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 2009  marzo 06 Venerdì calendario

L’ALTRO UNIVERSO DELLE FIABE


Il nostro universo, dove regnano il Peso ed il Numero, dove il tempo è rettilineo e gli oggetti impenetrabili, dove i libri si leggono da sinistra a destra e dal principio alla fine, affida il compito di conoscere l´"altro" universo al più amabile dei suoi messaggeri, nei due capolavori di Lewis Carroll, Alice nel paese delle meraviglie e Attraverso lo specchio. I grandi, limpidi occhi infantili di Alice rispecchiano fedelmente ogni minima notizia nel lago serio e incuriosito delle pupille. Ma, sebbene Carroll la credesse una "creatura di sogno", Alice appartiene saldamente e interamente al mondo che noi abitiamo. Nessuna creatura è più terrestre di lei, e possiede come lei lo "spirito della realtà": ragionevolezza, buon senso, buona educazione, cortesia, diplomazia innata, capacità di giudizio, istinto pratico, tutte le qualità che ci aiutano a vivere sulla terra si combinano nella figura di questa deliziosa bambina vittoriana.
Lewis Carroll comprese che la lingua non combacia con la realtà. La lingua è arbitraria, come diceva de Saussure.

I capolavori di Lewis Carroll e James Barrie a confronto: senza la bambina vittoriana con le sue parole stravolte non sarebbe mai nato il bambino-uccello dei giardini di Kensington
Nei non sensi del paese delle meraviglie il sì e il no significano la stessa cosa
Tra il mondo delle fate e il mondo umano non esiste una vera distinzione
Il "paese che non c´è" diventa la sintesi tra le favole, che hanno però un significato opposto
Da un lato, sta la "cosa" - questo pezzo di pane, questa pietra, questo paesaggio sul quale si posano indolentemente i miei occhi -, che, a rigore, non può essere nominata: dall´altra, il "nome"; e fra loro si apre un abisso incolmabile. Se egli avesse spiato attentamente nella dissonanza tra l´oggetto e la parola, se avesse scrutato nella fessura apertasi nel blocco compatto della realtà, forse sarebbe riuscito a descrivere l´"altro mondo". Giacché la lingua è arbitraria, egli poteva desumere dai suoni che ne formano la superficie un universo del tutto differente dal nostro. Bastava rispettare la lingua, come noi non facciamo: intendere alla lettera i suoi suggerimenti; ricordare che i nomi non sono consequentia rerum, ma, al contrario, le cose sono le conseguenze dei loro nomi. Così, per esempio, se in inglese i rami si pronunciano bau essi abbaieranno "dietro lo specchio": i fiori sonnecchieranno pigramente perché "aiuola" vale, in inglese, "letto di fiori"; e se la farfalla si chiama butterfly, essa aprirà delle sottili ali di pane e di burro. In questo modo, egli poteva scivolare dolcemente "di là" senza violare leggi di nessuna specie, senza sconvolgere la convenzione della sintassi, senza nemmeno crearsi una lingua personale, come suggeriva Humpty Dumpty, questo grottesco precursore di ogni avanguardia. Egli non era disceso sulla terra per infrangere delle leggi, ma per aggiungere nuove regole, tanto convenzionali quanto assurde, a quelle che già conosciamo.
Soccorso dalla logica della lingua, Carroll cominciò dunque a descrivere il mondo che costeggia il nostro. Senza affidarsi mai alle pericolose invenzioni della fantasia pura, partiva da un dato della lingua e della tradizione; e poi, via via, tesseva intorno a questi dati variazioni sempre più vaste, combinazioni sempre più ricche, rivelando una immaginazione rigogliosissima, seconda soltanto, nel suo tempo, a quella di Dickens. Mentre scriveva, dimenticava se stesso. Sacrificava i suoi sogni, le sue nostalgie amorose, la sua dolorosa e traboccante morbidezza. La mano impeccabile segnava sulla carta linee esatte, parole senz´ombra, ambiguità in piena luce, mosse di scacchi: i prodigi continuamente rinnovati di una mente malinconica abitata dalle bizzarre chiarezze della matematica.
Come i filosofi di ogni tempo, speculava arditamente intorno ai grandi problemi della metafisica e della conoscenza. Quanto più il pensiero toccava la vertigine della complicazione, tanto più egli amava nasconderlo dietro piccole farse, giochi, guizzi allusivi infinitamente delicati. Il massimo della concentrazione nel contenuto si alleava col massimo di futilità nella forma: la ricchezza filosofica con l´amore per gli indovinelli, la gravità con la leggerezza. Come i Vangeli e le parabole buddiste, Alice nel paese delle meraviglie e Attraverso lo specchio sono insieme dei libri esoterici e dei libri popolari. Ogni bambino continua a leggerli, abbandonandosi perdutamente alle vicende di Alice e del Coniglio Bianco; e ognuno di noi deve riprenderli, sfogliarli, consultarli, tornare a rileggerli, se vuole orientarsi negli spazi troppo vasti tra la terra ed il cielo.

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"Di là", Alice incontra delle leggi, interamente diverse dalle nostre. Non esiste il Peso: né il Numero, e la tavola pitagorica impazzisce. L´"io", del quale noi siamo tanto fieri, si perde, insieme a quel supremo simbolo della identità che è la memoria. Tutto viene rovesciato. Per raggiungere un luogo, dobbiamo voltargli le spalle: per restare fermi, dobbiamo correre: per arrivare in un punto, dobbiamo averlo già superato; e il tempo corre all´indietro, - prima il futuro, quindi il presente, infine il passato. Quando Alice recita una poesia, le parole si trasformano sulla sua bocca: sapeva a memoria dei versi edificanti; ed ecco che il suo inconscio, governato tirannicamente dalle leggi "di là", le impone di pronunciare parodie, non-sensi, parole stravolte. Così non ci meravigliamo se finisca per tramontare lo stesso principio di contraddizione, sul quale è fondata l´esistenza terrestre: se il sì e il no, il negativo e il positivo, il più e il meno, l´"importante" e il "non-importante" significhino la medesima cosa.
Ora il tempo corre all´indietro, ora avanti: ora l´anarchica lingua individuale di Humpty Dumpty abolisce ogni convenzione linguistica, ora tutti parlano con le parole dell´uso quotidiano. L´unica, grande legge, che regge senza eccezione sia Alice sia Attraverso lo specchio è quella della Metamorfosi, che trasforma le persone e le cose, dissolvendole nella fantastica pantomima della possibilità. Nel primo libro, Alice cresce mostruosamente e snoda il collo come un serpente tra le cime degli alberi: poi rimpicciolisce fino alle dimensioni di un topo, rischiando di annegare nel lago delle proprie lacrime. Nel secondo libro, la Metamorfosi diventa il principio stesso della narrazione. Non sappiamo chi muova gli scacchi sopra l´immensa scacchiera, distinta, come la terra, da siepi, ruscelli, prati, stagni, boschi e campagne. Ogni volta che uno dei giocatori sposta una pedina, la narrazione si interrompe di scatto, e il paesaggio e i personaggi si dissolvono. Entriamo in un nuovo spazio-tempo: un treno nasce dal bianco tipografico e vi scompare, una bottega diventa una barca e un gruppo d´alberi, un uovo si trasforma in Humpty Dumpty, il russare della Regina Rossa e della Regina Bianca cede a un´aria musicale... Così l´altro mondo rivela finalmente la propria essenza. Mentre la struttura superficiale del nostro mondo è compatta e continua, quella dell´universo dietro lo specchio è discontinua e frammentaria: briciole, pezzettini, tessere di mosaico, caselle di scacchi, atomi, tenuti insieme da una forza che non conosciamo.

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Peter Pan nei giardini di Kensington e Peter e Wendy, (ripubblicati da Einaudi con uno scritto di Giorgio Manganelli, un´introduzione di Luca Scarlini e la traduzione di Milli Dandolo, pagg. 248, 16 euro), non sarebbero mai stati scritti senza i libri di Carroll, ma il loro significato è esattamente opposto. Qui i protagonisti non sono una bambina vittoriana, ma gli uccelli, i bambini-uccelli, oppure un giovanissimo-vecchissimo bambino-uccello. Prima di diventare esseri umani, i bambini sono stati uccelli, lo sono rimasti per sette giorni, e nelle prime settimane di vita sentono un lieve pizzicore alle spalle, dove prima erano attaccate le ali. Come gli uccelli, sono allegri, innocenti e senza cuore, e volano appunto perché sono allegri, innocenti e senza cuore. Quando non lo sono più - quando hanno ceduto alla maturità e normalità che li minaccia da ogni parte - dimenticano di volare. Con le fate hanno rapporti molto stretti. Quando ridono per la prima volta, il loro riso si spezza in mille frantumi ghiacciati che si spargono saltellando; e in quel momento nasce una nuova fata.
Peter Pan è un bambino-uccello: come dicono nei giardini di Kensington, è un mezzo-e-mezzo. Vola come un uccello, ma in parte si comporta come un bambino: tenta di afferrare le mosche con le mani invece che con il becco; ma, al tempo stesso, non è un vero bambino perché gioca in modo sbagliato, ignora cosa siano i secchielli o i palloncini colorati o cosa siano i baci. Vive sempre sul margine, sul limite, senza appartenere ad un mondo. velocissimo, perché è molteplice e stravagante: è onnipresente e nascosto. Detesta gli adulti, le persone normali, la scuola, le abitudini e le istituzioni. Sta sempre da un´altra parte. Non vuole crescere e abbandonare le ali: ma, qualche volta, sembra stranamente senile. Non finisce mai di tentare i bambini, portandoli via con sé, in un eterno volo. La madre l´ha abbandonato: Peter Pan non riesce a ritornare da lei, varcando le finestre chiuse: e questa acutissima nostalgia è l´unica cosa che egli possegga di veramente umano.
Nei giardini di Kensington, vivono le fate: tra loro e il mondo umano non esiste nessuna vera distinzione; un antropomorfismo possente come quello di Carroll si insinua in tutto ciò che è feerico e lo trasforma. Le fate preparano la colazione, mungono le vacche, segano i funghi, tirano su l´acqua. Sono sempre indaffarate, come se non avessero un momento da perdere, ma non fanno mai niente di utile. Stanno in piedi quando dovrebbero sedere, e siedono quando dovrebbero stare in piedi: sono sveglie quando dovrebbero dormire, e dormono quando dovrebbero andare alla festa. Spesso si comportano male: mettono le dita nel burro o bevono troppo vino; sono dispettose, eccentriche, stravaganti. Qualche volta, avere rapporti con loro, come con tutto ciò che è feerico, è rischioso: senza accorgersene, ti fanno diventare una quercia sempreverde.
Se escludiamo l´Elogio degli uccelli di Leopardi, Peter Pan è il più bel testo uccellesco che abbia mai letto: per questo piace tanto ai bambini. James Barrie chiacchera, chiacchera, anzi cinguetta, vola, fa il nido, si nutre di vermi, ci becchetta, si dimentica, deride le fate, gli adulti, i bambini e i pirati; e il suo cinguettio brilla come una conversazione mondana. Non conosce l´assoluto rigore matematico di Alice e di Attraverso lo specchio: pare sempre lievemente ebbro, come si fosse ubriacato con un liquore di corniole, distillato dalle fate. La sua è una fiaba, un vaudeville, un´avventura fantastica, una farsa, un racconto piratesco, un racconto filosofico, una fantasticheria, un arcobaleno, un gioco funambolico, una sonata di flauto - che deve assolutamente venire eseguita nel paese che non c´è.