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 2009  marzo 13 Venerdì calendario

AlZaidi Muntazar

• o AL ZEIDI Muntadar Baghdad (Iraq) 16 gennaio 1979. Giornalista. Quello che il 14 dicembre 2008 durante una conferenza stampa a Baghdad tirò le scarpe all’allora presidente degli Stati Uniti George W. Bush (per questo condannato a tre anni di carcere) • «’Visto che lancio? Si capisce che Muntadar va in palestra eh?” ride un cameraman uscendo sulla strada assolata. Dentro, l0atmosfera è molto più tesa. La hall ricorda un antico caffè sul Tigri: legno alle pareti, vecchie poltrone, un grammofono. Questa è Al Bagdadia, per un giorno la tv araba più famosa del mondo. Qui lavora Muntadar al Zeidi, il reporter che ha fatto le scarpe a George Bush […] un ragazzone sciita […] che abita a Sadr City: da sconosciuto reporter di una tv irachena minore con sede principale in Egitto (il proprietario, Hassen al Kashlok, è un uomo d’affari di Nassiriya che si dice abbia fatto i soldi sotto Saddam Hussein con il programma dell’Onu ”Oil for Food”) è diventato per tutti ”el Batal”, l’eroe. […] ”Muntadar ha sempre visto gli americani come invasori”, dice un giornalista che chiede l’anonimato. Ha persino cancellato il suo matrimonio: ”Mi sposerò quando gli americani se ne andranno”. Dicono che sia legato al movimento di Moqtada al-Sadr, il leader sciita che ha spesso scagliato le sue milizie contro le truppe Usa. Possibile che l’idea di lanciare le scarpe sia venuta da lui? ”Credo che migliaia di iracheni – dice un collega – avrebbero fatto la stessa cosa spontaneamente”. A Sadr City […] la stanzetta di el Batal è essenziale. Una branda, un armadio, qualche libro su una mensola sghemba tra cui campeggia un volume con l’effigie di Che Gevara. Muntadar ha studiato giornalismo alla Bagdad University a cavallo della guerra. […]» (Michele Farina, ”Corriere della Sera” 16/12/2008) • «[...] detenuto [...] ha deciso di fare mea culpa per l’irriverente gesto. [...] ha scritto di proprio pugno al premier al-Maliki chiedendo di ”essere perdonato” per aver commesso ”un atto orribile”, spiegando di provare ”rimorso e pena per il mio comportamento”. L’ammissione di colpa, dopo neanche una settimana di detenzione nelle celle governative, si unisce alla ”richiesta di perdono” che Al Zeidi avanza al premier ricordando come ”lei mi accolse a casa sua nel 2005 per un’intervista dicendomi che quella era anche la mia casa” [...] Il fratello dell’Uomo Scarpa, Dhargham, assicura che dietro il pentimento ci sarebbero le ”dure percosse ricevute da Muntazer sin da quando è stato arrestato” [...]» (’La Stampa” 19/12/2008) • «[...] Arrestato subito dopo il lancio, picchiato e torturato, secondo i suoi legali, il processo a carico del giovane giornalista, divenuto un simbolo per il popolo di internet, è stato più che rapido. Due udienze soltanto [...] ”Non colpevole”, ha così risposto ieri Muntazar alla domanda di rito, relativa al capo d’accusa ”aggressione a una personalità straniera in visita ufficiale”. Imputazione questa contestata dal collegio di difesa del giornalista di cui fanno parte ben 25 avvocati, in quanto ”il presidente americano non poteva essere ospite in un paese occupato dalle sue truppe”. Eccezione che costrinse, Abdel Amir al Rubai, il giudice, a un surplus di indagine per accertare se la visita fosse o meno ufficiale. Lo era, secondo il governo, da qui la sentenza [...] letta, dopo aver fatto sgombrare l’aula, soltanto in presenza dell’imputato e dei suoi avvocati. ”Lunga vita all’Iraq”, così al Zaidi ha commentato il verdetto a suo carico. Uday, il fratello, ha invece parlato di ”sentenza politica” con Muntazar ”trattato alla stregua di un prigioniero di guerra”. Mentre la sorella, tra le lacrime, ha accusato al Maliki, il premier iracheno, di essere ”un agente americano”. Secondo Reporters sans frontière si tratta di una condanna che denota ”soltanto cinismo, tenuto conto dell’impressionante numero di giornalisti vittime di violenze in Iraq e che non hanno certo avuto giustizia”. Bush non ha voluto commentare. ” una questione che riguarda il sistema giudiziario iracheno”, è tutto quello che ha fatto sapere attraverso un suo portavoce. […]» (Renato Caprile, ”la Repubblica” 13/3/2009).