Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2009  marzo 05 Giovedì calendario

Da Clooney alla Farrow, l’Internazionale dell’impegno --- Ricordate il trappolone tirato dalle «Iene» a certi peones del Parlamento italiano nel 2006? Domanda a bruciapelo: «Scusi, cos’è il Darfur?»

Da Clooney alla Farrow, l’Internazionale dell’impegno --- Ricordate il trappolone tirato dalle «Iene» a certi peones del Parlamento italiano nel 2006? Domanda a bruciapelo: «Scusi, cos’è il Darfur?». Non lo sapeva nessuno. Un deputato azzardò: «E’ uno stile di vita. Darfur si dice quando una cosa va di fretta, insomma è uno stile di vita frettoloso ». Darfur come fastfood. Tre anni dopo il nome di quella martoriata regione dell’Africa è (quasi) sinonimo di inferno. Trecentomila morti hanno fatto un buon lavoro (postumo) di marketing. E forse a George Clooney anche l’italico strafalcione non dispiacerebbe. Perché per l’attore più affascinante di Hollywood il Darfur è diventato davvero una sorta di «stile di vita ». Un modo di essere nel mondo, di fare politica, molto più che una buona causa a cui prestare la faccia e la notorietà. Con una mezza dozzina di colleghi (tra cui Matt Damon, Brad Pitt e Don Cheadle, la star di «Hotel Ruanda ») Clooney guida «Not on our watch », snella organizzazione con base negli Usa che si propone di «far crescere l’attenzione e le risorse globali per mettere fine alle atrocità di massa». Obiettivo impegnativo, che ha nel gorgo Darfur il suo punto focale. Tutto comincia veramente nel 2006. Clooney accetta di andare in Sudan con il padre Nick, vecchio giornalista di Cincinnati. Girano insieme un documentario, «Viaggio in Darfur». Tornano negli Stati Uniti e cominciano a battersi, denunciare, fare appelli. L’America di George Bush ha già definito «genocidio» quello che il regime di Omar al-Bashir compie nelle regioni occidentali al confine con il Chad. Come ama raccontare il giornalista del New York Times Nicholas Kristof, appassionato difensore della «causa darfura», il presidente ha pure chiesto a Condi Rice se non sia il caso di mandare una forza militare per fermare i massacri dei «diavoli a cavallo» appoggiati dai governativi. Condi ribatte che dopo l’Iraq non si possono mandare truppe in un altro Paese musulmano. L’Onu di Kofi Annan nel frattempo ha stabilito che non si tratta propriamente di «genocidio» ma di crimini contro l’umanità. Nei campi profughi intorno a Al Fasher non vedono una grande differenza. Ma la questione semantica sottende una diversità non da poco, che riguarda la natura di un eventuale intervento dei Caschi Blu. L’Onu, direbbe il nostro «deputato fastfood », scalda i motori per un’operazione umanitaria assai poco «frettolosa ». Mentre gli aerei sudanesi di fabbricazione cinese bombardano i villaggi, in attesa dei Caschi Blu le donne stuprate del Darfur accolgono l’arrivo di Mia Farrow insieme a centinaia di operatori umanitari (oggi 32mila). Anche l’ex moglie di Woody Allen è rimasta colpita dalle storie che filtrano oltreoceano (ci è tornata recentemente per 3 settimane). Passano i mesi e la mole di aiuti sul terreno diventa consistente: nel mondo non c’è area con una simile concentrazione di «volontari». Ma non basta. In Darfur si continua a morire. Clooney gira video, va da Oprah Winfrey. In Francia nel 2007 si attiva la diplomazia «muscolare» del medico-ministro Bernard Kouchner. Russi e cinesi abbozzano e il Consiglio di Sicurezza dell’Onu dà mandato alla Corte Penale Internazionale di indagare sui governanti di Khartoum. Anche in Italia cresce l’impegno. Nasce Italians for Darfur ( www.italianblogsfordarfur. it): eventi, appelli, petizioni. Politici (specie radicali), attrici come Monica Guerritore, cantanti: Caparezza, i Subsonica. I Negramaro girano un video- spot: «Via le mani dagli occhi, giù le mani dal Darfur». Adesso che i giudici dell’Aja vogliono mettere le mani sul dittatore Bashir, non si può nascondere la soddisfazione. La Guerritore dice al Corriere: «Finalmente una buona notizia. Finalmente qualcuno che sta sopra i governi riesce a intervenire per provare a fare giustizia. Ma bisogna andare avanti». Non ci è voluto troppo tempo, troppi morti? «Il problema è sempre lo stesso, come trasformare un fatto in esperienza. Siamo bombardati da notizie, ma nessuna ci tocca». Cosa l’ha colpita del Darfur? «Mi sono immedesimata soprattutto nei racconti delle donne "africane" violentate dagli aguzzini "arabi" che vogliono così perpetuare la loro razza facendo sparire l’altra». Soddisfazione e cautela. Così George Clooney commenta il mandato di cattura per Bashir: «Uno spiraglio di speranza». Solo uno spiraglio. Michele Farina George Clooney ha girato con il padre il documentario «Viaggio in Darfur» Mia Farrow, impegnata per il Darfur, ha appena passato 3 settimane nell’area Negramaro: il gruppo pop italiano ha girato il video «Giù le mani dal Darfur» Monica Guerritore ha aderito alla campagna di «Italians for Darfur»