Martino Cervo, Libero 11/3/2009, 11 marzo 2009
STUDIANO 1 GIORNO SU 3: I FANNULLONI DELL’UNIVERSITA’
La necessità di una riforma dell’impianto universitario è una questione di numeri. Forse di uno, in particolare: 26,2. Sono i crediti (Cfu) che l’iscritto medio agli atenei italiani consegue in un anno. I crediti sono la misura dell’attività formativa svolta: ogni esame ne assegna un tot fino ai 180 necessari per completare la laurea di primo livello. Quindi, uno studente ”in corso” ne totalizza circa 60 l’anno. La media italiana è vicina a un terzo. Fannulloni? Anche. Ma per l’intero sistema il problema maggiore è che l’università non ha a disposizione meccanismi che rendano vantaggioso alzare quei 26,2 crediti medi. In pratica, non conviene che la macchina funzioni bene.
La cifra esce da un recente rapporto elaborato su input del senatore PdL Giuseppe Valditara dal CNVSU (Comitato Nazionale per la Valutazione del Sistema Universitario, www.cnvsu.it): tra iscritti, docenti, bilanci e spese di gestione ne esce una mole di dati aggiornati sulla quali i tecnici chiamati a ridisegnare l’assetto del sistema di istruzione superiore avranno di che riflettere. Libero, che è venuto in possesso del documento, offre qui una brutale sintesi. Nei nostri 87 atenei ci sono 1.808.665 iscritti a 5.835 corsi di laurea di primo e secondo livello (le cosiddette specialistiche). I docenti di ruolo sono in tutto 61.925, divisi tra 19.622 ordinari, 18.738 associati e 23.565 ricercatori. Un docente ogni 29 studenti circa. Il numero di studenti ”regolari” (iscritti a un numero di anni accademici inferiore o uguale a quello previsto dal corso) per docente scende a poco di più 19: in pratica ogni professore o ricercatore ha in carico dieci ”fuori corso”, senza che questo incida in nessun modo né sui finanziamenti dell’università, né agevoli di fatto chi ha un piano di studi regolare.
truppe di fuori corso
L’esercito degli ”irregolari” ammonta a una truppa di 748.938 studenti, pari al 41,4% del totale degli iscritti. Pagano le tasse, ovviamente, e tra questi ci sono decine di migliaia di lavoratori il cui percorso non può che essere logicamente rallentato. Il problema nasce dal fatto che non sono previsti sistemi premiali – né, nei casi contrari, punitivi – per gli atenei più rapidi dell’inserire chi si affida a loro nel mercato del lavoro.
Non meno interessante, del malloppo costruito sui dati del Miur, il capitolo spese. Per i docenti, tra assunti di ruolo e a contratto, gli atenei statali spendono quasi 5 miliardi l’anno. A questi professori sono assegnati 3.929 corsi di laurea (qui si contano quelli attivi e con almeno un iscritto). Di questi, 423 hanno meno di 15 iscritti. Per non incorrere nell’errore in cui erano cadute anche autorevolissime firme, vanno però sottratti al dato i corsi in esaurimento, che cioè non hanno più immatricolati e stanno smaltendo i vecchi iscritti in attesa della laurea. Ne restano comunque 53, di cui 5 alla Sapienza, altrettanti alla Cattolica di Milano e 3 per ciascuno degli atenei di Napoli, Palermo, Sassari e Macerata, più altri disseminati in tutta la penisola. Estremamente significativa la quota di spesa per il personale tecnico e amministrativo (contabili, inservienti, addetti, tecnici), soprattutto se messa in rapporto con quella assorbita dalle docenze. Questo rapporto è superiore al 40%, con alcune punte che inducono a dare ragioni a chi equipara alcuni casi alla trasformazione degli atenei in una sorta di ammortizzatori sociali. Fatti salvi casi anomali per motivi tecnici (come l’università Foro Italico) o linguistici (le università per stranieri), l’ateneo di Napoli ha speso nel 2008 119 mila 552 euro per il personale tecnico: il 62% della spesa per i docenti di ruolo. Dato che si mantiene superiore al 50% anche negli atenei di Macerata, Camerino, Napoli Parthenope, Cassino, Siena e Cagliari. Se le grandi università milanesi contribuiscono ad abbassare la media, portando il rapporto a circa lo 0,3, questa classifica ”virtuosa” è però guidata da un’università del Sud, quella di Catanzaro, che con il 28% stacca di 3 punti la Statale di Milano.
Ma il fronte di spesa più sconcertante è quello – ricavato dai conti consuntivi del 2006 – del comparto spese di rappresentanza, missioni e gettoni degli organi accademici (Senato, Consiglio di amministrazione e di Facoltà).
a gettone continuo
Scorrendo le voci che, sommate, portano agli oltre 35 milioni di uscite, ci si imbatte in casi decisamente anomali. L’ateneo di Catania spende in missioni e gettoni la ragguardevole cifra di 2 milioni 274 mila euro: sette volte il Politecnico di Milano. L’università Mediterranea di Reggio Calabria (1.148.210) spende un milione 148mila 210 euro: qualche euro in più di Tor Vergata, che pure ha un po’ di iscritti in più. Notevoli, sempre paragonati alla dimensione dell’ateneo, i numeri di Chieti-Pescara (965.894 euro: più della Bicocca di Milano), Salerno (793.809, più del Politecnico di Torino), Università del Salento (776.009: più di Bologna).
Curiosità a parte, l’impatto dei dati – raro per completezza e numero di indicatori – è tale da indurre a più di una considerazione anche per quanto riguarda la capacità degli atenei di intercettare fondi comunitari. Qui alcune università del Sud mostrano un’inversione di tendenza rispetto agli sprechi, rivelandosi capaci di intercettare risorse preziose ben più di atenei del Nord Italia. Gli atenei di Palermo, Calabria e Catania riescono ad accaparrarsi cifre intorno ai 5mila euro per docente di ruolo da fondi comunitari. Solo casi come Trieste e Trento riescono a fare di meglio, mentre in alcuni casi come Parma le risorse intercettate sono minime (appena 275 euro a docente).
nuovi cda
«Sono dati che fanno risaltare la necessità di risorse per il sistema universitario», commenta il senatore Valditara, ”mente” dell’inchiesta del CNSVU che da qualche giorno è spalancata sul tavolo del ministro Gelmini, «e che evidenziano come il vero punto critico risieda per l’Italia nella carenza dei fondi provenienti dal comparto privato. La compresenza di sacche di sprechi e di punte di eccellenza mostra come la strada obbligata passi per una differenziazione nell’indirizzo delle risorse. Il sistema non è allo sfascio, ma se gli atenei non virtuosi si dovessero attenere a una media standard, si risparmierebbero 200-250 milioni di euro l’anno». In questo senso la maggioranza, di intesa col governo, sta lavorando a una bozza di ddl da presentare entro aprile che prevede, tra l’altro, l’ingresso di due rappresentanti nei CdA degli atenei nominati dai finanziatori sopra i 300 mila euro. «Dai dati che stiamo ricevendo abbiamo un ottimo segnale di inizio di risanamento: i corsi di laurea attivati l’anno prossimo dovrebbero essere tra il 15 e il 20% in meno, il che aiuterà di molto la razionalizzazione. Un altro problema da risolvere è quello della eccessiva parcellizzazione dei crediti: troppi esami spesso piccoli che, soprattutto in alcune facoltà, andranno regolati con tetti massimi».