Maurizio Ricci, la Repubblica 11/3/2009, 11 marzo 2009
NEL MONDO NON CONSUMA PIU’ NESSUNA LA BCE IN CAMPO CONTRO LA DEFLAZIONE
La parola che fa paura è stata pronunciata, sia pure per esorcizzarla. E, adesso, la deflazione - una riduzione generalizzata dei prezzi, dagli effetti economici devastanti - da ipotesi accademica diventa una prospettiva: lontana, ma concreta. A parlare di deflazione, per delineare le contromisure che la possano sconfiggere, sono due uomini del vertice della Bce, la Banca centrale europea, Lorenzo Bini Smaghi e il presidente della Bundesbank tedesca, Axel Weber. E ne parlano, perché i segnali di deflazione, che serpeggiano dallo scorso agosto, si vanno facendo via via più corposi, anche se non vanno sopravalutati. Ieri, ad esempio, l´Istat ha comunicato che, in Italia, i prezzi alla produzione (cioè quelli, per così dire, al portone delle fabbriche) sono scesi dello 0,8% rispetto a dicembre. Il dato più inquietante è che i prezzi si sono ridotti della stessa misura, anche scorporando il fattore energia: segno che il trend ha intaccato i processi di fondo, al di là delle oscillazioni del petrolio. Peraltro, i prezzi alla produzione sono normalmente volatili ed è facile che i successivi passaggi - all´ingrosso e al consumo - assorbano la riduzione. La tendenza, però, è netta.
Contemporaneamente, all´altro capo del mondo, in Cina, uno dei grandi motori dell´economia globale, i prezzi al consumo sono crollati dell´1,6% rispetto ad un anno fa. Anche qui, il dato va accolto con cautela: febbraio 2008 aveva visto un´impennata eccezionale dei prezzi cinesi. Tuttavia, più di un economista si aspetta che la riduzione prosegua nei prossimi mesi. Soprattutto, la stessa Bce prevede, per il 2009, un aumento dei prezzi al consumo, in Europa, che potrebbe essere anche solo (è l´ipotesi, per ora, minima) dello 0,1%. Prezzi fermi, cioè, nella media dell´anno e questo significa, quasi certamente, qualche mese con il segno meno. Weber si spinge anche a precisare che i mesi con il segno meno saranno quelli dell´estate, luglio e agosto.
Il problema, però, è cosa accade dopo. Il raffreddamento dei prezzi, infatti, può prendere due forme. Il primo è un rallentamento, che gli economisti chiamano disinflazione. E´ quanto prevedeva la Bce, ancora a dicembre, prima di rivedere drasticamente al ribasso le sue stime: un aumento dei prezzi contenuto, nella media del 2009, fra l´1,1 e l´1,7%. E´ un processo benigno: rispetto all´inflazione del 2008 (3,3%) significa che il potere d´acquisto dei consumatori aumenta. E´ quanto accade in questo momento e lo verifichiamo tutti, con compiacimento, guardando al prezzo della benzina. Il punto, però, è che un po´ d´inflazione (entro il tetto del 2% che piace alla Bce, ad esempio) fa bene all´economia, ne lubrifica i meccanismi. Le imprese possono contare su incassi in crescita, i lavoratori su salari che si alzano, il costo dei debiti è inferiore a quanto appare. Se l´inflazione è al 2 e il tasso d´interesse è al 4, al momento di pagare, visto che il mio reddito è cresciuto del 2, il costo reale del debito è 2 e non 4. Tutto questo, però, si rovescia nel suo opposto, in caso di deflazione. Se, infatti, i prezzi scendono sotto zero non per un paio di mesi (come prevede Weber), ma per un paio di trimestri, l´aspettativa che continuino a scendere si consolida. Famiglie e imprese rinviano i loro acquisti, in attesa di prezzi più favorevoli. Le imprese, in assenza di domanda, tagliano la produzione e i posti di lavoro. La deflazione si accoppia e si moltiplica con la recessione: aumentano i disoccupati, come sta già avvenendo in Italia e altrove, diminuiscono i redditi, scende la domanda, scendono ancora i prezzi. La spirale è avviata e il credito vi gioca un ruolo perverso. Se l´inflazione è meno 2, il tasso d´interesse può essere anche zero, ma il costo reale del credito è 2.
Le deflazioni sono rare: c´è stata quella, mondiale, successiva al 1929 e, più recentemente, in Giappone, negli anni ”90. Sono prolungate e difficili da curare. Mentre la politica economica ha un intero arsenale contro l´inflazione (blocco prezzi e salari, aumento dei tassi d´interesse, prosciugamento della liquidità), le ricette contro la deflazione sono poche e di incerta riuscita. Gli interventi di ieri di Bini Smaghi e di Weber danno un assaggio di quello che potrebbe essere il dibattito dei prossimi mesi. Mentre Bini Smaghi dichiara che la Bce sarebbe pronta a far scendere il tasso d´interesse anche a zero, per contrastare la deflazione, Weber controbatte che non bisogna scendere sotto l´1%, per lasciarsi qualche margine di manovra. Il punto è che, contro la deflazione, la politica monetaria è un´arma spuntata: una volta che il tasso è sceso a zero, le opzioni sono finite, visto che sotto zero il tasso non può scendere. Se l´economia non riparte a quel punto, la politica monetaria può fare poco altro.
Come si esce, allora, dalla spirale della deflazione? Il Giappone lo ha fatto, sia pur precariamente, grazie al rilancio delle esportazioni. Per questo è ancor più preoccupante la previsione del Fondo monetario internazionale di una crescita mondiale negativa nel 2009. A preoccupare non è il fatto che sia negativa, ma che la gelata sia globale. Se nessuno, Cina compresa, si candida al ruolo di locomotiva mondiale, nessuno può pensare di uscire dalla spirale, agganciandosi ad un rilancio delle esportazioni. C´è chi, ormai, prevede una lunga depressione mondiale. E´ dura non poter sorridere, neanche quando scende la benzina.