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 2009  marzo 16 Lunedì calendario

GLI SCENATRI NERI DELL’FMI: «DECLINO GIAPPONESE» PER L’OCCIDENTE


Sarà che è sotto accusa perché in passato mancò di dare l’allarme sul potenziale devastante degli squilibri americani, ma stavolta l’Fmi non si risparmia nulla. Né il crollo di altre grandi banche, né il rischio che l’Occidente cada in una sindrome giapponese, né quello che l’euro vacilli per il crac di un Paese del club e in Europa centrale tornino vincoli ai capitali esteri come in una cortina di ferro di nuova generazione.
In un recentissimo documento «di lavoro» a governi e banche centrali, sotto l’intestazione «confidenziale, da non diffondere», il Fondo monetario internazionale traccia una lista delle «vulnerabilità» del sistema. Non è la descrizione di dove va il mondo, ma dei rischi da tener presenti in questa fase. La squadra guidata dal capo- economista Olivier Blanchard e dal direttore generale Dominique Strauss-Kahn ha voluto evitare i messaggi tranquillizzanti e l’intento le è riuscito in pieno. Il rallentamento globale, si legge, è «sincronizzato e senza precedenti».
Alla base dell’analisi, c’è «il timore che le risposte delle autorità siano danneggiate dal malcontento politico e sociale» e da altri fattori che possono «provocare risultati finali notevolmente peggiori».
Non che quelli descritti siano buoni. In una critica appena velata agli Stati Uniti, l’Fmi scrive che «ritardi e passi falsi nel risolvere l’accumulo di sofferenze finanziarie» e l’insufficienza di risorse delle banche «stanno esacerbando i rischi sistemici » e «alimentando una spirale perversa di frenata economica e ulteriori perdite creditizie ». Nel peggiore dei casi, «ciò può portare a un "decennio perduto" in stile giapponese » nel quale «la crisi può rivelarsi prolungata in molte economie avanzate».
In queste condizioni, anche le garanzie pubbliche sulle banche potrebbero non bastare. «Importanti istituzioni finanziarie stanno rapidamente accumulando nuove perdite con il trasferirsi della crisi all’economia reale – ricorda l’Fmi – e nuovi fallimenti potrebbero aver luogo malgrado le assicurazioni di sostegno dei governi ». Lehman, con il collasso di sistema che provocò per il suo crollo, potrebbe non essere l’ultima vittima eccellente. Addirittura, si legge, «in certi Paesi i governi potrebbero mancare delle risorse per i salvataggi e, in situazioni estreme, diventare di fatto insolventi insieme a gran parte del settore privato». Qui l’Fmi teme che «il fallimento o la nazionalizzazione di un’importante istituzione (finanziaria, ndr) abbia un effetto a cascata sui mercati, portando grave scompiglio».
Nei Paesi emergenti, la fuga di capitali potrebbe creare problemi a governi, imprese e banche nel rinnovare i propri debiti. Tutti incentivi che spingono a «reintrodurre controlli sui capitali: i rischi sono particolarmente grandi per molti Paesi in Europa orientale e per le banche d’Europa occidentale molto esposte verso di loro».
Anche Eurolandia ha però i propri spettri. Il balzo dei deficit limita i margini d’intervento pubblico e aumenta «i rischi di una perdita di fiducia della solvibilità dei governi». La mancanza di «meccanismi transfrontalieri di risoluzione» (leggi: norme di mutuo soccorso fra gli Stati dell’euro) può portare «a una percezione di instabilità nelle istituzioni dell’unione monetaria». Il Fondo non fa nomi, ma ritiene alcuni Paesi più esposti: quelli con banche «troppo grandi per poter essere salvate» e quelli «con grande debito pubblico»: tutte «vulnerabilità, in Paesi emergenti e avanzati, con potenziali implicazioni per la stabilità di valute di riserva».
La globalizzazione può insomma produrre la sua nemesi. Nel gergo degli economisti, si chiamano «mosse altamente distruttive a favore dell’autarchia commerciale e finanziaria ». Non è certo che accadrà. Lo è, però, che da domani non si potrà accusare l’Fmi di non averlo detto.