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 2009  marzo 13 Venerdì calendario

La pochezza di Ibra è il cross ciccato a dieci minuti dalla fine di Manchester-Inter. Ingiusto e scorretto

La pochezza di Ibra è il cross ciccato a dieci minuti dalla fine di Manchester-Inter. Ingiusto e scorretto. La sufficienza che ci mette in quell’azione è la fine della sua gloria. Si può sbagliare, ma non è ammesso fregarsene. Ibra piega la testa e vede Rooney che fa il terzino per settanta minuti, senza farsi pregare e senza fare storie. Zlatan è intelligente abbastanza per sapere che lui non è ancora quello che qualcuno gli ha detto di essere. Zlatan è forte con i deboli e perso con i forti. il massimo che il calcio italiano abbia, ma non è abbastanza. poco, è incompleto, è incapace di portarsi appresso una squadra, di prenderla per mano e farla giocare. Ha vinto lo scudetto da solo a Parma, l’hanno scorso. Lui dentro e il mondo cambiato. A Parma, però. la differenza tra un campione utile e un campione inutile, tra una bellezza fine a se stessa e una da sfruttare. Del Piero del mondiale del 1998 e dell’Europeo 2000: fortissimo fino a quando non si trovò a giocare con la Francia, fino all’appuntamento unico, fino alla partita vera, fino al momento in cui una palla arrivò sul destro e contro qualunque altra squadra in qualunque altra partita sarebbe stata messa dentro e invece quella sera di Rotterdam finì tra le braccia del portiere francese. la stessa cosa capitata all’Old Trafford con il diagonale di Zlatan: contro il Bologna, contro il Chievo, contro lo Spartak Mosca avrebbe preso un giro diverso. Gol. statistica emotiva. anche sfortuna, certo. Però Ibra è come Mourinho: non ama parlare del caso quando segna di tacco e non può amarlo quando sbaglia un tiro rasoterra. Ibrahimovic ha avuto due occasioni per segnare a Manchester e le ha sbagliate tutte e due. Al netto del carico del briciolo di sfortuna che c’è, resta che un attaccante deve segnare, che una punta serve anche se non la butta dentro, ma diventa unica solo se lo fa. Ibra è il suo naso, cioè se stesso. Imperfetto e fondamentale, eccessivo e necessario: non ha l’eleganza e lo stile che gli attribuiscono, non è completo come qualcuno vuol far credere. diverso e oggi unico, perché chi vuole un giocatore che cambia il calcio, che lo rivoluziona, che lo trasforma nell’uno contro tutti, deve scegliere per forza lui. Gol, assist, spettacolo, forza, classe, sfida, botte. forte, tecnico, potente, furbo, infame. Sente il pallone sotto i piedi e nel cervello, ha voglia, detesta perdere, e ha un talento che si porta appresso da quando era ragazzino e che non l’ha più mollato. Ibrahimovic è tutto e purtroppo è anche niente, perché improvvisamente perde l’intensità, smarrisce lo sguardo. Si sfalda se di fronte c’è la storia, se a un certo punto si va ai materassi, alla fine, all’ultima chance. come se s’imbrigliasse, in quel momento. Era stato così anche nell’Ajax e se vogliamo anche nella Juventus. A ogni svincolo della Champions, s’è perso. Fortissimo fino al rettilineo che porta al traguardo: è quello che si fa la salita e trascina, poi vede la fine e gli viene il braccino, l’ansia da prestazione, l’angoscia di non riuscire a dimostrare quello che è. E puntualmente succede. Ibrahimovic è un campione a metà: drammaticamente forte, capace di cose straordinarie, testimonial eccezionale del calcio moderno, personificazione della superiorità del pallone contemporaneo che mischia il fisico con la tecnica. Però non ha ancora capito chi è, non è riuscito a dimostrare che con lui si vince. Hanno scritto che è troppo facile prendersi uno scudetto con lui in campo.Purtroppo per l’Inter non è così. L’indifferenza del cross di mercoledì l’ha dimostrato. Perché tu vedi Rooney che gioca settanta minuti da terzino lui che è un centravanti: lo fa per la squadra e per se stesso. Vedi Cristiano Ronaldo, Pallone d’oro perché segna nella finale di Champions e segna anche contro l’Inter: non gioca benissimo, ma fa gol. L’atteggiamento un po’ disinteressato di Ibra nasconde la debolezza. Zlatan non ha paura di nessuno, se non di se stesso. il miglior amico. il peggior nemico. Quello che c’è, ma sparisce quando serve.