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 2009  marzo 05 Giovedì calendario

Bashir Omar

• Hassan Ahmad al Hosh Bonnaga (Sudan) 1 gennaio 1944. Politico. Presidente del Sudan (giunto al potere con un colpo di Stato il 30 giugno 1989). Il 4 marzo 2009 è stata emesso nei suoi confronti un mandato d’arresto autorizzato dai giudici della Corte penale internazionale dell’Aja. Accuse: cinque per crimini contro l’umanità, assassinio, sterminio, trasferimenti forzati, tortura e stupro; due per crimini di guerra: attacchi intenzionali diretti contro i civili inermi e saccheggio (caduta l’incriminazione per genocidio) • «[...] Nel 1998 [...] aveva dato precise istruzioni al suo ambasciatore che a Roma assisteva ai lavori preparatori delle Nazioni Unite per l’istituzione della Corte penale internazionale: ”Quel tribunale non deve passare”. E così il Sudan assieme agli Stati Uniti, alla Cina e ad altri 4 Paesi aveva votato contro. Dieci anni dopo quella Corte che aveva osteggiato, varata poi nel 2002, l’ha incriminato per genocidio e crimini contro l’umanità commessi [...] in Dafur. Il procuratore Louis Moreno Ocampo nei dieci capitoli dell’incriminazione parla di sue precise responsabilità nel deliberato massacro dei civili delle tribù fur, masalit e zagawa che abitano il Darfur. ”Il suo alibi – scrive Moreno Ocampo – è combattere la ribellione, il suo intento è il genocidio. Non mi prendo il lusso di supporre: ho prove precise”. Secondo il procuratore, il presidente sudanese controlla tutto l’apparato dello Stato e ha usato questa sua influenza per ”coprire la verità e proteggere i suoi subordinati e la loro smania di genocidio”. Si calcola che in Darfur siano state ammazzate 300 mila persone e che due milioni siano stati costretti a scappare dalle loro case. [...]» (M.A.A., ”Corriere della Sera” 15/7/2008) • «[...] è nato [...] in una capanna di contadini poverissimi, in un villaggio a un centinaio di chilometri a nord di Khartum. Chi ha trascorso con lui lunghi anni [...] sostiene che il suo destino è stato segnato nell’infanzia. Il padre, coltivatore di pomodori, non può sfamarlo. Sceglie di abbandonarlo, affidandolo all’esercito quando non aveva ancora 12 anni. L’orizzonte del piccolo Omar oscilla così da subito tra solitudine e violenza, mediate dall´islam. Combatte senza paura di morire, né di uccidere, e a vent’anni guida già una compagnia. Dieci anni dopo, nel 1973, è al fianco degli egiziani nella guerra dello Yom Kippur contro Israele. Guerra ed estremismo islamico, in quindici anni, gli valgono la leadership dell’Islamic National Front di Hassan Turabi. uno dei rari golpe incruenti dell’Africa. A 45 anni al Bashir, ex soldato bambino per un piatto di mais bianco, si trova alla guida di un Sudan devastato dalla fame e dalla guerra civile. Infiamma le folle con comizi nazionalisti che incitano all’unità del Paese nel nome della sharia. Non si tratta, scriverà anni dopo dal carcere Turabi, di un espediente retorico. Nei primi anni al potere, al Bashir crede realmente che il Sudan, frammentato in centinaia di tribù, possa scegliere l’unificazione nel nome dell’islam. Un sogno presto deluso. Il Nord, bianco, islamico e governato dalle influenze arabe, cede alla tentazione di sottomettere il Sud, animista, nero e aperto al dialogo con l’Occidente cristiano. Al Bashir, che conosce solo il linguaggio delle armi, torna così a combattere e non smetterà più, facendo della guerra un’autentica ossessione. Fa arrestare Turabi, l’unico intellettuale della sua cerchia. Scioglie il Consiglio della Rivoluzione, facendo sparire i suoi componenti accusati di cospirazione. Fino al 1996, quando si fa eleggere presidente con un voto definito ”truffa” dagli stessi leader africani. Tre anni dopo scioglie il parlamento e svela pienamente il suo profilo di dittatore. Sono gli anni, oltre venti, del grande massacro nel Sud. Fede e pretese di autodeterminazione si confondono, giustificando lo sterminio di centinaia di migliaia di persone. Difficile provare il genocidio, trattandosi di decine di etnie. I servizi segreti sudanesi sono in compenso i più temuti del continente. Le torture, nelle caserme del nord, raggiungono limiti di raffinatezza che lo stesso Taylor, pure sotto processo all’Aja, definisce ”magica”. Le trattative per la pace tra Nord e Sud sono avanzate quando, nel 2003, al Bashir sceglie di legittimare il terrore con un’altra guerra. Il Darfur, a Ovest, reclama a sua volta l’indipendenza e si oppone all’avanzata delle scuole coraniche. Kartum, nel mirino degli Usa, viene accusata di nascondere Bin Laden e di essere la retrovia africana di al Qaeda. Il nuovo focolaio di frammentazione viene represso con una ferocia che gela il mondo. In cinque anni, solo in Darfur, le milizie arabe dei janjaweed, armate e pagate dal regime di al Bashir, massacrano oltre 300 mila civili e innescano l’esodo di due milioni e mezzo di profughi. I villaggi ribelli vengono dati alle fiamme, donne e bambini subiscono stupri e mutilazioni. Il Paese è un immenso campo di battaglia, conteso tra mondi contrapposti: da una parte Medio Oriente, Russia e Cina, dall’altra Usa ed Europa. Dietro la fede, petrolio, gas, acqua sotterranea e controllo di uno dei territori-chiave del continente. [...]» (Giampaolo Visetti, ”la Repubblica” 5/3/2009).