Sergio Rizzo, Corriere della sera 16/3/2009, 16 marzo 2009
COSI’ EMMA ASCOLTO’ IL TAM TAM DALLA BASE
Riccardo Marini ha scritto su un foglietto le cifre dell’ecatombe: «Nel 2008 abbiamo perso 1.130 posti di lavoro, il doppio del 2007. La cassa integrazione è aumentata del 90,4% e ora va ancora peggio».
Il presidente della Confindustria di Prato potrebbe andare avanti chissà quanto, snocciolando numeri e drammi. Pochi giorni fa è toccato anche alla Rifinizione Vignali, una delle imprese tessili pratesi dove dire «cassa integrazione » era come bestemmiare in chiesa. A rotazione, i 71 operai staranno a casa: una ventina per volta. Dice Marini: «Qui non c’è la Fiat. Siamo piccoli, e anche tutti insieme facciamo poco rumore. Avevamo chiesto al governo di rimandare di un anno i pagamenti dell’Irap, per poter avere un po’ di fiato. Non ci hanno nemmeno risposto».
Eccoli i «soldi veri» che vuole il presidente di Confindustria Emma Marcegaglia. Sono quelli che chiedono le migliaia e migliaia di piccoli imprenditori. Un grido di dolore silenzioso che da mesi si leva dalla Puglia al Veneto, passando per Prato. La rabbia sorda di chi mentre la bora della crisi gli portava via il capannone vedeva i ministri impegnarsi allo spasimo per salvare un’azienda pubblica fallita come l’Alitalia (con una cordata della quale faceva parte anche Emma Marcegaglia). Finché non ha trovato una voce capace di farsi ascoltare: quella di Giuseppe Morandini, udinese, presidente dei piccoli imprenditori confindustriali. Il motore vero del pressing sui «soldi veri» è lui.
«Il malessere delle piccole e medie imprese è evidente. Si sentono abbandonate, la stretta creditizia fa paura», spiega l’imprenditore vicentino Massimo Calearo, ex presidente di Federmeccanica, ora deputato del Pd. Critico verso l’idea di Giulio Tremonti di coinvolgere i prefetti per evitare che le banche chiudano i rubinetti. Ma, assicura, non per partito preso: «A Vicenza ci sono 80 mila imprese. Che può fare il nostro bravo prefetto? Sarebbe più sensato affidare il compito alle Camere di commercio ». Anche questi sono i «soldi veri». La Confindustria non aveva chiesto i prefetti, ma cinque miliardi di fondo di garanzia statale per il credito alle piccole e medie imprese. Il governo ha promesso 450 milioni ma secondo gli industriali ce ne sono solo 50. Inoltre, secondo le imprese gli 8 miliardi per gli ammortizzatori sociali non sarebbero spendibili, mentre le piccolissime imprese non hanno cassa integrazione e le più grandi la stanno finendo. L’Ilva di Cornigliano, per esempio. A giugno scade la cassa ordinaria per 400 lavoratori e ad agosto la cassa straordinaria per altri 500. E dopo? C’è sempre la cassa «in deroga», che finisce però a dicembre. Mentre di ripresa si parlerà nel 2010. Molti sono in difficoltà con i pagamenti pubblici. Ci sono arretrati per 70 miliardi, dice Confindustria, molti meno dice il governo. Comunque per aziende in sofferenza come la Fisia Italimpianti cambia poco. La francese Veolia, che smaltisce i rifiuti della Calabria commissariata, minaccia di gettare la spugna se non le verranno pagati 90 milioni per le fatture scadute.
Per non parlare degli incentivi che, dicono gli imprenditori, ci sono soltanto per l’auto. Anche gli elettrodomestici sarebbero incentivati: ma il bonus scatta soltanto nel caso di ristrutturazione edilizia. Così la crisi, denunciano i produttori, continua a mordere. Morde a La Spezia, dove il gruppo Nocivelli ha deciso di chiudere la ex San Giorgio. Ma morde anche a Fabriano. E a Ticineto, in provincia di Alessandria, dove la Siltal (900 dipendenti) ha in attività poche linee e ha avuto serie difficoltà nel pagamento degli stipendi.
Ma almeno gli elettrodomestici qualcosina l’hanno avuta. Il tessile si deve invece accontentare per ora di un tavolo aperto. E gli altri? Al ministero dello Sviluppo si aprono decine di vertenze al mese. C’è la chiusura dello stabilimento di Venturina in Toscana della Cst net, fabbrica di circuiti stampati con 95 dipendenti che fa capo al gruppo Lonati, a cui lo Stato aveva dato un contributo a fondo perduto di 9 milioni. C’è l’amministrazione straordinaria del gruppo Ittierre. Il concordato preventivo della Nicoletti, fabbrica di mobili imbottiti con 375 lavoratori. C’è la crisi del distretto delle ceramiche di Civita Castellana: 3000 persone. C’è la Speedline, produttore di cerchi per auto con 620 dipendenti, colpita dalla crisi dell’auto...