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 2009  marzo 19 Giovedì calendario

DANIELE MARTINI PER PANORAMA 19 MARZO 2009

Strade killer Dove più si rischia la vita. L’80 per cento degli incidenti avviene sempre sugli stessi tratti: statali, tangenziali e autostrade che sono fra le peggio tenute d’Europa. Perché i fondi per la manutenzione vanno a finanziare altro, o vengono bloccati dalla burocrazia. Intanto si continua a morire. Questa la mappa dei punti più pericolosi.
Lo sballo del sabato sera, la droga, le bevute, le pasticche, i cocktail di sostanze strane, la musica a palla in auto, la velocità, l’imprudenza, le distrazioni... Tutto vero, questi sono gli ingredienti micidiali delle stragi sulle strade, soprattutto nei finesettimana. Ma quando un automobilista perfettamente sobrio ci rimette la pelle in pieno centro cittadino, perché andando al lavoro in moto finisce senza avvedersene dentro una buca grande come una conca? O quando su una statale un camion vola per decine di metri in una scarpata perché il guardrail di protezione era alto appena mezzo metro? O quando si ripetono incidenti su incidenti non solo nei sabati sera, ma tutta la settimana, in tutte le ore del giorno e della notte, sulle solite tangenziali, sui soliti svincoli, sugli stessi chilometri, sulle medesime strade?
Evidentemente in tutti quei casi lo sballo c’entra poco o nulla. «Vi siete mai chiesti come mai l’80 per cento degli ”ubriachi” si schianta sempre sul 20 per cento delle tratte stradali?» domanda in modo un po’ provocatorio Angelo Artale, direttore generale della Finco, federazione confindustriale di materiali, impianti e costruzioni, che da un po’ di tempo ha fatto della sicurezza una specie di sua seconda ragione sociale. Ebbene, perché? Per un motivo semplice: le strade italiane sono pericolose perché sono tra le peggio tenute d’Europa, quasi lasciate a se stesse, troppo spesso senza manutenzione, come fossero res nullius, cose di tutti e di nessuno, come i pesci del mare prima di essere pescati.
Da uno studio dell’Università Federico II di Napoli risulta che proprio le pessime condizioni delle vie di comunicazione sono una concausa degli incidenti in almeno il 40 per cento dei casi. In una risoluzione presentata il 12 febbraio alla commissione Lavori pubblici della Camera, e discussa l’11 marzo, il vicepresidente, Roberto Tortoli (Pdl), sostiene che in Italia c’è «una grave carenza nella manutenzione delle strade in generale e molte vie sono ancora distanti dagli standard minimi di sicurezza».
Dalla consapevolezza alle decisioni, però, il passo è lungo, spesso i politici si distraggono e nelle strade prosegue la mattanza. In Parlamento sono state presentate 19 proposte per migliorare la sicurezza delle strade, però in nessuna si parla di manutenzione in modo organico e sistematico.
«Gli appalti sono calati del 60 per cento negli ultimi sei anni» informa Lino Setola, presidente della sezione barriere per la sicurezza stradale dell’associazione dei costruttori d’acciaio (Acai).
Secondo rilevazioni dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, nel 2007 (ultimo dato disponibile) per il miglioramento delle arterie nazionali sono stati impiegati appena 330 milioni di euro, per di più quasi tutti concentrati sui 20 mila chilometri gestiti dall’Anas. Per i 420 mila chilometri rimanenti (che diventano circa il doppio se si conteggiano le vie urbane e quelle di campagna) è stato speso poco o nulla.
Sulle autostrade le cose vanno un po’ meglio perché per contratto i concessionari devono investire in manutenzione parte del ricavato dei pedaggi, anche se l’impressione prevalente è che, dopo la privatizzazione di un decennio fa, lo stato complessivo della rete sia assai peggiorato.
Secondo l’ultimo rapporto di Automobile club (Aci) e Istat, ogni giorno sulle strade si verificano in media 633 incidenti in cui muoiono 14 persone e 893 rimangono ferite. I costi umani, economici e sociali sono altissimi, circa 30 miliardi di euro l’anno, e vanno dai costi sanitari alla mancata produzione delle persone decedute e degli infortunati, dai danni in senso stretto provocati dal sinistro alle invalidità, dalle spese per le assicurazioni ai costi giudiziari.
«Per riportare le nostre strade a un livello decente, per metterle tutte in sicurezza ci vorrebbero 40 miliardi di euro» calcola Enrico Gelpi, presidente dell’Aci. Cifra enorme, anche se non da spendere tutta d’un colpo, perché gli interventi andrebbero innanzitutto concentrati sui «black point», i tratti assassini (tabella a fianco), il resto diluito nel tempo, con programmi poliennali che darebbero una prospettiva di lavoro a 3 mila imprese medie e piccole con almeno 60 mila addetti.
Una volta tanto, però, non sono i soldi il vero problema. Nonostante la coperta corta dei bilanci pubblici, i quattrini per le strade ci sarebbero, a saperli e a volerli trovare. Le fonti di finanziamento possibile sono almeno quattro. Prima di tutto ci sono i proventi delle multe comunali, 1,6 miliardi di euro nel 2007 (senza contare le contravvenzioni di Polizia e Carabinieri), con una crescita complessiva annua del 13 per cento e addirittura del 19 se si considerano solo i capoluoghi di provincia (vedere riquadro a pagina 66).
In base all’articolo 208 del Codice della strada, almeno metà delle somme raccolte con le contravvenzioni dovrebbe tornare sulle strade in forma di investimenti in sicurezza e manutenzione, invece i comuni che rispettano la regola sono come mosche bianche e i soldi magari li spendono per le sagre del fico fiorone. Quell’articolo, del resto, è come un cane senza denti, privo di sanzioni, e quindi i comuni inadempienti non rischiano nulla tranne, forse, il giudizio degli elettori al momento del voto.
Seconda fonte di finanziamento sono le tasse pagate ogni anno in totale dal sistema dell’automobile, dalle accise sulla benzina all’Iva sui ricambi, dalle imposte sui pedaggi delle autostrade al bollo. Un fiume di quattrini: secondo dati Anfia (associazione dell’industria automobilistica), nel 2007 la pressione fiscale è salita a circa 80 miliardi di euro, 10 in più rispetto al 2002. Tutti quei soldi finiscono nel calderone indistinto della fiscalità generale, ma in futuro non sarebbe affatto irragionevole utilizzare almeno parte di quegli incassi per la manutenzione delle strade.
Terza fonte possibile per finanziare il miglioramento della rete nazionale: i risparmi ottenuti grazie alla lieve diminuzione del numero di incidenti che nel 2008 ha comportato minori spese di 3 miliardi di euro per lo Stato in termini di cure ai feriti, risarcimento per le vittime, pensioni di invalidità e assistenza ai disabili. La quarta fonte è l’utile dell’Inail (l’istituto per gli infortuni sul lavoro): 14 miliardi circa, almeno in parte utilizzabili per la manutenzione stradale, considerando che un numero notevole di sinistri avviene nel tragitto casa-ufficio o casa-fabbrica e viceversa, quindi assimilabile a un infortunio sul lavoro, almeno in senso lato.
All’estero per la manutenzione stradale si comportano in modo diverso. In Francia, per citare un caso a noi vicino, per la cura della rete investono 12 volte rispetto all’Italia. Da noi, 148 anni dopo il raggiungimento dell’unità e 63 anni dopo la nascita della Repubblica, manca perfino un catasto stradale nazionale. Di certo le strade non sono in carico al demanio, e non è del tutto chiara l’attribuzione delle competenze sulla sicurezza fra i vari ministeri (per esempio Infrastrutture, Interno, Welfare, Giustizia), mentre a livello locale né comuni né province iscrivono a bilancio il valore delle vie, con il risultato che manca un qualsiasi ancoraggio per un abbozzo di gestione economica del bene e quindi non si riescono a valutare costi e benefici, mentre le uscite per la manutenzione vengono considerate spese e non investimenti finalizzati alla sicurezza dei cittadini e alla conservazione di un patrimonio infrastrutturale fondamentale.
Il federalismo stradale voluto nel 2000 dal ministro Franco Bassanini (centrosinistra) non ha aiutato a fare chiarezza, anzi. Fino ad allora l’Anas gestiva circa 44 mila chilometri e la manutenzione bene o male la faceva, poi ha passato 24 mila chilometri alle regioni e la qualità delle strade è peggiorata sensibilmente, tanto che alcuni governatori, dopo avere ricevuto il pacco regalo, ora vorrebbero restituirlo al mittente.
Otto anni fa l’Europa lanciò l’obiettivo di dimezzare entro il 2010 il numero dei morti sulle strade. Francia, Paesi Bassi, Svezia, Portogallo si stanno avvicinando al traguardo. L’Italia resta lontana.