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 2009  marzo 07 Sabato calendario

Continuiamo a indire costosissimi referendum, sapendo già in partenza di non raggiungere il quorum richiesto

Continuiamo a indire costosissimi referendum, sapendo già in partenza di non raggiungere il quorum richiesto. Per dare una giustificazione alla spesa di 300/400 milioni, perché non viene tolto il vincolo del 50%? Come la pensa al riguardo? Giuliano Trapacino trapacino@alice.it Caro Trapacino, Prima di dirle ciò penso del quorum e della possibilità di eliminarlo vorrei ricordare ai lettori qualche cifra sulla storia dei 59 referendum abrogativi che sono stati indetti in Italia fra il 1974 e il 2005. Il primo fu quello del 12 maggio 1974 sull’abrogazione della legge Fortuna-Baslini con cui era stato introdotto nella legislazione italiana l’istituto del divorzio. Gli ultimi furono i quattro referendum sulla procreazione assistita del 12 e 13 giugno 2007 con cui gli elettori furono chiamati ad abrogare, tra l’altro, alcuni limiti alla ricerca e il divieto di fecondazione eterologa. Il primo registrò un’affluenza alle urne pari all’ 87,7% del corpo elettorale. Negli ultimi quattro la partecipazione al voto fu di poco superiore al 25% e il quorum (50% più 1) non venne raggiunto. Se rappresentassimo su un grafico il tasso di partecipazione constateremmo che la linea dell’affluenza rimane alta sino al referendum sulla scala mobile del giugno 1985 (77,9%), ma cade d’una decina di punti nei referendum del 1987 (responsabilità dei giudici, commissione inquirente per i ministri, nucleare) e crolla a circa il 43% nel referendum del giugno 1990 sulla caccia e l’uso dei pesticidi. La linea risale bruscamente fra il 1991 e il 1993 quando gli elettori votano entusiasticamente sì a tutte le abrogazioni proposte. Sono generalmente referendum «anti-sistema», vale a dire diretti a colpire le leggi e le istituzioni con cui i partiti hanno progressivamente allargato la rete del loro potere. Alcune decisioni sono positive e innovative come quella dell’aprile 1993 che ha per effetto l’introduzione di un sistema elettorale parzialmente maggioritario. Altre sono spensierate e irragionevoli come quella che abolisce il ministero dell’Agricoltura e costringe il governo a ribattezzarlo ministero della Politiche agricole. Potevamo forse lasciare la sedia vuota a Bruxelles dove i ministri dell’Agricoltura dell’Unione Europea si riuniscono, come ha ricordato recentemente il lettore Mario Lauro, per decidere l’uso del bilancio comunitario e ripartire i sussidi di cui godranno le agricolture nazionali? Ma l’abolizione del ministero e la sua rinascita diffusero la convinzione che il voto fosse un esercizio inutile e crearono una sorta di scetticismo che cominciò a manifestarsi nei numerosi referendum del 1995, quando l’affluenza non raggiunse mai il 60% degli elettori. I confezionatori di referendum sottoponevano le leggi a una specie di microchirurgia, praticavano raffinate amputazioni, presupponevano conoscenze di cui l’elettore era generalmente sprovvisto e rendevano i quesiti, in molti casi, difficilmente comprensibili. Il crollo si verificò nel 1997, quando sette referendum furono uccisi dalla mancanza del quorum, e fu confermato dai sette referendum falliti del 2000. Fallì purtroppo anche il referendum del 18 aprile 1999 per l’abolizione della quota proporzionale nelle elezioni della Camera dei deputati. I voti a favore dell’abrogazione furono il 91,5%, ma l’affluenza sfiorò il quorum (49,6%) senza raggiungerlo. Finì nella pattumiera dei quesiti inutili, in tal modo, anche quello che avrebbe potuto imprimere un altro corso alla storia politica italiana. A questo punto la sorte dei referendum sulla procreazione assistita era segnata. Di fronte al partito dei referendum, troppo incline a fare di questo strumento un uso smodato, era nato ormai il partito dell’astensione di cui fu leader, nel 2005, il cardinale Ruini. Dovremmo dunque abolire il quorum? In Svizzera, per i referendum confermativi, non esiste, e in altri Paesi è più basso. Anch’io, in altre circostanze, ho sostenuto che l’abolizione del quorum metterebbe gli elettori di fronte alle loro responsabilità ed eviterebbe un inutile spreco di denaro. Ma occorrerebbe al tempo stesso rivedere le norme sul referendum abrogativo per evitare la pratica delle amputazioni parziali e delle microchirurgie. Se una consultazione elettorale prevede la scelta fra il sì e il no, il quesito deve essere semplice e comprensibile.