Vittorio Sgarbi il Giornale 11/3/2009, Francesco Borgonovo 11/3/2009, 11 marzo 2009
Architetti famosi contro le case della libertà (immemori dei loro ecomostri) VITTORIO SGARBI PER IL GIORNALE Attila disse «salviamo l’Italia»
Architetti famosi contro le case della libertà (immemori dei loro ecomostri) VITTORIO SGARBI PER IL GIORNALE Attila disse «salviamo l’Italia». In prima pagina della Repubblica di ieri appariva un appello di tre architetti, tra i principali vandali del nostro tempo, che chiedono «un sussulto civile delle coscienze di questo Paese» contro «la proposta di liberalizzazione dell’edilizia, annunciata dal presidente Berlusconi». Firmano l’appello Gae Aulenti, Massimiliano Fuksas, Vittorio Gregotti: «Le licenze facili e i permessi edilizia fai da te decretano la fine delle nostre malconce istituzioni. Il territorio, la città e l’architettura non dipendono da un’anarchia progettuale che non rispetta il contesto, al contrario dipendono dalla civiltà e dalle leggi della comunità. La proposta di liberalizzazione dell’edilizia, annunciata dal presidente Berlusconi, rischierebbe di compromettere in maniera definitiva il territorio. Ecco perché c’è bisogno di un sussulto civile delle coscienze di questo Paese». E il sussulto viene da alcuni dei principali responsabili degli orrori che hanno sfigurato il volto delle nostre città e del paesaggio. Non si vorrebbe credere. Potrebbe sembrare una burla, probabilmente non lo è e certamente otterrà numerose firme di complici e non ingenui cittadini insieme a quelle di molti che amano il loro Paese e avvertono il pericolo reale. Perché, sia ben chiaro, la preoccupazione è lecita, ma ci vogliono veramente le facce toste dei tre architetti citati per mettersi a capo di una rivolta contro quella «anarchia progettuale che non rispetta il contesto» di cui proprio loro sono stati i principali protagonisti. Se l’Italia è devastata non lo è soltanto per l’abusivismo ma per quella associazione a delinquere di architetti che, spesso in virtù della loro notorietà e delle benemerenze ottenute con la complicità di partiti o di consapevole amministrazione di centrosinistra o di raggirate amministrazioni di centrodestra che li hanno sostenuti, hanno sfigurato i centri storici e il paesaggio, adesso hanno il coraggio di firmare appelli. Dobbiamo ricordare che Gae Aulenti ha distrutto il disegno di piazza Cadorna a Milano con architetture che hanno sfregiato gli edifici ottocenteschi pre esistenti, deliberatamente; ha devastato il centro storico della bellissima città di Alcamo con pigne e sfere e corpi illuminanti come traversine ferroviarie disseminati nella piazza principale, senza alcun rispetto dell’armonia dei luoghi; che Fuksas ha inflitto il Palafuksas a Torino, una grottesca scatola scambiata per chiesa a Foligno, e immaginato un grattacielo come un sigaro nel golfo di Savona, con una allegra spudoratezza; che Gregotti ha circondato il Villaggio Pirelli alla Bicocca a Milano con una serie di ripetitive «scatole da scarpe» e ha costruito il quartiere Zen a Palermo dichiarando che mai ci sarebbe andato ad abitare per l’orrore che ne provava. E Fuksas ha dimenticato la cementificazione di Paliano sotto il castello Colonna con una serie di alloggi come forni crematori? O una serie di edifici per la cooperativa Ernica inflitti alla bella Anagni? O l’incredibile municipio della città di Cassino con le facciate (deliberatamente) sul punto di crollare, forse per una non scaramantica allusione a Tangentopoli o a un terremoto? E non ha risparmiato neanche Civita Castellana con le cappelle per il nuovo cimitero, giochi insensati per morti reali. Provate ad entrare nel nuovo padiglione dell’abbigliamento a Porta Palazzo a Torino per capire fino a che punto può arrivare la perversione dell’architetto indignato. Neppure Gregotti si è risparmiato. Dopo lo Zen si è applicato all’Università delle Calabrie, gigantesca struttura lineare a ponte, tutta di cemento armato, che si sviluppa perpendicolarmente alle creste delle montagne vicino a Cosenza. E non ha mancato neppure di colpire Venezia con il quartiere residenziale a Cannaregio. L’Italia è disseminata di turpi architetture firmate, l’emblema delle quali è, nel cuore di Roma, la teca dell’Ara Pacis di Richard Meyer. E ora, come tre vispe terese, arrivano Aulenti, Fuksas e Gregotti a protestare contro il cemento selvaggio. Si preoccupano; e magari fossero in malafede. No, sono semplicemente smemorati. Firmano in tre, risponderanno in tremila, cercheranno di garantirsi una immunità per distinguersi dagli speculatori; cercheranno di sollevare una questione morale, troveranno complici. In Italia si arrestano, per associazione a delinquere, le Marchi madre e figlia, ma quelli che hanno distrutto le nostre città sono in prima fila contro Berlusconi per chiamarsi fuori, per scandalizzarsi. L’Associazione pedofili fonda un asilo e sarà bello leggere i nomi dei sottoscrittori. Il rischio del provvedimento del governo non va nascosto, non è da questo pulpito che vogliamo essere messi in allarme. Ma forse scopriremo domani che Repubblica ha inaugurato la rubrica giornalistica di «Scherzi a parte». D’altra parte gli architetti italiani hanno spesso determinato equivoci. Qualche tempo fa il grande regista Werner Herzog in visita a Sciacca vide il teatro della città in costruzione da più di trent’anni, e immaginò di tenerlo come scenografia di un’opera wagneriana facendolo saltare con la dinamite. Impresa impossibile per la quantità di cemento armato impiegato per la costruzione del mostruoso edificio che Herzog giudicò evidentemente voluto dalla mafia. Il sindaco convenne sulla visione immaginifica di Herzog ma non mancò di farmi notare che l’opera non era il progetto di un geometra locale ma del grande architetto Giuseppe Samonà professore di Urbanistica all’istituto universitario di architettura di Venezia. Vedo ora, su Internet, che fra i nuovi firmatari dell’appello del trio c’è anche Pierluigi Cervellati, e questo mi rassicura. Spero ora che egli richiami i limiti della proposta del governo indicando nel trio degli architetti proponenti l’appello i responsabili e non le vittime dello scempio annunciato e da loro già realizzato. *** FRANCESCO BORGONOVO PER LIBERO Ah, l’appello, magnifico sport da intellettuali. Ieri sulla prima pagina di Repubblica sono comparse poche righe, firmate da tre dei più noti architetti italiani: Gae Aulenti, Massimiliano Fuksas e Vittorio Gregotti. Il titolo dell’intervento era: ”Fermiamo il cemento selvaggio”. Seguiva il testo: «Le licenze facili e i permessi edilizi fai da te decretano la fine delle nostre malconce istituzioni. Il territorio, la città e l’architettura non dipendono da un’anarchia progettuale che non rispetta il contesto, al contrario dipendono dalla civiltà e dalle leggi della comunità». Secondo i tre progettisti di fama, «La proposta di liberalizzazione dell’edilizia, annunciata dal presidente Berlusconi, rischierebbe di compromettere in maniera definitiva il territorio. Ecco perché c’è bisogno di un sussulto civile delle coscienze di questo paese». Per aderire all’appello basta compilare un piccolo modulo sul sito di Repubblica, che nel pomeriggio di ieri dichiarava di aver raccolto - via web - circa 30mila firme. Nobili intenti, quelli dei maestri: proteggere il territorio italiano dal cemento. Peccato che il pulpito dal quale predicano non sia proprio dei migliori. Facciamo qualche esempio. Vittorio Gregotti ha progettato lo Zen (acronimo di Zona Espansione Nord), cioè uno dei quartieri più degradati di Palermo, una distesa costruita a partire dal 1969 per ospitare circa 16mila abitanti. Enormi palazzi che godono di quasi nessuna manutenzione. Insomma, un vero e proprio ecomostro. Sempre a Gregotti si deve il progetto dell’area Bicocca a Milano, realizzato dopo un concorso indetto da Pirelli nel 1985 per il recupero di aree industriali dismesse. Una superificie di 960mila metri quadrati per il più grande intervento di trasformazione urbanistica in Italia (in Europa secondo solo a Berlino). Anche qui, colate su colate e un risultato esteticamente non proprio splendido, per usare un eufemismo. Andiamo avanti? Ancora Gregotti, nemico di Silvio e del cemento, ha vergato un piano per le nuove aree di Ostia: si tratterebbe di interventi per oltre un milione di metri cubi. Massimiliano Fuksas si è distinto per aver presentato progetti come quello del grattacielo denominato ”Il Faro”, nei dintorni di Albissola (provincia di Savona). Un edificio di 120 metri d’altezza avvolto da una spirale luminosa che l’avrebbe reso visibile fino a Genova. Da realizzarsi in un piccolo porto turistico da 700 posti. A Torino, poi, ha estratto dal cilindro l’imponente ”PalaFuksas”, in piazza della Repubblica. Se non potete andarci, cercate una foto su internet. Vedrete una struttura enorme che non ha nulla a che spartire con ciò che la circonda. Fortuna che, come recita l’appello, la città e l’architettura non dipendono dall’«anarchia progettuale». Altre brutture le ha elencate Vittorio Sgarbi qualche anno fa nel libro Un Paese sfigurato. Viaggio attraverso gli scempi d’Italia (Rizzoli). Per Milano citava la Grande Brera, intervento di Gregotti che ha «trasformato otto sale di Brera in ambienti in pieno contrasto con lo spazio originario». Oppure piazzale Cadorna, a opera di Gae Aulenti. Secondo il critico d’arte, «aveva una sua identità che qualunque professionista sensibile alla storia e alla tradizione comprenderebbe e rispetterebbe. Gae Aulenti no. Gae Aulenti questi spazi originari li invade, li stupra, li deturpa». La medesima Aulenti, dice Sgarbi, «è calata in Sicilia per devastare Alcamo con piramidi, cubi, palle e birilli». Non ci sono però soltanto gli orrori urbani a fare da contraltare all’appello di Repubblica firmato dai tre architetti, ma anche le testimonianze di alcuni loro autorevoli colleghi. Per esempio l’urbanista Marco Romano, già docente di Estetica della città a Genova. Il quale spiega a Libero: «Non vedo come possano scrivere una cosa del genere. Al momento la proposta di Berlusconi riguarda una semplificazione amministrativa. Il tecnico da quello che ho letto io, dovrebbe dichiarare sotto la sua responsabilità che quello che ha progettato è conforme alle norme. Non si vede dove sia lo sfascio del paesaggio». Il celebre architetto Mario Botta, trafelato al telefono dalla Russia, commenta: «Non conosco nel dettaglio quanto proposto da Berlusconi. Però mi sembra strano questo scagliarsi ogni volta che c’è una mezza idea... Purtroppo la buttano sempre in politica. Il vero dramma non è il cemento selvaggio, ma il cemento legale, permesso dai piani regolatori». Infine, c’è un’altra questione, sollevata da Maurizio Cecchetti, firma di Avvenire ed esperto di architettura (sta per uscire da Medusa il suo saggio Pelle di vetro. Il libro dell’antiarchitettura). Se la preoccupazione degli architetti in questione è quella di non sfigurare il territorio, come mai - nel più puro stile da Archistar - hanno sempre progettato senza tenere conto del contesto? «Le archistar», dice Cecchetti, «non si pongono il problema del rapporto col territorio. Si relazionano a un orizzonte continuo che comprende tutto il pianeta. Tengono conto di ciò che fanno gli altri architetti nel mondo e non di quello che dovrebbero fare nella loro città. Il tutto in nome della spettacolarità». Giusto. Alcuni progetti sono di una bruttura davvero spettacolare.