Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  marzo 11 Mercoledì calendario

UN NUOVO RISORGIMENTO NEL FUTURO DEL MERIDIONE


Su internet ho letto questo testo: Berlusconi ha fatto cosa buona e giusta chiedendo perdono ai libici per la colonizzazione perpetrata dai governi italiani in Libia. Ora aspettiamo le scuse del presidente del Consiglio italiano all’Italia meridionale, colonizzata fin dal 1860 dai governi piemontesi di cui il Partito liberale di Cavour era il maggiore ispiratore. A causa di quella invasione i morti ammontarono a oltre un milione, gli emigranti a oltre 30 milioni: una diaspora biblica che nemmeno gli ebrei hanno avuto. Da allora il Sud è stato vilipeso, maltrattato, bonificato economicamente e culturalmente. Vorrei conoscere il suo pensiero in merito, conscio che l’argomento, per molti, è scabroso e scottante.
Nunzio Porzio
nupo@interfree.it
Caro Porzio,
Non sono sorpreso. Il giudizio sull’Unità d’Italia che il lettore trova nella sua lettera è soltanto la variante meridionale di un sentimento diffuso in molte regioni. I leghisti detestano Roma e Garibaldi. I lombardi rimpiangono malinconicamente Maria Teresa. I veneti celebrano religiosamente il genetliaco dell’imperatore Francesco Giuseppe. I toscani non perdono occasione per decantare le virtù degli ultimi granduchi. I napoletani ricordano con nostalgia i fasti del regno borbonico. E molti romani continuano a comportarsi come se il loro vero sovrano fosse al di là del Tevere, dietro le mura della Città leonina. Alla vigilia del suo centocinquantesimo anniversario l’Italia unitaria è malata. Lo sapevo da tempo e la sua lettera non mi dice nulla di cui non fossi consapevole. Può darsi che si tratti di sentimenti passeggeri, dettati dall’ondata di qualunquismo e rancore anti-istituzionale che si è abbattuta sulla penisola durante gli ultimi vent’anni. Ma non è escluso che questi sentimenti mettano radice nella psicologia nazionale e diventino difficilmente eliminabili.
Tutti sono liberi quindi di giocare al massacro con l’unità della penisola e di sentirsi «occupati» dai piemontesi. Forse converrebbe rinunciare a certe cifre rodomontesche (un milione di morti? 30 milioni di emigrati?) e a certe immagini bibliche, ma nessuno può impedire ai critici dell’Unità di cantare nel coro degli antirisorgimentali. Mi permetto soltanto di fare due osservazioni strettamente collegate.
In primo luogo sarebbe giusto ricordare che il movimento unitario non fu soltanto ambizioni dinastiche e sete di conquista. Nella mente della classe dirigente che governò il Paese durante i primi decenni del Regno vi erano un disegno e una speranza: riportare l’Italia in Europa, ridare dignità al suo nome, restituirle il ruolo che aveva avuto in altri tempi. Vi era alla base di quel disegno la convinzione romantica che gli spiriti italiani fossero soltanto assopiti e che le campane del Risorgimento li avrebbero svegliati dal loro sonno secolare. Cavour, sul letto di morte, parlò dei napoletani con espressioni accorate. Era convinto che l’educazione e la libertà li avrebbero sollevati dallo stato di prostrazione in cui avevano vissuto: «Li governerò con la libertà e mostrerò ciò che dieci anni di libertà possono fare di queste belle regioni. Fra vent’anni saranno le province più ricche d’Italia». Il sogno di Cavour si dissolse quando gli amministratori piemontesi e lombardi scoprirono lo stato primitivo e miserevole del Sud. La guerra contro il brigantaggio non fu soltanto una sanguinosa e brutale operazione di polizia. Fu anche, per il nord, uno shock culturale. Chi diffida dei giudizi «padani», caro Porzio, legga il «Viaggio Elettorale» di Francesco De Sanctis o i diari dei viaggiatori stranieri che scesero lungo la penisola fra il Settecento e l’Ottocento.
In secondo luogo l’Unità, una volta realizzata, ebbe l’effetto di aprire agli italiani prospettive che erano state sino a quel momento inimmaginabili. Fu unificata l’economia nazionale, fu adottata una moneta unica, furono costruite grandi infrastrutture, fu creato un mercato che avrebbe permesso alle industrie di nascere e affermarsi. Non tutte le regioni ne trassero vantaggio allo stesso modo, e molti meridionali dovettero scegliere la strada dell’emigrazione. Furono commessi errori di distrazione e di omissione. Ma furono anche realizzate iniziative (lo statuto speciale siciliano, la Cassa del Mezzogiorno, la delocalizzazione di alcune grandi imprese del nord) di cui i meridionali non seppero approfittare. In ultima analisi la nostra vita dipende anche dalle nostre scelte e dalle nostre iniziative. Il Sud ha uno straordinario patrimonio di intelligenza e grandi risorse male utilizzate, come il turismo. Io continuo a sperare nel suo, seppure tardivo, Risorgimento e mi auguro che lei condivida questa speranza.