Luca Vinci, Libero 5/3/2009, 5 marzo 2009
PUPI SENZA DONNE
Mentre a Hollywood si celebravano gli Oscar, si celebrava anche un regista italiano. Pupi Avati, maestro del cinema dolceamaro, delle commedie con retrogusto di malinconia, poeta della vita minima di provincia, veniva onorato da una retrospettiva, da un premio, e soprattutto dall’entusiasmo del pubblico americano. Il festival ”Los Angeles, Italia” ha proposto, al Chinese Theatre di Hollywood, una rassegna dei suoi film. E nel pubblico, a vedere ”Regalo di Natale” o ”Il papà di Giovanna”, c’erano anche spettatori d’eccezione, come Dennis Hopper o Peter Fonda. O Paul Haggis, il regista di ”Crash”, vincitore di due Oscar.
«Io invece l’Oscar non lo sogno più. Non preparo più, con la fantasia, il discorso di ringraziamento», dice Pupi Avati. «Magari qualche volta l’ho pure sognato; ma adesso sono felice così. Il mio premio è continuare a fare film. I film sono il diario, trasfigurato, della mia vita, delle mie emozioni».
E ne fa, di film. Quasi uno all’anno. Una media che nessun regista, in Italia, riesce a tenere. appena uscito ”Il papà di Giovanna”, coppa Volpi a Silvio Orlando alla Mostra del cinema di Venezia, che sta per uscire un altro suo film. Il 4 aprile sarà nelle sale ”Gli amici del bar Margherita”. Una storia di provincia, ancora. La sua Bologna, gli anni ”50, la gente che viveva nei bar. E che nei bar scherzava, perdeva il tempo, faceva le sue zingarate.
Incontriamo Pupi Avati in un hotel di Los Angeles. Alla Academy of Motion Pictures, al quartier generale degli Oscar, lo hanno accolto come ospite d’onore della mostra dedicata al ”Libro dei sogni” di Federico Fellini. Avati, che è presidente della Fondazione Fellini, quei disegni li conosce bene. Li ha visti nascere. Poco dopo, ci sediamo. Un caffè nero, e via con le domande.
Che cosa racconta, esattamente, ”Gli amici del bar Margherita”?
«Racconta quello che accadeva nei bar, in una città come Bologna, negli anni ”50. Un microcosmo che oggi non potrebbe esistere più: qual è la moglie che permette al suo uomo di andare al bar, la sera? Eppure, prima accadeva questo. Il bar era un mondo dal quale le donne erano tenute lontano».
Che tipo di personaggi la affascinavano, di quel mondo?
«Quei giovani avevano un’idea totalmente irresponsabile dell’uso del tempo. Dissipavano il loro tempo in cose di nessuna importanza, sprecando la loro giovinezza. E avevano il desiderio costante di divertire gli altri. Investivano tutta la propria creatività per divertire gli amici al bar. Questo mi sembra il segno di un’epoca remota, una voglia di divertimento puro che non esiste più».
La politica entrava nel bar?
«Forse sì. Ma le divisioni politiche, in un mondo immerso in pieno doncamillismo, non riuscivano a separare gli amici. E allo stesso modo, le donne non entravano in quell’universo».
Quali saranno i toni del film? Sarà comunque una commedia?
«Sarà un ritratto di vita e di bizzarrie. Un microcosmo di leggerezza. Forse, il mio è un bar che non è mai esistito. Pieno di tutte le stravaganze e le bizzarrie che ho visto al bar nella mia vita».
Lei sa reinventare attori in chiavi diverse, sa sorprenderci con i suoi casting. Chi interpreta il film?
«Ritrovo Diego Abatantuono: più personaggio da bar di lui non ce n’è! E Gianni Cavina torna a lavorare con me, interpreta un nonno novantenne, erotomane... Poi Katia Ricciarelli, Luigi Lo Cascio, Laura Chiatti, Fabio De Luigi, Neri Marcoré, Luisa Ranieri. Sarà un film corale».
E il film successivo? Quando inizierà a girarlo?
«La settimana successiva all’uscita de ”Gli amici del bar Margherita”. Il titolo provvisorio è ”Il figlio più piccolo”. Ho scelto Christian De Sica, con cui avevo lavorato più di trent’anni fa, in ”Bordella”, perché è un grandissimo attore e perché mi sembrava maturo per un prova più impegnativa. la storia di un uomo amorale, che si comporta malissimo con la moglie, interpretata da Laura Morante, e che finisce succube di un faccendiere, interpretato da Luca Zingaretti».
Guardando la sua carriera, che cosa sente che sia stato il cinema, per lei?
« stato il desiderio di uscire dalla vita di provincia anni ”50. Prima, fu la musica la via per il sogno. Poi, quando capii che con la musica non avrei fatto niente di buono, fu il cinema. Inghiottii il fallimento, e mi buttati nel cinema, per poter dire agli altri chi ero, in modo da emergere dall’ invisibilità che, in provincia, paghi caramente».