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 2009  marzo 19 Giovedì calendario

ANTONELLA PIPERNO PER PANORAMA 19 MARZO 2009

La forza degli antipatici. Mourinho e gli altri Spesso emarginati e bollati come socialmente fastidiosi, oggi politici, attori e sportivi molto pieni di sé hanno trovato l’uomo del riscatto. Un portoghese che si pone «un gradino sotto Dio» e guida la crociata contro buonismo e politically correct. Per imporre un nuovo modello: quello di chi vince anche in tempo di crisi. Con le leggi della giungla.
Si esercita, da anni, Massimo D’Alema, sfornando frasi autocelebrative come «tendo a considerare molto intelligente chi mi dà ragione». Si è sempre dato parecchio da fare, con le sue sfuriate televisive e il titolo di «antipatico dell’anno» conquistato per tre volte di fila, anche Vittorio Sgarbi. Nel campo della fiction un bel colpo lo ha assestato il ruvido doctor House, lo «special one» della medicina, cinico, zoppo, sgarbato e con la barba incolta, che fa soffrire le donne, maltratta i pazienti, ma azzecca anche le diagnosi più complicate.
Considerando popolarità e penetrazione tra le masse, era però inevitabile che a sdoganare, riabilitandola, una delle categorie umane più emarginate fosse il mondo del pallone. Merito (o colpa, dipende dai punti di vista) dell’allenatore dell’Inter José Mourinho, quello che quando era in Inghilterra si definiva «un gradino sotto Dio»: nel suo monologo di sette minuti dopo il discusso match Inter-Roma (finito 3-3, con la sua squadra accusata di essere stata beneficata da favori arbitrali) lo «special one» ha costretto calciofili, non tifosi e perfino chi non lo sopporta a rivedere le loro considerazioni sugli antipatici. Finora giudicati, come minimo, urticanti e socialmente fastidiosi.
E se invece avessero ragione loro, i politically incorrect? Se l’antipatia non fosse un aspetto deteriore della personalità e andasse invece sdoganata e apprezzata come sintomo di chiarezza e coraggio intellettuale, oltre che come caratteristica di personalità vincenti? «Il filosofo di Setúbal»: così quelli del Foglio hanno ribattezzato il tecnico portoghese, apprezzando il coraggio con cui, chiarisce Giuliano Ferrara «ha rovesciato come un calzino il melassoso mondo del calcio» con quell’intervento costellato da «a me non piace la prostituzione intellettuale», «Milan e Roma vinceranno titoli zero». E, rivolto al suo omologo della Juventus, Claudio Ranieri, l’irriverente «a quasi 70 anni ha vinto una Supercoppa e una coppetta. troppo vecchio per cambiare mentalità».
Con gli appassionati articoli dedicati alla «moupolitica» e all’«amourinho nostro» Il Foglio, non certo un giornale patito per il calcio e tantomeno interista (Ferrara tifa Roma), ha bandito in realtà una crociata antiaccomodanti a tutti i costi: «Io trovo simpatici gli antipatici» è l’ossimoro sostenuto da Ferrara «e disgustosi i piacioni. Sono un tipo pacioso, amo la cordialità, tant’è vero che per rappresentarmi ho scelto l’elefantino, un animale simpatico a tutti. Però nella mia funzione civile la simpatia la lascio da parte. Sono convinto che dovremmo tutti seguire l’esempio di Mourinho».
Non è l’unico a pensarla così, considerando che Europa, il quotidiano di riferimento dell’ex Margherita, ha appena provocatoriamente proposto l’allenatore dell’Inter come nuovo leader del Pd.
Seppure finora sovrastati da quelli della pacca sulla spalla e del sorriso sempre aperto, i ruvidi di carattere sono un po’ ovunque, nello sport e nell’arte, a destra e a sinistra, essendo l’antipatia trasversale. E pronti adesso a prendersi la loro rivincita: in politica D’Alema e Massimo Cacciari sono in compagnia di Niccolò Ghedini, del leghista Roberto Calderoli e della cattivissima pasionaria della Destra Daniela Santanchè, orgogliosa dell’imitazione di Paola Cortellesi, dove diventa un mix tra Crudelia De Mon e l’indemoniata dell’Esorcista: «Non ho mai avuto problemi a esternare convinzioni scomode, come calci nel sedere ai clandestini. Ho più coraggio di altri, ne vado fiera e non ho alcun interesse a piacere a tutti. Anzi, ne sarei offesa» puntualizza.
Del gruppo farebbe parte pure il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, aria da primo della classe, gran distributore di nomignoli agli avversari (ha storpiato il cognome di Corrado Passera in «Passerà»), che ha però dichiarato che l’etichetta di antipatico lo fa soffrire.
Nel giornalismo Gad Lerner, bastian contrario dichiarato, Michele Santoro e Lucia Annunziata, che nelle sue interviste tv raramente si lascia scappare un sorriso, fanno squadra con Vittorio Feltri, direttore di Libero, e Maurizio Belpietro, direttore di Panorama. Che al marchio ci tiene, tanto da aver registrato la testata del suo L’antipatico, il programma Mediaset nel quale intervistava senza riguardo i personaggi di turno.
Dalla categoria si tira fuori invece Marco Travaglio, che pure non brilla per amabilità: «Avrò anche tanti difetti, ma non mi sono mai messo al centro del mondo. Anzi, tanti mi trovano simpatico perché riesco a dire cose terribili con il sorriso sulle labbra» puntualizza, fornendo la sua classifica degli antipatici degni di rispetto: «Trovo credibile Tremonti e finta invece la cattiveria di D’Alema, che fa di tutto per sembrare un gelido calcolatore machiavellico e alla fine risulta più un Fantozzi». Battuta al veleno, degna di un antipatico doc.
Del resto sorrideva molto anche Vittorio Gassman, che però, ha raccontato Paolo Villaggio (altro ruvido dichiarato), «era tronfio e spargeva antipatia nell’aria anche quando entrava in un ristorante».
Adesso al cinema è il turno dell’autoriferito Nanni Moretti, che fa trasversalmente gruppo con Pasquale Squitieri e Luca Barbareschi: «Se antipatico significa essere tosti, avere i ”cojones”, come dicono in Sud America, beh allora sono fiero di esserlo» dichiara Barbareschi, sicuro che la sua non sia una caratteristica respingente. «Se sono un beniamino del pubblico, se grandi marchi mi hanno scelto come testimonial, significa che l’antipatia piace. Meglio quelli ruvidi, ma leali, dei tanti buoni che poi si rivelano ladri di polli».
Gente fiera, che se ne infischia della delicatezza. Perfino un po’ carogna. Ma, a differenza dei perenni sorridenti, solo quando serve: «Mentre il simpatico assume un atteggiamento perenne di cordialità per stabilire un rapporto con il mondo, si adatta anche se non ne ha voglia, noi non siamo in servizio permanente» analizza Sgarbi. «Essere antipatici è una coraggiosa scelta di pensiero. Lo siamo quando riteniamo che sia il caso di esserlo. E poi siamo più veri. Sono convinto che Roberto Benigni sia in realtà antipaticissimo». Il critico d’arte è sicuro di piacere proprio per la sua ruvidezza: «Ai bambini, che adorano i cattivi, e naturalmente alle donne».
Non ha torto, considerando l’enfasi con la quale Alba Parietti ha appena esternato la sua ammirazione per Mourinho: « un narcisista, è disinteressato a tutto ciò che non lo riguarda, ma è pure sexy: è il mio uomo ideale».
Che l’antipatico abbia un grande potere di fascinazione lo ribadisce lo psichiatra Paolo Crepet: «A quale donna potrebbe mai piacere l’uomo ricotta? Le servirebbe giusto per accompagnarla al supermercato» provoca. «E poi l’attrazione per un uomo antipatico nella vita pubblica risiede proprio nello scoprire quanto può essere amabile nel privato».
Parla per esperienza, essendo universalmente etichettato come uno dei più antipatici del piccolo schermo: la settimana scorsa, a Porta a porta, ha maltrattato la teoria genetica sugli attacchi di panico del neurologo Rosario Sorrentino e quindi ha fatto impietosamente a pezzi il suo approccio farmacologico. «Non sopporto questi maghetti degli psicofarmaci e non vedo perché dovrei censurarmi, se sono sicuro delle mie capacità. Ho in uggia certo modo ipocrita di atteggiarsi, è da mezze calzette. ora di farsi valere, sempre che si abbiano i mezzi per farlo. Non c’è niente di più patetico di un inetto che si mostra antipatico per farsi valere».
L’antipatia, insomma, è un lusso che solo gli special one possono permettersi. Nessuno ha mai osato criticare più di tanto John McEnroe, colui che ha terremotato l’ingessato mondo del tennis e ispirato Essere John McEnroe di Tim Adams, una fenomenologia dell’antipatico, quando, da numero uno, reagiva a presunti errori arbitrali gridando «you cannot be serious!» (non sta dicendo sul serio) e minacciando i giudici di linea con il manico della racchetta.
Mentre il collega australiano Lleyton Hewitt, credibile nella sua antipatia quando era in vetta alla classifica, non spicca adesso che, scivolato al numero 31, continua ad alzare il pugnetto e perfino a sputare sugli avversari. Lo ha fatto l’anno scorso agli open d’Australia, quando giocava contro Juan Ignacio Chela.
Da quando non eccelle più in vasca, hanno perso d’efficacia anche i vezzi da primadonna di Laure Manaudou, rispettabili invece quando appartengono al campione in carica di formula uno, l’inavvicinabile Lewis Hamilton, che non ha mai chiesto scusa agli avversari per un errore in gara.
 necessario eccellere, recuperare capacità e autostima. E solo allora affinare l’arte dell’antipatia, dandole libero sfogo anche in ufficio. Uno studio della Harvard medical school ha appena dimostrato che chi sfoga astio e collera al lavoro ha più possibilità di fare carriera rispetto a chi si stampa in faccia un sorriso ipocrita. Perché dimostrerebbe un maggiore attaccamento alle sorti dell’azienda.
«L’era della melassa è finita. I corsi di simpatia rivolti al management, i libri come L’amore è la killer application di Tim Sanders, inneggianti al capo gentile e premuroso, sono diventati preistorici» avverte il conduttore radiofonico Gianluca Nicoletti, altro spirito tagliente. «In questa fase di recessione, dove non c’è più posto per tutti, gli antipatici alla Mourinho cominciano a piacere perché indicano la nuova strada, quella della legge della giungla». E non è detto che saremo costretti a soffrire di più: «Basta riflettere su quante fregature ci hanno rifilato i simpatici».