MARCELLA GABBIANO, Affari & Finanza, 16/3/2009, 16 marzo 2009
Le scarpe italiane, due passi oltre la crisi- Le scarpe made in Italy sono sempre in attivo. Ma con la crisi nera dei mercati, il saldo positivo della bilancia commerciale si va assottigliando: nel 2008 è stato di 3,7 miliardi di euro, in calo dell’1,8 per cento rispetto all’anno prima
Le scarpe italiane, due passi oltre la crisi- Le scarpe made in Italy sono sempre in attivo. Ma con la crisi nera dei mercati, il saldo positivo della bilancia commerciale si va assottigliando: nel 2008 è stato di 3,7 miliardi di euro, in calo dell’1,8 per cento rispetto all’anno prima. Un report dell’Anci (Associazione nazionale calzaturifici italiani) disegna nei particolari lo stato dell’arte. «Nei primi undici mesi del 2008 – si legge – la produzione di scarpe è scesa del 6,8% in volume e del 2,1% in valore. Per contro le esportazioni sono diminuite del 9,7% in volume, ma non hanno avuto flessioni sul fronte valore». Una performance che si spiega con il fatto che i produttori di scarpe italiani, per combattere la crisi e la concorrenza a basso costo, puntano sempre più sulla qualità, sull’innovazione e, di conseguenza, vendono i loro prodotti a prezzi più alti. Resta che il momento è molto difficile. E i morsi della crisi, come si legge nel report dell’Anci, sono confermati dai dati relativi alla vita delle aziende e ai posti di lavoro che saltano. Nel 2008 ha chiuso il 2,9% dei calzaturifici made in Italy e il numero degli occupati è sceso del 3,1%. Per non parlare della cassa integrazione che, secondo i dati dell’Inps, è salita del 36% rispetto al 2007. E i primi segnali per il 2009 rimangono tendenzialmente negativi. Il Micam (organizzato dall’Anci) che è l’appuntamento fieristico più importante del settore, nei giorni scorsi ha chiuso i battenti con il 5,7% in meno di visitatori rispetto all’edizione 2008. «Ma le nostre aziende non si danno per vinte – racconta il presidente dell’Anci, Vito Artioli – anche in questo scenario che non promette sonni tranquilli a nessuno. Dall’indagine campione tra le nostre imprese associate, emerge che la maggior parte ha ancora fiducia nelle potenzialità del business. E le strategie che stanno adottando per combattere la crisi non si basano su tagli e costi, ma su nuovi investimenti». Investimenti per aggredire nuovi mercati, creare nuovi prodotti, nuove strategie di produzione e distribuzione. Ma per fare tutto questo gli imprenditori hanno bisogno della "complicità" di tutti gli attori in campo: istituzioni, universo sindacale e governo. «Prima di chiedere aiuto – spiega Vito Artioli – abbiamo voluto far conoscere il nostro settore che, all’interno delle ormai celebrate "quattro A" del made in Italy (Abbigliamento/calzature, Arredamento/casa, Automazione/meccanica, Alimentare), ha una forza in termini di export e conti economici del Paese che, relativamente alle sue dimensioni, è superiore a quella di tutti gli altri settori». E’ nato così "Shoe Report 2009, primo rapporto annuale sul contributo del settore calzaturiero al rafforzamento del made in Italy", presentato il 25 febbraio alla Camera dei deputati. «L’obiettivo di questa iniziativa, che intendiamo far diventare un appuntamento fisso – spiega Artioli – è quello di attrezzare politiche stabili e permanenti di rapporto con la classe politica e le istituzioni. Sappiamo bene che ci troviamo coinvolti in una crisi di portata mondiale, ma in questa fase crediamo che non ci si possa permettere il lusso di chiedere aiuti e sia invece necessario cambiare prospettiva». In che modo? «Occorre ripensare gli strumenti, adeguarli ai cambiamenti. La cassa integrazione, per esempio è ancora utilizzata pensando alle fabbriche degli anni ”60, un mondo che non c’è più». Dunque risorse per la Cig e per gli ammortizzatori sociali in genere, con l’impegno di tutelare «quel patrimonio fondamentale per l’azienda che è il capitale umano. Rilanciandone la formazione anche attraverso l’apprendistato». Accompagnare le aziende nel loro processo di trasformazione per Artioli vuol dire anche «sostegno fiscale, facilità di accesso al credito e nuove politiche di commercio internazionale», senza chiedere protezionismi, ma regole che «mantengano la simmetria competitiva con i nostri concorrenti internazionali». Su questa strada l’Anci da tempo porta avanti due azioni importanti: il marchio di origine "Made In" obbligatorio sui prodotti che entrano nella Ue, «così la gente sa da dove arriva ciò che si mette addosso», e la conferma delle misure antidumping.