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 2009  marzo 10 Martedì calendario

AUSTRIA, LA PAURA ARRIVA DA EST


Novant’anni dopo il crollo dell’impero asburgico, è ancora l’Ungheria il cruccio di Vienna. Nei giorni scorsi, per rincorrere la spericolata diplomazia economica di Budapest, il governo austriaco ha sbattuto violentemente contro la porta chiusa di Bruxelles. Il rumore che ne è risultato ha svegliato economisti e analisti: ora cominciano a guardare con una certa apprensione lo stato e il futuro delle finanze del Paese considerato tra i più solidi d’Europa, tripla A fino a qualche settimana fa granitica.
L’Ungheria è entrata in una crisi finanziaria seria, determinata soprattutto dall’alta esposizione (56%) del suo sistema bancario verso l’estero: il crollo, dall’inizio dell’anno, del 20% della sua valuta, il fiorino, nei confronti dell’euro significa che ripagare i debiti per gli ungheresi è sempre più difficile. Un prestito internazionale da 25 miliardi di dollari, organizzato dal Fondo monetario l’autunno scorso, non basta più. Quindi, il primo marzo, al vertice informale dell’Unione Europea di Bruxelles, il primo ministro Ferenc Gyurcsány si è presentato con la richiesta di un piano di salvataggio da 190 miliardi di euro, indirizzato a tutta l’Europa dell’Est.
Respinto senza appello. Non solo: gli altri Paesi ex comunisti della Ue – Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Romania, Bulgaria – hanno emesso un comunicato per respingere l’idea di piano comune all’intera regione: un modo per dire «non siamo tutti messi male come gli ungheresi».
Gli eventi hanno lasciato Vienna al gelo: il governo guidato da Werner Faymann aveva di fatto appoggiato l’iniziativa ungherese. In verità, non tanto per gli antichi legami imperiali quanto perché l’Austria vedrebbe bene un salvataggio complessivo dell’Europa dell’Est – sotto pressione finanziaria – perché le sue banche sono di gran lunga le più esposte alla crisi di quei Paesi. Nelle settimane scorse, il ministro delle Finanze di Vienna, Josef Pröll, aveva visitato le capitali dell’Est per raccogliere, senza successo, adesioni all’idea.
Non è la prima volta che l’Unione Europea dà un calcio negli stinchi a Vienna. Da quando è entrata nel club, nel 1995, le era già successo nel febbraio 2000, quando Bruxelles congelò le relazioni diplomatiche con l’Austria perché nel governo era entrato il partito di Jörg Heider, accusato di anti-semitismo. Questa volta, però, la reazione della Ue è molto meno campata per aria: un piano per l’intera Europa dell’Est sarebbe insostenibile e probabilmente avrebbe l’effetto di innervosire ancora di più i mercati valutari. Soprattutto, la porta sbattuta da Bruxelles ha avuto l’effetto di trascinare Vienna sotto i riflettori della crisi.
In sé, la situazione austriaca non è drammatica. Anzi, da quando è caduta la Cortina di Ferro a Est, il Paese ha prosperato, la ricchezza è cresciuta più che nella maggioranza degli altri Paesi europei e i conti pubblici sono solidi. Oltre che dall’ingresso nella Ue, l’Austria ha approfittato enormemente dell’apertura delle ex economie pianificate che stanno ai suoi confini. Secondo uno studio di Fritz Breuss, dell’istituto di analisi Wifo, grazie al crollo del comunismo il Prodotto nazionale lordo austriaco (Pil) è cresciuto, in 15 anni, del 3,5% in più di quanto non sarebbe cresciuto in tempi normali. Insomma, Vienna è stata una grande beneficiaria dell’economia aperta e della creazione di nuovi mercati.
E qui sta il guaio. Ora che questo modello di apertura è entrato in crisi, le banche austriache che hanno prestato pesantemente ai Paesi dell’Est e le imprese che hanno puntato su quei mercati si trovano esposte ai venti di crisi che da lì arrivano.
Secondo i dati della Banca per i regolamenti internazionali, le banche austriache, in particolare Erste Bank e Raiffeisen, hanno prestato a clienti dell’Est europeo circa 210 miliardi di euro. quasi il 70% del Pil austriaco. Se si aggiunge l’attività di Bank Austria, che è controllata dall’italiana Unicredit, ci si avvicina al cento per cento. Nessun Paese è esposto in questa misura. «Se anche solo il 10% di questi prestiti è a rischio, abbiamo un problema serio», ammette Hannes Androsch, un consigliere del cancelliere Faymann. Se qualche Paese europeo del-l’Est dovesse collassare, infatti, le perdite delle banche austriache sarebbero tali da costringere Vienna a intervenire con un piano di salvataggio oneroso. Che intaccherebbe le finanze pubbliche. L’indice della preoccupazione si registra nel premio che i titoli dello Stato austriaci devono pagare in più rispetto a quelli di riferimento tedeschi: nei giorni scorsi ha toccato il 2,64%, più dell’1,92% dei titoli italiani e praticamente come quello greco (2,65%).
Il governatore della Banca centrale austriaca, Ewald Nowotny, sostiene che il pericolo è relativo, dal momento che le esposizioni più consistenti sono verso la Slovacchia e la Repubblica Ceca, due economie abbastanza solide e, al momento, con prospettive di crescita. In realtà, il sistema bancario austriaco è esposto per 30 miliardi con l’Ungheria, per più di 40 con la Romania e per una decina con l’Ucraina, tutti Paesi in situazioni delicate.
Mercoledì scorso, l’agenzia di rating Fitch ha riconfermato alle finanze dell’Austria il giudizio di tripla A, il massimo: ma i timori che a breve termine possa essere rivisto crescono. Qualche giorno fa, per dire, con una certa forzatura che testimonia però le ansie di una parte del Paese, il settimanale Profil si è chiesto in copertina se l’Austria sia un Paese fallito. Per
Le imprese
Le aziende austriache hanno affari consistenti in Bielorussia, Serbia, Albania. La Borsa di Vienna controlla anche i mercati azionari di Budapest, Praga, Lubjana ora, il governo ha reagito con un piano da cento miliardi: 85 in forma di garanzie per sostenere il mercato interbancario e 15 per eventuali ricapitalizzazioni. Ma è pronto a fare di più.
I problemi, però, non si fermano alle banche: è l’intero modello austriaco a essere colpito. Gran parte delle imprese del Paese ha business consistenti nell’Europa dell’Est. Telekom Austria ha una rete che si estende dalla Bielorussia alla Serbia. Le assicurazioni Wiener Städtischer hanno attività in Paesi come Georgia e Albania. La Borsa di Vienna controlla anche i mercati azionari di Budapest, Praga, Lubjana. Gli investimenti diretti austriaci nella regione si avvicinano al 15% del Pil del Paese. Inoltre, giganti come Siemens, Coca-Cola, Mc Donald’s, Alcatel, Beiersdorf, Heinecken hanno stabilito i loro quartier generali per l’Est europeo a Vienna. Recessione e crisi del credito nelle economie dell’Est sono insomma destinati a colpire pesantemente. La viennese Immofinanz, uno dei protagonisti del mercato immobiliare nella regione, ha per esempio già dovuto svalutare il suo patrimonio per miliardi di euro.
Nel 1867, l’imperatore d’Austria diventò anche re d’Ungheria, in una monarchia dei mustacchi diventata famosa come kuk, kaiserlich und königlich, imperiale e reale. La Kakania’ nell’ironia di Robert Musil – durò 49 anni. Questa volta, molto meno.