieri». Nelle braccia della Cina gli americani finiscono per trovare un punto d´appoggio, dopo che il crollo delle Borse e del mercato immobiliare ha distrutto oltre 15.000 miliardi di dollari della ricchezza delle famiglie. C´è anche un´attrazione più sottile che la Repubblica popolare comincia a esercitare. quella espressa in una copertina di Newsweek col titolo Why China Works, «Perché la Cina funziona». Mentre la fiducia nel mercato è ai minimi storici, e Obama riscopre ogni sorta d´intervento pubblico - dalle grandi opere alle nazionalizzazioni bancarie - gli americani provano una curiosità nuova verso il più grosso modello di capitalismo di Stato. «La Cina», è la risposta di Newsweek, «sembra attrezzata per navigare attraverso la più grave recessione degli ultimi settant´anni».
L´ironia della sorte non sfugge ai cinesi, che dal 1979 inseguono il modello americano. «I nostri maestri sembrano avere qualche problema», dice il vicepremier Wang Qishan, che coltiva l´understatement confuciano. Gli eredi di Mao Zedong evitano le recriminazioni o i toni di rivincita. significativo: negli ultimi dieci giorni a Pechino si è riunito il Congresso nazionale del popolo in sessione legislativa; in quel profluvio di discorsi ufficiali non è mai affiorato l´antiamericanismo né l´accusa a Washington di aver precipitato l´economia globale in un baratro. I dirigenti della Repubblica popolare sanno che la prospettiva di un superdirettorio a due per governare la prossima fase della globalizzazione ha un prezzo. La Cina dovrà assumersi responsabilità maggiori, e oneri finanziari proporzionali. Wang Yiwei, esperto di relazioni internazionali all´università Fudan, riassume l´ambivalenza con cui i suoi leader si preparano all´era del G2: «Il nostro problema, nell´immediato, è come impedire che il declino dell´America avvenga troppo presto».