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 2009  marzo 14 Sabato calendario

LA SAI LA PRIMA?


Gente seria, gli antichi romani. Niente grilli per la testa. Tutti fasciati nelle loro toghe, a discutere di guerra e impero, a progettare ponti e strade, a tenere a bada barbari e attori scanzonati - un po’ crudeli, forse, fissati com’erano con le arene e i gladiatori, ma certo solidi e con i piedi ben piantati a terra. Ebbene: ma proprio per niente.
Lo stereotipo del romano tutto d’un pezzo - anche un po’ noioso, diciamolo - tanto radicata nell’immaginario collettivo sembra che sia una panzana bella e buona. Lo conferma la scoperta di una raccolta di barzellette del terzo secolo dopo Cristo fatta, per caso, da una ricercatrice dell’università di Cambridge. E allora: non soltanto gli antichi romani erano spiritosi, ma lo erano pure in modo molto simile al nostro. O meglio. E’ il nostro senso dell’umorismo che deve molto a quello dei «Quiriti». A pensarla così è Mary Beard, l’autrice del ritrovamento. «Sono convinta - dice la Beard al Daily Mail - che dobbiamo molto agli antichi romani anche sotto questo aspetto: è da loro che abbiamo preso il nostro modo di ridere». A un orecchio «latino», in effetti, le battute hanno un’aria familiare. Ma, prima, largo agli aspetti filologici. Il testo è scritto in greco, contiene 265 freddure e si crede sia il libro più antico del suo genere. Gli autori, sempre che siano mai esistiti per davvero, sono del tutto sconosciuti: Hierocles e Philagrios.
La Beard, impegnata a studiare il senso dell’umorismo nel mondo antico, è incappata nella raccolta di barzellette mentre era intenta a scartabellare vecchi manuali. All’origine della sua ricerca, l’idea di dar vita a una collazione di battute del mondo che fu - e mai più pensava d’inciampare su di un testo già pronto. Invece, la sorpresa. «Il mito - spiega la Beard - vede i romani come degli ingegneri arroganti vestiti con la toga. In realtà erano famosi per la loro sagacia e amavano molto le battute. Questo libro, benché non faccia crepare dal ridere mostra il loro punto di vista e a volte può essere anche molto divertente». Le battute, certo, sono un po’ datate. Eppure trasudano un umorismo cinico, nero - in questo senso molto «British» - e persino vagamente surreale. E allora vediamo qualche esempio.
«Un uomo compra uno schiavo, ma poco dopo muore. Il tale allora va a lamentarsi con il venditore di schiavi. Che gli risponde: «Beh, non è morto quando ce l’avevo io». Ancora. «Un astrologo fa l’oroscopo a un bambino malato. E dopo aver detto alla madre che il piccolo ha davanti a sé molti anni, chiede di essere pagato. «Torna domani e avrai i tuoi soldi», risponde allora la donna. «Certo», dice l’astrologo, «e che facciamo se il ragazzo muore e io perdo la mia parcella?».
Il libro di Hierocles e Philagrios regala il primo esempio di storiella «a tre personaggi» - forse l’archetipo della barzelletta all’italiana, quella che comincia con «ci sono Tizio, Caio e Sempronio». In questo caso i protagonisti sono un barbiere, un professore sbadato e un pelato (lo svolgimento della barzelletta è nel grafico accanto). «E la mia preferita», confida la Beard. «Alcuni - conclude la ricercatrice - sostengono che questo sia un manuale per comici; io credo l’abbia composto un professore che ha ordinato le battute per categorie», come il professore sbadato o l’astrologo ciarlatano.
Parafrasando i Monthy Python nel loro capolavoro «Brian di Nazareth»: «Che cosa hanno mai fatto i romani per noi - si chiedono nel film i liberatori della Palestina - a parte darci l’acquedotto, le fognature, le strade, le scuole pubbliche, i bagni pubblici, il vino, l’ordine e la pace?». E’ ora di aggiungere: le barzellette.