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 2009  marzo 08 Domenica calendario

I tempi non sono cambiati. Franca Valeri nella sua casa di Roma, nascosta dai pini e per niente in centro, ha ancora una portiera

I tempi non sono cambiati. Franca Valeri nella sua casa di Roma, nascosta dai pini e per niente in centro, ha ancora una portiera. Viene con piccoli passi invisibili a chiudere le persiane, è quasi ora di cena. I tempi sono cambiati: la portiera è una giovane donna indiana, con i capelli color lava, e porta odore di gelsomino. «Ecco la portiera», la annuncia quando la vede entrare in casa, e batte anche le mani. Come la chiamasse in scena. «Quando qui si è ventilato di eliminare la portiera ho chiamato l´amministratore: ditemelo subito, che io cambio casa. assurdo, la vita è già così difficile». La portiera forse è il punto di vista che ha scelto per guardare le vite degli altri. Con distacco, dal basso verso l´alto: la gente che scende, la gente che sale. Ferma nello stesso punto, a osservare gli esseri umani, e un po´ l´Italia e le donne, e a scriverne ininterrottamente per la radio, il teatro, la tv, il cinema, e di nuovo la tv, e ora di nuovo il teatro, per oltre sessant´anni. La sua casa è come un bjioux, piena zeppa di libri, statuine di porcellana, ricordi di Giuseppe Verdi. Ci sono dei centrini e un divano con i cuscini di velluto e per terra le ciotole dei suoi amati cani, sulle mensole le loro fotografie incorniciate d´argento. un po´ antica e un po´ vanesia, questa casa, non le somiglia molto: lei sempre così sobria, così moderna, per sempre giovane nella mente, e più bella e più giovane quasi quasi ora che ha ottantotto anni, ma la pelle come pesca e la frangetta da ragazza. Solo la voce trema ma in teatro no, in teatro le viene una forza da leone. «I medici dicono che è l´adrenalina. Io dico che è la postura e che sono felice». Franca Valeri parla poco e brevemente, così come ha sempre scritto i suoi sketch: quei monologhi femminili che sono soliloqui, a guardarli da vicino. Le piace la brevità, signora Valeri? «Non è la brevità, è l´essenzialità. Non mi piace andare oltre l´effetto: specie nel teatro comico, si prolunga un effetto che si è già ottenuto». Fu breve anche il messaggio con cui annunciò alla famiglia (milanesi, borghesi, ambiziosi) che aveva deciso di prendere un´altra strada. «Non avendo il coraggio, non c´era molta confidenza, scrissi un biglietto e glielo misi sullo specchio del bagno: "Ho deciso che faccio l´attrice", brevissimo». La vita che racconta non comincia con la sua carriera; che poi cominciò con una bocciatura all´Accademia Silvio d´Amico, compagni d´esame Nino Manfredi e Rossella Falk. La vita che racconta comincia con la musica, che in questa stanza è presente dappertutto, come nel suo ultimo libro, Di tanti palpiti, piccole note sulle donne della lirica e sulla musica (Baldini Castoldi Dalai-La Tartaruga, curato da Patrizia Zappa Mulas). «Mi portavano già all´opera quando avevo sei anni: un amico di mio padre, Paolo Buzzi, che faceva parte del gruppo dei Futuristi, aveva un palco alla Scala, proprio sopra l´orchestra. Giuravo che mi sarei svegliata la mattina dopo per andare a scuola, e i miei mi mandavano. Buzzi era affascinato da questa bambina melomane, che in casa canticchiava le opere. Mi vestivo con dei vestiti bambineschi, per queste serate, ma che io consideravo vestiti da gran sera. Tra cui uno di georgette fragola, con un nastro di velluto che mi scendeva dalla spalla. Me lo aveva portato mio padre da Parigi». Andava a scuola a via della Spiga questa bambina affascinata dalle stoffe che fanno rumore. Poi a diciotto anni aveva letto tutto Proust: «In francese, regolarmente», precisa, «era un ambiente un po´ snob». «Poi venne la guerra, le leggi razziali, mio padre era ebreo, andò con mio fratello in Svizzera. Con mia madre rimanemmo a Milano, clandestine. Ma io andavo in giro lo stesso: lo facevo con un senso di ribellione. Pensavo che i benpensanti avrebbero vinto, a ripensarci ora ero terribilmente incauta. Ricordo che piangemmo la sera che la radio clandestina annunciò che i nazi erano entrati a Parigi». Ora la ascolta la radio? «Poco, anche la tv quasi non la vedo: per fortuna la sera lavoro. Le attrici comiche oggi sono impegnate, stanno attaccate all´attualità, parlano di politica. Ma i commenti all´attualità sono inevitabilmente qualunquisti». Il tg? «Se non posso evitarlo. La vita sociale del Paese sembra che non faccia più parte della realtà, e degli individui. La società oggi non esiste». La bocciatura all´Accademia fu la sua fortuna, non disse niente ai genitori, una zia la coprì per tre anni, studiò, incontrò degli amici: «Allora i giovani avevano idee, e i grandi li guardavano con benevolenza, erano attenti a quello che facevano. Ora tutto questo è abolito». Non dice scomparso, dice abolito. I giovani che incontrò erano Vittorio Caprioli e Alberto Bonucci, con cui fondò il teatro dei Gobbi che era talmente avanti che debuttarono in Francia. Finito lo spettacolo delle undici, se ne andava alla Cave Saint German, dove cantava anche Juliette Greco, sola, col tubino nero di Capucci, a fare i suoi monologhi in francese; e il critico di le Monde la recensiva. I grandi che erano attenti, allora e non ora, si chiamavano Totò, De Sica, Ennio Flaiano, Federico Fellini, René Clair. Facciamo un salto nel presente. I giovani in tv, questo esercito di aspiranti artisti dello spettacolo, li vede? «Rifanno ancora Saranno famosi, che è un film del 1980. Ma vi venga un´altra idea... In questo paese non si vede niente da trent´anni. La spudoratezza di questi ragazzi? Che noia. Hanno una piccola bravura, ma il talento è una cosa molto misteriosa. Il più brillante, quello che si nota di più, spesso è il peggiore. Il talento è timido». E pieno di segreti, come il suo. «Invento sulla realtà», dice. «Non scrivo mai una frase che sento, non prendo appunti su una persona reale, le imitazioni sono caduche. Sono silenziosa, parlo poco, osservo molto». Come creava l´effetto di far ridere raccontando le donne, dopo tanti anni ancora non si vede: la comicità è una questione delicata. Saremo vaghi allora: fanno ancora tanto ridere, sono malinconiche, sono piene di difetti, parlano sempre degli uomini, oh queste donne, li compatiscono, li giustificano, ne restano deluse, li sognano, li aspettano; e gli uomini non si vedono mai. Questo si vede nei suoi sketch, che qualcuno ha definito feroci. «Ci tengono tanto le donne agli uomini, e vivono in una società maschilista. La mia satira non può né peggiorare né migliorare questa cosa, è un fatto». Si è mai offeso nessuno per i suoi personaggi? «No mai, una volta Mina, ma fu un equivoco. Che sciocchezza questa della ferocia: io ho grande fiducia nell´umorismo e nell´intelligenza delle donne». Di donne ne ha raccontante tante: le adolescenti esistenzialiste, le cesire, le signorine snob, le sciure, le telefoniste, le mogli dolenti, le innamorate croniche, le venete solidali, le emiliane leggere, le romane raffazzonate, le milanesi permalose, le modaiole, le mondane, e le portiere appunto. A guardare su You Tube i filmati, centinaia e centinaia - o a leggere i testi raccolti, pochissimi (resta trovabile un Toh, quante donne! Di Lindau), mentre purtroppo i dischi della Fonit Cetra non sono mai stati ristampati - ci si stupisce delle date. La signorina snob è del 1949, e parla così: «Ho comprato un´isola vendendo alcuni fronzoli. Costava pochissimo, e in più c´era l´annuncio su un giornale inglese, come per una domestica a mezzo servizio. Divertentissimo. Sperdutissima, non è riportata neanche sui mappamondi, di un selvaggiume orrendo, che se anche ci pianti la lattuga non ci cresce. Siamo tutti eccitatissimi». Parigi o cara, il suo capolavoro, a rivederlo pare che l´abbia girato Almodovar. Nei suoi Carnet de Notes, che ancora porta in giro, compaiono in fondo sempre e solo esseri umani: anche se il commendatore, l´augusta genitrice, la mamma petulante, la figlia mammona, la scostumata, la ragazza da marito, sono tipi che sembrano socialmente scomparsi. Il "capoufficio" non lo dice più nessuno. Ma tra tutte le frasi, la più lontana, quella che ora un personaggio non direbbe proprio più è: «Ma che volgarità». «Non la dicono, ma molti la pensano. talmente dilagante che siamo come impietriti, non si mette più in conto nemmeno di sottolinearla». Ha cominciato a scrivere che c´era il Duce, poi è venuta la lavatrice, poi il divorzio, il tinello è scomparso, è apparso il loft e il lettino dello psicanalista. Una certa morale di facciata, certi matrimoni saranno diversi? Diversi i rapporti nelle coppie giovani, diverse anche le donne? O anche l´emancipazione è presunta, e forse un po´ presuntuosa oggi? «Certe donne lavorano tanto per lavorare». Punto e a capo: «Non lo so se le giovani coppie siano diverse da quelle che raccontavo sessanta o trenta anni fa. Molte vivono con i sintomi di quella libertà morale che reciprocamente si concedono. Ma l´uomo e la donna sono sempre uguali, che siano giovani o vecchi, che siano legalmente sposati o no: è un fatto di genere. sul genere che ho scritto. Ora che ne faccio di donne nuove, constato che le vecchie sono le più nuove». Ci ha osservato a lungo a noi donne, ma il suo sguardo resta segreto, come un trucco del mestiere. Signora Valeri, è benevolo il suo sguardo o no? «Non mi accanisco. Ma bonaria, benevola, no. Precisa». Franca Valeri scrive, recita, fa ancora ridere... e parla, e poi saluta sulla porta, sempre con affetto e con eleganza. E, a cercare di essere precisi, c´è della compassione nel suo sguardo.