Renato Brunetta, Il sole 24 ore 11/3/2009, 11 marzo 2009
LE CASE POPOLARI SUL MERCATO
Forse è il momento di fermarsi a riflettere su quella che sta diventando quasi una regolarità statistica nel corso della crisi finanziaria ed economica che il mondo sta attraversando. Il giorno in cui la Bce decide di ridurre i tassi di interesse portandoli a un minimo storico, (l’1,5%intermininominali, tasso zero intermini reali), le borse crollano. Quando, circa unmese fa, il segretario al Tesoro americano Geithner annunciò la disponibilità a spendere fino a2,5 trilioni di dollari per i salvataggi, in varia forma, del sistema bancario americano, le Borse hanno reagito negativamente. Se si ripercorre la storia negli ultimi mesi degli interventi, o degli annunci d’interventi, da parte dei vari Governi per mega stimoli fiscali o mega stanziamenti per salvataggi o nazionalizzazioni di banche o imprese, la reazione degli investitori, risparmiatori, consumatori e produttori è stata sempre negativa, e l’economia mondiale si è avviata al collasso. Le spiegazioni specifiche avanzate in ciascun caso sono ovviamente varie e legate ai diversi contesti.Ma vi è un legame comune tra questa correlazione negativa tra crescente disponibilità all’intervento pubblico e reazione delle Borse e dell’economia reale: gli interventi sono stati sempre percepiti come segnali del crollo di un mondo,dell’aggravarsi della recessione, e non come garanzia di mantenimento della stabilità e di soluzione dei problemi. Hanno per molti versi ragione Alberto Alesina e Ignazio Angeloni quando («Il Sole 24Ore»del 3 marzo) rilevano che una campagna martellante sul fallimento dei mercati, della globalizzazione, delle liberalizzazioni, della finanza,a cui dovrebbe porre rimedio l’intervento sempre più esteso dello Stato nell’economia,non possa non avere come effetto immediato nella psicologia di massa quello di una perdita di fiducia nei mercati.E in primo luogo perdita di fiducia nella capacità dei mercati di determinare i prezzi, a cominciare da quelli delle attività. La conseguenza non banale è che il crollo della fiducia investe la possibilità stessa di valutare l’incertezza e il rischio,e quindi i valori, caratteristiche essenziali dell’attività finanziaria edeconomica. Non è affatto vero che la globalizzazionee l’economia di mercato abbiano fallito, dal momento che hanno assicurato oltre due decadi di crescita quasi ininterrotta e un aumento del benessere in tutto il mondo. Per andare all’origine della crisi finanziaria, scoppiata negli Stati Uniti,libero mercato,finanza e politica monetaria hanno assicurato un periodo di crescita stabile di quel Paese senza quasi precedenti. Nelle ultime due decadi, l’economia americana è stata trascinata nella crescita da quelle che poi sono state definite, per gran parte impropriamente, bolle speculative.La prima è stata quella legata alla internet economy che una volta sgonfiatasi( alla fine del secolo scorso) è stata compensata negli Usa da una politica monetaria espansiva che ha assicurato, con i bassi tassi d’interesse, la perdita di ricchezza finanziaria delle famiglie con un aumento dei valori immobiliari. Ciò ha consentito di non far crollare i consumi e di assicurare quasi un altro decennio di crescita. Ma la corsa si è interrotta quando un secondo periodo di euforia irrazionale ha generato la cosiddetta bolla immobiliare. La crisi dei subprime in realtà si è generata quando, con il rialzo dell’inflazione trainata dai prezzi delle materie prime, e con il conseguente rialzo dei tassi d’interesse variabili nominali, molti sottoscrittori dei mutui non sono stati più in grado di far fronte ai pagamenti.A ciò si deve aggiungere che l’acquisto di case totalmente a debito era dettata dalla convinzione di una continua e inarrestabile corsa dei prezzi delle case. La crisi scoppia quando questa corsa al rialzo deiprezzi si arresta. L’errore sta nel fatto di non aver governato il passaggio da una crescita sostenuta a una più moderata, favorendo una stabilizzazione non traumatica dei valori immobiliari. Molti sono convinti che l’errore sia stato quello di non intervenire subito a sostegno delle famiglie in difficoltà per bloccare l’effetto domino delle insolvenze.Ed è questa convinzione che ha portato l’amministrazione del nuovo Presidente americano ad annunciarenella scorsa settimana un grande piano di sostegno alle famiglie debitrici in difficoltà con i mutui e alle banche prestatrici, con l’obiettivo di bloccare l’ondata di pignoramenti delle case. La strategia è quella di stabilizzare in primo luogo i prezzi delle case, premessa per riavviare il mercato immobiliare e con esso il grado di fiducia dei cittadini. In condizioni molto diverse, anche in Italia è dal mercato immobiliare che si può partire per riavviare un ciclo positivo basato sulla spinta a investire da parte dei cittadini. E paradossalmente questo può avvenire, in un momentoincui si parla solo di nazionalizzazioni, con un piano di privatizzazioni che può contribuire a invertire il segno delle aspettative sulla capacità di crescita delle economie di mercato.Si tratta di attuare rapidamente il piano di dismissione del patrimonio abitativo degli ex Istituti autonomi per le case popolari, già previsto dalla Finanziaria 2006, e di parte del patrimonio demaniale, per attuare il quale esistono già le norme. In particolare si tratta di cedere le abitazioni di proprietà degli ex Iacp agli attuali inquilini, trasformandogli affitti in mutui. Ciò significa attribuire un prezzo a queste abitazioni in base a quello che è il valore attuale netto del loro rendimento attuale effettivo per gli Istituti proprietari e fardiventare proprietari oltre un milione di affittuari attuali. Con diverse conseguenze fondamentali. La prima è che, con la proprietà, aumenta la ricchezza delle famiglie. Un capitale immobiliare attualmente inattivo (l’economista peruviano Hernando de Soto lo chiamerebbe "capitale morto"), perché al valore d’uso non si unisce un valore di scambio che è legato auntitolo di proprietà liberamente disponibile, diviene capitale effettivo (de Soto lo chiamerebbe "capitale vivo") che rafforza il grado di solvibilità delle famiglie e la propensione alla spesa e all’investimento. La seconda è che i nuovi proprietari avrebbero a disposizione un patrimonio che è destinato ad aumentare di valore rispetto al prezzo d’acquisto per il solo fatto di essere stato privatizzato, invertendo quindi la fase di aspettative negative sui valori patrimoniali, e li spingerebbe a investire inmanutenzione e valorizzazione del patrimonio stesso, avviando un ciclo positivo con effetti moltiplicativi sull’economia. Soprattutto se al piano di dismissioni si aggiungono gli incentivi alla ristrutturazione e alla riconversione ecosostenibile degli edifici. L’impatto positivo di domanda si avrebbe non solo sul settore edile,ma anche sui settori dei servizi innovativi legati alla manutenzione con contenuti di tecnologia innovativa. Dall’attuazione del piano di dismissioni, che comporta anche un risparmio notevole di gestione del patrimonio da parte degli ex Iacp, possono venire inoltre parte delle risorse necessarie a finanziare un intervento straordinario di sostegno per mutui agevolati, manutenzione straordinaria e nuove costruzioni destinate all’emergenza abitativa. L’effetto principale di una rapida attuazione di questo programma risiede, tuttavia, nel dare un segnale di fiducia alle famiglie incentivando l’accumulazione di nuova ricchezza come volano della ripresa economica.Da parte sua l’amministrazione pubblica si potrà affiancare all’iniziativa privata con un parallelo piano di ristrutturazione e manutenzione degli edifici pubblici anche finalizzati al risparmio energetico.