Goffredo Fofi, messaggero 14/3/2009, 14 marzo 2009
IL CRITICO? NON SERVE PIU’
Cambia il rapporto con i modi della trasmissione di ciò che vale sapere e che ci viene dal passato o dal presente, con l’idea stessa del bello e del brutto e con i modi di goderne o di ritrarsene.
Cambia è cambiata anche la critica. Il sistema in cui viviamo non ha bisogno di mediatori altro che mercantili. Il ciclo della trasmissione delle parole scritte e recitate, delle immagini, dei suoni continua a comprendere tre figure, secondo la tradizione: l’autore, il critico e il lettore-spettatore-ascoltatore, cioè il cosiddetto pubblico. Tutte e tre sono state invase e mutate dalla logica della merce, fanno più che mai parte del ciclo delle merci, del mercato. Chi crea ha bisogno di chi investe su di lui, che ha a sua volta bisogno di chi diffonde, di chi accosta i suoi prodotti a un pubblico pagante. Continuano a essere indispensabili dovunque le figure di mediazione, di trasmissione, e il critico è una di queste, ma a patto che stia dentro il ciclo, che svolga la sua funzione diligentemente, alla pari del distributore e del libraio e dell’esercente, del funzionario e del pubblicitario. Tutto è merce, e la sua autonomia è da tempo inesistente, come l’autonomia dell’artista, come l’autonomia del pubblico.
Guardando più da vicino, cos’è diventato oggi il critico letterario o cinematografico, teatrale o d’arte? Questa figura è cambiata in più direzioni: quella della trasmissione universitaria (e allora agisce lontano dal destinatario delle opere, se ne sta al chiuso della sua istituzione da imbalsamatore o da analista-sezionatore, spacca in quattro le opere, alla pari degli insegnanti di anatomia nelle facoltà di medicina, come fossero cadaveri e non sa più bene per chi e perché), quella della trasmissione giornalistico-televisiva che lo avvicina più agli informatori e pubblicitari che non agli analizzatori, e quella del funzionario di ente (festival o musei o altro).
In questo meccanismo economicamente così rigido e diviso, dove sta la sua libertà, la sua capacità di farsi, come si diceva una volta, ”critico militante” militante della cultura necessaria? Non si deve certo confondere la militanza con l’appartenenza a una conventicola quelle ci sono ancora, e il sistema ne ha bisogno, forniscono l’olio che evita le inceppature e dà l’illusione della libertà, come accade in politica, e in ogni medium, in ogni merce; ma anche se i suoi membri si danno un’impettita importanza, contano pochissimo, e niente se non stanno al gioco stabilito dagli editori, dai produttori. Il critico, disse un buon critico di cinema in anni che sembrano ormai lontanissimi, spedisce una lettera al pubblico perché la legga l’autore (o la spedisce all’autore perché la legga il pubblico: forse ricordo male, ma non ci vedo comunque una grande differenza).
E se il sistema della merce non ti dà più i mezzi per farlo (la carta, la busta. i francobolli, gli uffici postali, i postini)? Da dove si può mettere in crisi il meccanismo di cui si è diventati ostaggio? Non certo dal pubblico, che è la più condizionata delle tre parti? Gli artisti dicono, più o meno in buona fede, dall’arte. I critici (ma non illudiamoci, non lo fa quasi nessuno) potrebbero dire dalla critica. Parlo è ovvio pro domo mea; anche se come critico so di non valer molto, mi riconosco il pregio dell’ostinazione e di una certa dose di irriconciliabilità. Ma far critica a questo punto non è soltanto spiegare e discutere un libro un film un concerto una mostra, è ampliare il quadro, è ricollocare le opere nel loro contesto (anche di mercato), è vederne e svelarne quasi sempre la superfluità e serialità e la funzione di anestetizzante dei bisogni veri del fruitore, è porsi domande molto più generali a monte della ”semplice” recensione, è spiegare a se stessi e al lettore (e all’autore) la ragnatela del contesto. Capire, qualcosa di più della singola opera, e spiegare, dandosi anche, necessariamente, una funzione ”pedagogica”, che ridesti il fruitore e anche l’autore…
Questo compito sono ben pochi a darselo, perché a loro va bene il mondo così com’è, anche se è quello che dovrebbero fare oggi più che mai. parlare non solo di romanzi e film, canzoni e quadri, ma del mondo tremendo in cui vengono prodotti e in cui autori critici fruitori ci troviamo a vivere. Se non vogliamo vivervi da bruti, e cioè da autori e fruitori di merci scadenti e drogate che hanno lo scopo di renderci sempre più impotenti, sempre più consenzienti.