Anais Ginori, la Repubblica, 7/3/2009, 7 marzo 2009
Acaì & marketing così il frutto esotico diventa di moda - Per gli indios dell´Amazzonia, nei tempi antichi, era il nettare con cui svezzare i neonati, riprendere forze dopo una malattia, saltare un pasto senza avere fame
Acaì & marketing così il frutto esotico diventa di moda - Per gli indios dell´Amazzonia, nei tempi antichi, era il nettare con cui svezzare i neonati, riprendere forze dopo una malattia, saltare un pasto senza avere fame. Oggi, qualche secolo e molto marketing dopo, il succo di açaí sta diventando una delle bibite più di moda. Piace ai surfisti di Copacabana e Miami, lo sorseggiano nei bar di Londra, viene trasformato in sorbetti a Berlino. E anche in Italia, attraverso frullati "energetici e antiossidanti", viene venduto come elisir di lunga vita. Queste piccole bacche che assomigliano al mirtillo ma hanno un gusto vicino alla cioccolata amara sono l´ultimo frutto esotico che arriva sulle nostre tavole. Il nome brasiliano suona strano (si pronuncia assaì). Ma una volta sembravano bizzarri anche mango, papaya, maracuja, litchies. A Belèm, nello stato brasiliano dove cresce l´açaí, gli indigeni stanno finendo in questi giorni il raccolto. Le 500mila tonnellate di produzione annuale voleranno presto verso destinazioni sempre più lontane. «E´ il frutto della globalizzazione» ha scritto ieri Le Monde. Un rapido successo commerciale, per certi versi misterioso. L´açaí, ormai autorizzato anche dall´Unione europea come "nuovo alimento", è un concentrato di antiossidanti, fibre e proteine. E´ stato lanciato con un passaparola tra giovani che viaggiano, sono alla ricerca di gusto ed energia e si scambiano consigli su Internet. Alcune compagnie specializzate nell´import-export alimentare hanno saputo cavalcare questo "bisogno" con pubblicità online, distribuzione nei locali di tendenza. «Abbiamo una strategia molto aggressiva - ammette Massimo Castelli, di Tropitalia - la domanda sta crescendo e noi pensiamo di aprire presto bar-frullaterie specializzati nelle principali città italiane». In meno di tre anni le esportazioni sono quintuplicate e lo stato del Para metterà presto un brevetto. L´economia della popolazione locale vive ormai intorno a questo chicco viola scuro: un abitante su dieci lavora nelle coltivazioni. I derivati di nuovi frutti dalle proprietà più o meno miracolose è ormai un business per molti paesi. Si commercializzano così anche l´Acerola (piccole ciliegie arancioni ricche di vitamina C), la Graviola (verde e grosso come un melone, che aiuterebbe a lottare contro i tumori). E ancora: il brasiliano Cajù e le bacche tibetane Goji, "frutto della vita" dell´Himalaya, consumati da star come Kate Moss e Madonna come "anti-età" e "purificanti". «Anche noi proponiamo ai nostri clienti una decina di varietà» racconta Lino Stoppani di Peck. Il tempio dei prodotti enogastronomici a Milano ha aperto un banco di frutta esotica. «Vendiamo pure l´ananas, anche se il ministro dell´agricoltura non sarà contento di vederlo quando verrà qui da noi lunedì», scherza Stoppani, ricordando la battuta protezionistica di Luca Zaia che invitò a non comprare ananas ma frutta italiana. Le importazioni di frutta esotica sono in continuo aumento in Italia: più 10% l´anno scorso. Le banane sono il frutto più mangiato dopo le mele. «Non ci vedo nulla di male, purché sia una frutta buona, pulita e giusta» commenta Roberto Burdese, presidente di Slow Food. L´associazione per il "mangiar bene" ha condotto famose battaglie contro la vendita in inverno di ciliegie del Cile o pere dell´Argentina. «Diverso è - spiega Burdese - se si tratta di frutti esotici raccolti in stagione e rispettando criteri ambientali e solidali». Va bene essere curiosi del diverso, ma con un po´ di buon senso.