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 2009  marzo 07 Sabato calendario

C’è un che di eterno nei rapporti tra Sibilla Aleramo e l’editore fiorentino Enrico Bemporad che attiene al mondo dell’industria culturale

C’è un che di eterno nei rapporti tra Sibilla Aleramo e l’editore fiorentino Enrico Bemporad che attiene al mondo dell’industria culturale. E che, a giudicare dal carteggio tra i due (consultabile negli archivi del Gruppo Editoriale Giunti di Firenze), l’intelligenza impulsiva e insieme la consapevolezza strategica della scrittrice tendono a esaltare in tutta la sua evidenza. il tratto essenzialmente agonistico che, nel nome della promozione e del mercato, si stabilisce spesso e volentieri tra autore ed editore: un tratto che percorrerà tutto il secolo e che qui possiamo vedere nelle sue forme estreme. Da una parte l’imperturbabilità dell’editore, dall’altra le pressanti richieste dell’autrice per ottenere una maggiore visibilità.
Siamo nel 1920 quando Sibilla Aleramo passa dall’editore milanese Treves a Bemporad, dove usciranno in brevissimo tempo le poesie ( Momenti),
le prose ( Andando e stando), le novelle ( Trasfigurazione), oltre alle riproposte de Il passaggio e di Una donna. In pochi anni Bemporad decide insomma di mandare in libreria cinque titoli della Aleramo dopo aver firmato con lei, nel novembre ’19, un contratto per l’acquisizione di tutti i diritti della sua opera. Le cose però precipitano presto, se già in una lettera dell’Epifania 1923 Sibilla, scrivendo da Parigi, minaccia, con toni ultimativi, di ricorrere ad altro editore per la pubblicazione del poema drammatico Endimione
che sta per andare in scena nella capitale francese: «In memoria dell’amicizia e della stima che protestate per me e nelle quali per un certo tempo credetti, traendone una certa forza, vi scrivo per farvi un’ultima proposta, prima di (...) rivolgermi a Mondadori». Le proteste dell’autrice si associano sempre al puntuale racconto del suo stato di prostrazione economico: «Dopo un anno di miseria e di mendicità, sono ridotta a non poter uscire di casa per aver mandato ad accomodare dal calzolaio l’unico paio di scarpe di cui dispongo (...). Ho vissuto questi due mesi a Parigi in una strettezza vergognosa, senza biancheria sufficiente, con calze rammendate, inghiottendo lagrime, attendendo non so che miracolo».
Tra tanti lamenti e imperiosi richiami, Sibilla trova però il modo di chiedere qualche «réclame speciale nel Corriere della Sera, nelle riviste di Treves, e manifesti murali» per i propri libri, e si mostra al corrente della situazione del mercato librario italiano, che richiede, per imporre una novità, «un lancio ardito, in grande stile». Niente da fare, Bemporad non ci sente e Endimione
uscirà presso Stock di Roma. Probabilmente non ha torto. Nel ’25 sarà la stessa Aleramo a lamentare il flop dello spettacolo a Roma (dopo l’insuccesso torinese dell’anno precedente): «Recitato in modo infame, deformato, monco, irriconoscibile… L’avrei fischiato anch’io! (...). Una pietà! (...)». E aggiunge: «Sono stanca, stanca...». Doppio aggettivo e per di più sottolineato.
Il carteggio è tempestato di lagnanze. «indignatissima » perché i suoi libri non si vedono nelle vetrine: « esasperante» (25 gennaio 1923). Doppia sottolineatura. «Sono esterrefatta». Doppia sottolineatura. «Chiedo riparazione». Nel ’28 le cose virano al peggio e la decisione di passare alla Mondadori appare irrevocabile.
Dopo avere più volte inutilmente reclamato la ristampa di Una donna, chiede all’editore di avere lo stock di volumi in giacenza per poterli trasferire (ricorpertinati?) al nuovo editore, ma la trattativa è laboriosa. Bemporad temporeggia. Sibilla Aleramo non sopporta che nell’ultima pagina di un volume del Da Verona («pornografia!... ») i suoi titoli siano collocati tra i libri «divertenti». Pretende che il suo nome di battesimo sia scritto per esteso, accusa l’editore di vergognarsi di pubblicare i suoi libri. Si dichiara comunque «stracciona e fiera!».
Alterna toni melodrammatici e vittimistici alla lucidità di chi conosce i meccanismi commerciali e pubblicitari. Vanta le proprie credenziali: «E non c’è in Italia, dopo D’Annunzio, un autore che abbia avuto più articoli critici di me, lo sapete? (…). Cercate di far stampare subito un foglietto di annunci de’ miei libri, magari col piccolo cliché della fotografia e metterlo nei volumi degli altri».
Quando poi l’accordo con Mondadori sembra concluso, passa alle questioni commerciali: chiede «di sapere la cifra complessiva di Lire it. per cui cedereste la rimanenza dei miei 5 volumi da voi editi. Cifra ridotta ai minimi termini, s’intende ». Azzarda uno sconto del 60-65 per cento: «Vogliate, vi prego, calcolare su questa base». Bemporad nicchia ancora: «Sono in corso due gravi vertenze con la Ditta Mondadori e non intendo perciò trattare tale affare». E intanto fa qualche conto: nel ’29 ha incassato in tutto, dai cinque libri della Aleramo, sulle 19 mila lire, equivalenti più o meno a 15 mila euro attuali. Non una cifra da perderci il sonno, qualora venisse a mancare.
Torniamo indietro. Nel ’25 Sibilla Aleramo aveva firmato il Manifesto crociano degli intellettuali antifascisti. Aveva già dato numerosi scandali nella società letteraria, al punto che Prezzolini nel ’15 la definì sprezzantemente «il lavatoio sessuale della letteratura italiana». La relazione con Anteo Zamboni, l’attentatore del Duce, le procurò non più di una notte di carcere. Non ha ma avuto però grandi convinzioni politiche. Il 24 gennaio ’29 scrive trionfalmente a Bemporad: «Ho avuto l’onore e il piacere di esser ricevuta l’altro giorno da S.E. Mussolini, a Palazzo Chigi, e trattenuta in cordialissimo colloquio per più di mezz’ora. Sappiate ch’egli ha gli stessi vostri (e miei) gusti per ciò che riguarda la mia opera (...). M’ha detto che sarei tra le tre o quattro sole donne che avrebbero i titoli per entrare all’Accademia, s’egli si decidesse ad ammetterle... Ha promesso di trovarmi il modo di lavorare tranquilla al mio nuovo romanzo, per un anno». Ne approfitta per chiedere «di rilanciare la mia produzione». La promessa del capo del governo sarebbe stata mantenuta: mille lire mensili per un anno. Nel frattempo, i libri da Mondadori cominciano a uscire, sono nuovi titoli, ma resta aperta la questione con l’«egregio editore ed ex amico» Bemporad sulle vecchie opere da riscattare. Finché Sibilla rompe gli indugi e si rivolge al ministro delle Corporazioni Giuseppe Bottai. Il quale il 31 marzo 1930 scrive a Bemporad: «Egregio Commendatore, Penso che con un po’ di buona volontà Ella possa venire incontro ai giusti desideri della Illustre Scrittrice ». Il 10 aprile l’editore fiorentino risponde a Bottai: «Eccellenza, (…) stante l’autorevole raccomandazione mi sono dato premura di concludere con la suddetta su basi di comune accordo stabilite». Tutte le opere di Sibilla Aleramo passeranno, dietro versamento a saldo di lire 10 mila, alla Mondadori, ma non risulta che abbiano mai ottenuto il successo sperato dall’autrice. Di lì a poco, le leggi razziali avrebbero costretto la Bemporad a trasformarsi in Marzocco.
Tre editori di Sibilla Aleramo (in alto): Enrico Bemporad, Arnoldo Mondadori (con Gabriele D’Annunzio in primo piano) ed Emilio Treves (qui sopra)
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Non c’è in Italia, dopo D’Annunzio, un autore che abbia avuto più articoli critici di me. Lo sapete?