Miska Ruggeri, Libero 14/3/2009, 14 marzo 2009
«HANNAH, IL DIAVOLO MI HA PRESO»
Nell’autunno del 1924 all’Università di Marburgo c’è un filosofo 35enne davvero speciale. Straordinario, come straordinaria è la sua cattedra. Non è certo un Adone: di colorito scuro, piccolo di statura, appena 1,63, magrolino e impacciato. Figlio di un mastro bottaio della rustica Messkirch, assai attaccato alla sua Heimat, veste alla vecchia maniera tedesca (casacca della Foresta Nera e calzoni alla zuava...) e ha nella gestualità uno stile tra il contadino e l’artigiano. In più è sposato con Elfride (dal 1917) e ha due figli.
Epperò Martin Heidegger (1889-1976), questo il suo nome, è un incantatore. Soprattutto, insegna a pensare. Sospinto dal furor teutonicus, sta rivoluzionando la filosofia contro il neokantismo (per lui una confusa religione della ragione), sta fondando un pensiero nuovo, l’Existenzphilosophie, che esprima l’essenza dell’esistenza dell’uomo in una nuova epoca, sta scoprendo che il pensiero non viene dal pensare ma dall’essere. Con l’amico Karl Jaspers, ordinario ad Heidelberg, sogna anche un rinnovamento dell’Università, di rendere ai vecchi «la vita un inferno» e far rinascere lo spirito aristocratico (in senso letterale) dell’Accademia di Platone.
Il mago di Messkirch
Per i suoi studenti, il cui elenco, ricchissimo di ebrei, sarebbe simile al Who is Who? dell’intellighenzia del XX secolo, da Hans-Georg Gadamer a Max Horkheimer, da Herbert Marcuse a Leo Strauss, è il «piccolo mago di Messkirch», in grado di «far sparire dinanzi agli ascoltatori quel che aveva loro appena mostrato» (Karl Löwith); emana uno charme aspro, un fascino oscuro.
Nelle lezioni, lezioni che segnano per tutta la vita i partecipanti, entra in aula (d’estate anche alle 7 del mattino), non degna di un’occhiata i tanti presenti, si avvicina alla finestra e comincia a parlare a voce così bassa che le prime parole neppure si capiscono. Ma tanto non serve: avvince ancora prima di essere compreso. Hans Jonas, ebreo e sionista, racconterà: «C’era un uomo che pensava davanti agli studenti, che non stava esponendo cose pensate prima, come faceva Husserl, ma che compiva l’atto stesso del pensare in presenza dei suoi allievi».
Tra questi, nel semestre invernale, a seguire un seminario sul Sofista e sul Filebo di Platone, arriva una 18enne ebrea dallo spirito libero, Hannah Arendt (1906-1975). Innamorata della grecità e affamata di conoscenza, medaglia d’oro per la prova d’esame alla maturità, è bella e slanciata, ha viso regolare e occhi radiosi. Pronti a illuminarsi quando qualcosa la affascina. E con Martin vanno a fuoco, il maestro diviene subito per lei «il segreto re del regno del pensiero». A novembre chiede di parlargli al ricevimento degli studenti. Eros li travolge. Nasce una passione e un percorso intellettuale che, tra divisioni e ricongiungimenti, durerà per sempre. Nonostante mille ostacoli e persino l’America di mezzo, per l’uno incarnazione della funesta età della tecnica, per l’altra seconda patria (dal dicembre 1951 ne sarà cittadina a tutti gli effetti).
Una storia ”scandalosa”, un’ebrea e un nazista, prima innamorati e poi, dopo la guerra e la Shoah, comunque amici speciali. Tra folle vette di amore e pensiero, tra incontri clandestini e confronti filosofici, tra tuffi nella politica e ”abbandono” nelle profondità della speculazione. Difficile, anzi impossibile, venirne a capo. Tanto che non vi riesce nemmeno la prolissa ricostruzione di Antonia Grunenberg (docente di filosofia politica a Oldenburg e fondatrice dello Hannah Arendt Zentrum), Hannah Arendt e Martin Heidegger. Storia di un amore (Longanesi, pp. 492, euro 32). Forse, banalmente, con una frase ormai da Baci Perugina, è solo che il cuore ha ragioni che la ragione non conosce. Ma certo, dinanzi a questa relazione, c’è di che rompersi il capo.
Il periodo d’oro, quello in cui Martin le scrive di continuo, confessa che «il diavolo mi ha preso... Non mi era mai accaduta una cosa del genere», e fa di tutto per vederla di nascosta a moglie, colleghi e amici, dura poco. Quando deve lavorare Heidegger si distoglie da tutto, da ogni rapporto umano. E nel 1926 scrive Essere e tempo, in cui cambia il rapporto tra soggetto e mondo: non più «penso, dunque sono», ma «ci sono, dunque penso», anzi «sono un esserci, dunque penso». Non può certo preoccuparsi di Hannah. Che fa fagotto per Heidelberg e poi Friburgo, si laurea con Jaspers sul concetto di amore in Agostino, si fidanza e quindi si sposa (1929) con Günther Stern, un allievo di Husserl che a Martin non è certo simpatico.
’Grand Hotel Abisso”
A dividerli davvero è però il vento della storia. Ormai Heidegger, successore di Husserl a Friburgo, è destinato alla fama mondiale, festeggia i suoi trionfi, disputa con il repubblicano Ernst Cassirer a Davos (1929). Mentre la Arendt si dedica all’ebraismo tedesco del XIX secolo e alla figura di Rahel Varnhagen, e si avvicina al sionismo e ai sionisti, ritrovandosi però sempre più, in quanto ebrea, ai margini della società. Ragazza sveglia e pratica, alloggia per poco al «Grand Hotel Abisso» evocato da György Lukács: a Berlino capisce presto la nuova tragica dimensione dell’antisemitismo e l’esigenza di emigrare.
L’avvento al potere di Hitler fa il resto. Lui vi vede un’alternativa al caos dell’era delle masse e un’opportunità per poter provvedere al rinnovamento spirituale della Germania. Vuole inserirsi nella nuova realtà, ha una «missione» da compiere. «Ubriaco di potere», si fa eleggere rettore (21 aprile 1933), si iscrive al Partito nazionalsocialista, introduce la certificazione ariana e il saluto hitleriano, agli studenti spiega che «il Führer stesso, e lui soltanto, è l’odierna e futura realtà tedesca e la sua legge». E così distrugge il suo amore. Lei, arrestata e rilasciata, fugge a Parigi (in seguito verrà anche internata per cinque settimane). indignata per l’omologazione al regime nazista dei suoi amici intellettuali, figuriamoci come giudica Martin. Gli amanti diventano nemici.
Eppure, quando si rivedranno (febbraio 1950) nella lobby di un hotel friburghese, l’affetto si riaccende. Inizio di una rinnovata amicizia, tra alti e bassi, tra tante altre amanti e un nuovo marito, destinata a restare fino alla fine unica. E inspiegabile. Se non, chissà, con la magia.