Fabrizio Caccia, Corriere della Sera, 5/3/2009, 5 marzo 2009
«Siamo innocenti, usciremo Via dall’Italia? No, vivrò qui» - Karol Racz, 36 anni, quello «con la faccia da pugile », indossa una tuta beige
«Siamo innocenti, usciremo Via dall’Italia? No, vivrò qui» - Karol Racz, 36 anni, quello «con la faccia da pugile », indossa una tuta beige. Quando la porta della cella si apre, sembra spaesato, non s’aspettava una visita. Regina Coeli, ieri pomeriggio, sono quasi le tre. Il deputato pdl Giancarlo Lehner, membro della commissione giustizia della Camera, ha chiesto di poter incontrare i due romeni della Caffarella, dopo che la prova del Dna ha dato esito negativo. Racz è in Italia da 5 mesi e dunque parla male la nostra lingua. Però si fa capire da Lehner. Gli va incontro con un sorriso, gli stringe forte la mano. Dice: «Io e Alexandru forse usciamo presto. Non vedo l’ora di tornare in Romania, a Fagaras, la mia città. Ma in Italia, di sicuro, non tornerò più». Alexandru Isztoika Loyos, 20 anni, «il biondino», sta recluso in un’altra cella, sempre nella settima sezione, reparto «nuovi ingressi» del carcere di via della Lungara. Lui l’italiano invece lo parla bene perché da due anni ormai vive nel nostro Paese. Per ingannare il tempo si è fatto portare dei libri dalle guardie, che adesso tiene sul comodino. Sono dei gialli di Agatha Christie: Fermate il boia, Le due verità, Il pericolo senza nome. Manco a farlo apposta. Anche Alexandru è nativo di Fagaras, Transilvania. «Noi siamo innocenti, noi non abbiamo stuprato nessuno», quasi grida al deputato Lehner. Il parlamentare pdl, però, si ricorda della piena confessione che Loyos a caldo aveva fornito agli inquirenti: «Non era vero quello che ho detto ai poliziotti romeni giorni fa», gli dice il biondino. Il deputato allora prova a chiedere spiegazioni, ma a quel punto gli agenti che l’accompagnano lo pregano di non fare altre domande. Alexandru ha solo il tempo di aggiungere due cose: «Io qui da voi in Italia ho lavorato, ho fatto il manova-le, il muratore, perciò anche se torno libero non farò come Karol, non tornerò in Romania. Io resterò qui, perché ho bisogno di guadagnare, ho bisogno di soldi da mandare a casa. Eppoi non è vero che la vostra gente è così cattiva con noi». Le celle che li ospitano sono le stesse in cui dimorarono a suo tempo i due immobiliaristi Danilo Coppola e Stefano Ricucci. Sono celle di due metri per tre, con letto a castello, un comodino, un tavolino, un cucinotto, un bagno (con la doccia) e il televisore (rotto). Loyos e Racz sono dentro dal 18 febbraio scorso. Ora fanno l’ora d’aria tutti i giorni, la voce del Dna che li scagiona si dev’essere sparsa, così non c’è più pericolo di agguati da parte degli altri detenuti. Quando il direttore di Regina Coeli, Mauro Mariani, va a trovarli in cella per sincerarsi della loro tenuta psicologica, di solito si fa aiutare da un detenuto comune, romeno anche lui, per la traduzione. Ma non c’è il rischio che Loyos e Racz si lascino andare. Dormono e mangiano (ieri riso, pollo e carote) e non hanno volti segnati. Solo Racz mostra un filo di pomata bianca sul sopracciglio destro: «Sono scivolato, ho sbattuto contro il letto». Lehner, da ex pugile («Facevo il mediomassimo negli anni ’60 alla caserma Colombo di Prati»), lo trova convincente («Se l’avessero picchiato, magari in commissariato, avrebbe l’occhio nero e la pelle spaccata »). Dopo mezz’ora l’incontro con «le belve di San Valentino» è terminato. Lehner, che è anche scrittore ( Carnefici e vittime, La famiglia Gramsci in Russia) lascia Regina Coeli con uno strano magone: «La prossima volta bisognerà pensarci bene prima di sbattere il mostro in prima pagina e di chiedere pene esemplari per i romeni. Anche perché, ammesso che a compiere lo stupro alla Caffarella siano stati altri due romeni, a quest’ora chissà dove saranno. E nessuno li prenderà più».