Vittorio Feltri, Libero 10/03/2009, 10 marzo 2009
L’Uomo del Sole (24 Ore) ha detto no. Non va a fare il presidente della Rai, preferisce rimanere dov’è, alla direzione del primo quotidiano economico italiano
L’Uomo del Sole (24 Ore) ha detto no. Non va a fare il presidente della Rai, preferisce rimanere dov’è, alla direzione del primo quotidiano economico italiano. E ti credo. Gli conviene così. Ora è al vertice di una corazzata e ne decide la rotta, tra l’altro in un momento in cui la proprietà, la Confindustria, ha interesse quanto non mai a controllare l’informazione finanziaria. Se Ferruccio de Bortoli avesse ceduto alla tentazione di sedersi sulla poltrona più alta della tivù semipubblica, avrebbe sì avuto la possibilità di aggiungere un altro anello alla sua collana di principino del giornalismo, e quindi di darsi arie, ma niente più. Si sarebbe preso un regno senza però avere il diritto a governarlo. Capirai che soddisfazione. Infatti il ruolo di presidente Cda Rai è del tutto onorario, non dà diritto d’accesso alla stanza dei bottoni. Chi lo ricopre non può fare nulla, se ne sta lì a fare la bella statuina. Certi incarichi sono adatti a persone magari illustri ma un po’ stanche, non necessariamente bollite, comunque sul viale del tramonto o vogliose soltanto di fare scena, di avere una scrivania, una segretaria e un pretesto per uscire di casa la mattina, evitando il rischio di essere spedite al supermercato dalla moglie a scegliere detersivi e scatolette da infilare in sacchetti di plastica. Ferruccio de Bortoli è troppo giovane per rassegnarsi a occupare un posto del tipo descritto, inoltre non è in cerca di una sistemazione purchessia, essendo oggi al volante di una poderosa macchina informativa. E ha fatto bene, dopo aver vacillato per la durata di un sospiro, a non abbandonare il Sole 24 Ore. Anche per un’altra ragione. Non solo il presidente Rai conta come il due di coppe quando la briscola è a spade, ma incassa uno stipendio relativamente basso, non più di 350 mila euro, causa il tetto previsto nel settore pubblico. So benissimo che tale somma è considerata pazzesca da chi ne percepisce a malapena un settimo o addirittura meno; ma non lo è per il direttore di un grande quotidiano. Bisogna valutare. Il massimo amministratore Rai non ha potere effettivo (esercitato dal direttore generale); se per giunta non è strapagato, ovvio che un de Bortoli non frema dal desiderio di sottrarre la poltrona a Petruccioli, direttore dell’Unità quando questa era una cosa seria. D’altronde anche Paolo Mieli, alcuni anni orsono, fece il gran rifiuto. Ricevuta l’offerta, si riservò il tempo di riflettere, infine scosse la testa per lo stesso motivo che ha indotto de Bortoli a pronunciare un rotondo no. Il lungo discorso per dire: o si cambiano le regole del gioco oppure la madre delle antenne (radiofoniche e televisive) sarà sempre affidata a professionisti di seconda fila, giacché (...) (...) quelli della prima sono già impegnati e molto remunerati per esaminare proposte al ribasso. Non stupiamoci se personaggi del calibro di Mieli e de Bortoli fanno carte false per non muoversi da dove sono. Diversa la questione nelle testate giornalistiche dell’ex monopolio. Maurizio Belpietro, ad esempio, attuale direttore di Panorama (Mondadori) è stato candidato da Berlusconi al timone del Tigiuno in luogo di Gianni Riotta, ed è probabile sia nominato con sua soddisfazione. Perché in questo caso il famoso tetto di 350 mila euro non è un vincolo: i direttori si assumono sul mercato a prezzo di mercato. La medesima norma dovrebbe valere per i consiglieri di amministrazione e per il presidente. Come mai invece due pesi e due misure? Misteri insondabili. Sta di fatto che al punto in cui siamo, la Rai per darsi una nuova presidenza dovrà accontentarsi di prorogare il mandato alla vecchia o cercare un signore di buon comando tra disoccupati, sottoccupati o precari. Come si può notare, la più imponente industria culturale italiana non va riformata, ma demolita e ricostruita dalle fondamenta. O andrà in tocchi.