Paolo Madron, Il sole 24 ore 28/2/2009, 28 febbraio 2009
Il dividendo c’è, i numeri non sono male, e di certo migliori delle aspettative. Gli analisti son contenti e le agenzie di rating per una volta plaudono
Il dividendo c’è, i numeri non sono male, e di certo migliori delle aspettative. Gli analisti son contenti e le agenzie di rating per una volta plaudono. Così Franco Bernabè, appena concluso il cda che ha licenziato i conti del 2008, può tirare un po’ il fiato dopo mesi di trincea spesi a parare i colpi che da più parti gli piovevano addosso. Il telefono, per parafrasare il famoso spot, da croce ritorna voce, e il manager di Vipiteno, da poco più di un anno per la seconda volta alla guida di Telecom dopo la fugace parentesi del post privatizzazione, può togliersi qualche sassolino dalle scarpe. Anche se di sassi, grandi o piccoli, lui giura di non averne mai avuti. Ma che la solitudine del leader (e cita a supporto Shimon Peres e Ben Gurion) comporta l’esercizio di una olimpica calma nonché quello, per vocazione e statuto, di decidere senza farsi influenzare dalle molte campane che ti suonano intorno. Ha sorpreso molti la vostra decisione di dare il dividendo. C’era una nutrita schiera di vostri esegeti pronti a scommettere il contrario. Scelta controversa? No, abbiamo solo considerato il fatto che il risultato è migliorato di trimestre in trimestre, che abbiamo una consistente generazione di cassa, e infine che abbiamo già rifinanziato un terzo nel nostro fabbisogno nel primo mese dell’anno. Perciò, pur considerando la difficile congiuntura economica, la decisione è stata di darlo. Telco, ma anche gli altri azionisti, avranno tirato un sospiro di sollievo. Non abbiamo deciso in base al fatto che facesse comodo a Telco, ma perché i conti sono molto buoni. Basti solo dire che siamo riusciti a ridurre l’indebitamento di 1,7 miliardi, e questo nonostante il Tar del Lazio abbia rigettato la nostra istanza di rimborso di 500 milioni per la concessione. Oltre al rebus ora risolto del dividendo, per giorni ha tenuto banco il tema dello scorporo della rete. C’è un partito trasversale che tifa in questo senso. Sento solo chiacchiere prive di competenza. Il tema del monopolio è definito dall’Antitrust e dalla Agcom, e si affronta con una serie di regole codificate. Ecco, tutto questo dibattito ha perso di vista il quadro legislativo e i processi che hanno portato alla soluzione Open Access. Che non è una cosa improvvisata, ma il frutto di un lavoro durato un anno che ha portato Telecom alla sottoscrizione di 223 impegni con Agcom. Niente, se non la morte, è irreversibile. Lei invece parla come se Open Acces precludesse qualsiasi ipotesi di scorporo. Io dico solo che molto spesso chi si esprime sul tema ignora che in Italia esiste un sistema di regole e una Autorità che le fa rispettare. Ed è quello che noi abbiamo fatto. Non vedo come dopo un anno di lavoro in cui abbiamo coinvolto decine di persone improvvisamente si possa cambiare approccio. Solo perché qualcuno lo chiede nei convegni o sui giornali? Evidentemente, se se ne parla è perché qualcuno ritiene il tema non peregrino. Capisco che in un momento di grandi difficoltà da parte delle imprese fornitrici si tenti una accelerazione sugli investimenti. Ognuno difende i propri interessi. Ma anche ammesso per un momento che si possa fare, qualcuno mi dovrebbe dire chi ci mette i soldi. Lei dovrebbe preoccuparsi dei soldi che incasserebbe Telecom, ovvero il venditore. Che cosa gliene importa degli investimenti che toccherebbero ai compratori? Invece mi interessa. Siccome i soldi, dopo la separazione tra Banca d’Italia e Tesoro, non si creano stampando moneta, chi sarebbe in grado di sostenere 15 miliardi di investimenti? Ma quanto vale la rete? Un valore inestimabile. Potrebbe invece dirmi che è contrario perché se perde la rete Telecom è un’azienda monca. Gestisco le aziende non sulla base di ipotesi, ma di fatti. E i fatti oggi sono che il tema è già stato risolto dopo un anno di negoziati e che il nostro piano di investimenti è adeguato a quel che chiede il mercato per la banda larga. Obiezione: il debito di Telecom è ancora talmente grande che legittima una mossa che comporterebbe la sua drastica riduzione. Ragionando in base alle esigenze dell’azienda e dei suoi azionisti abbiamo pensato che è meglio se la rete rimane in casa. Chissà se quando mesi fa Corrado Passera auspicò per Telecom il colpo d’ala pensava anche lui allo scorporo. Non credo che Passera avesse un’idea così specifica. Esprimeva un auspicio di rilancio e i numeri che abbiamo presentato oggi vanno proprio in quella direzione. E come capo azienda si è sentito mai solo e isolato? Una volta il mio amico Shimon Peres, il presidente di Israele, chiese a Ben Gurion quand’è che ci si accorge di essere un leader. E lui rispose: «Quando ti guardi intorno e vedi che non c’è nessuno a cui chiedere consiglio». Non mi sembra che intorno a lei non ci sia nessuno. Infatti ci sono molte persone. Quando devo fare delle scelte nell’interesse della società sento tutti, ma non voglio essere condizionato dalle opinioni di nessuno. Perché spesso riflettono un punto di vista parziale. Giro la domanda. Quanto è difficile fare il capo azienda avendo come interlocutore un azionariato eterogeneo? Molto difficile. Ma per fortuna c’è una definizione dei ruoli e un quadro di riferimento giuridico nel quale devi agire. Il guaio in Italia è che tutti cercano di interpretare il ruolo degli altri. Dicono che qualche volta ha battuto i pugni sul tavolo. No, mai. Cerco di fare gli interessi degli azionisti spiegando le mie scelte a interlocutori solitamente ragionevoli. Non sempre ci riesco ma è mio dovere provare. E se qualcuno la intralcia? Ho sempre pensato che se il mio azionista ha qualcosa da dirmi si presenta in assemblea, argomenta le sue opinioni e, se ritiene, chiede che il mandato del capo azienda venga revocato. Quello che io non posso consentire è che le cose vengano fatte senza la necessaria trasparenza. Dopo il grillo, c’è anche l’azionista parlante… Nei corridoi, nei dibattiti e nelle interviste parlano le persone. Gli azionisti parlano in assemblea su mandato dell’istituzione che rappresentano… Se non scorpora la rete qualcuno vorrebbe almeno scorporasse il Brasile per venderlo, magari ai suoi soci di Telefonica e così mandarli a casa. Ho sempre sostenuto che una razionalizzazione del portafoglio di Telecom Italia vada fatta, tant’è che abbiamo formulato per quel poco che è rimasto all’estero un importante piano di dismissioni. Possiamo dettagliare un po’ di più "quel poco"? Un piano che riguarda principalmente HanseNet, Sparkle e Etecsa, sul quale siamo molto fiduciosi, anche perché il buon andamento dei conti non ci impone nessuna accelerazione. Si tratta di asset molto validi che rappresentano un grande valore per gli acquirenti, e penso che otterremo ottimi prezzi dalla loro vendita. Eravamo partiti dal Brasile. Il Brasile è una partecipazione strategica. uno dei mercati con il maggiore potenziale, e ha tutte le condizioni per continuare a crescere. Non credo sia un caso se per un lungo periodo è stato il punto di forza della Fiat. Ma avere come azionista un concorrente non è una palla al piede? Detto in altri termini, Telefonica sta in Telecom anche per fare ostruzionismo là dove il suo gruppo dovesse infastidirla. Il problema tra noi e Telefonica è duplice: siamo concorrenti, anche feroci, in Sud America, invece in Europa collaboriamo. Ma i rapporti personali con Linares e Alierta sono buoni, e l’alleanza è stata utile ad entrambe le aziende. Talvolta sembra siano lì ad aspettare il momento buono per mangiarsi tutto. Del resto, quello che hanno preso l’hanno pagato drammaticamente caro. Chiariamo le cose: Telefonica non ha comprato azioni Telecom, ma azioni Olimpia da un nostro azionista. Quanto abbia pagato non mi interessa. Perché dopo tanto parlare alla fine non sono arrivati i petrodollari dei libici? Dopo il trattato che chiudeva il contenzioso coloniale tra noi e loro, i libici, che io conosco molto bene dai tempi dell’Eni, si sono chiesti quali potessero essere investimenti interessanti per loro. Per quanto riguarda Telecom abbiamo detto quali erano le condizioni a cui ritenevamo si potesse fare, ma non ci siamo trovati d’accordo. Parlavate di 1,5 euro ad azione… Noi crediamo che il valore di Telecom Italia sia ben superiore. L’altro giorno Morgan Stanley vi ha valutato 1,5 euro. Ma no, questi sono i target price che fanno gli analisti. Per valutare un prezzo sulla base di un piano industriale ci sono delle tecniche precise. Che nella fattispecie dicono di Telecom una cosa diversa. Ci sono in vista ancora ritocchi al piano industriale? Il piano è un impegno. Detto questo ci sono istanze che dipendono dal controllo della gestione, penso soprattutto ai costi, e altre conseguenze del contesto macroeconomico. Noi lavoriamo perché la riduzione dei costi e il miglioramento dei ricavi siano il più possibile impermeabili alle circostanze esterne che li possano influenzare. Ma quello della telefonia non è un business dai margini calanti? Diciamo che la sicura tendenza deflazionistica dei ricavi si accompagna alla formidabile possibilità di ridurre i costi determinata dal progresso tecnologico. Il problema è compensare con la riduzione dei costi l’ineluttabile abbassamento dei prezzi. Ogni tanto viene il sospetto che lei abbia in mente una Telecom autarchica. Non ho complessi di inferiorità verso l’estero, ci ho passato metà della mia vita. Ma l’idea di andare a piantare delle bandierine solo per fare del turismo finanziario è una cosa che non mi appartiene. Un conto sono le bandierine, un altro la dimensione internazionale. Il modello che prevedeva l’espansione all’estero per sfruttare la dinamica della telefonia mobile non è più la risposta giusta. Google fa 20 miliardi di fatturato, di cui 10 in Europa con solo 3 mila dipendenti. Oggi si può fare un business globale partendo da una base nazionale. Ogni tanto si riaffaccia la suggestione di far sposare telefonia e contenuti. Le società di tlc sono un formidabile veicolo per la distribuzione dei contenuti, ma non devono diventare degli aggregatori. Quindi quando sente la parola media-company le viene l’orticaria. La media-company richiede competenze ed esperienze che noi non abbiamo. Il nostro compito è di mettere a disposizione l’infrastruttura, punto. Pensavo a Mediaset-Telecom. Non solo quell’operazione mi sembra difficilmente realizzabile sul piano pratico, ma non è nemmeno fattibile sul piano legislativo. Le leggi si cambiano…. No, si creerebbe comunque un monopolio in una piattaforma distributiva che non sarebbe mai consentito. Lo si potrebbe ipotizzare solo se in Italia avessimo la tivù via cavo, cosa che non è. Allora sia coerente e venda Telecom Italia Media. Per adesso la stiamo ristrutturando con soddisfazione. Ma dai suoi ragionamenti non è funzionale al vostro business. Stabilito che non vogliamo essere una media-company, ci serve capire quel mondo e soprattutto come sulla nostra piattaforma si ottimizza il sistema. Per noi Telecom Italia Media con le sue competenze è una utile fonte di apprendimento. Chiaro comunque che in prospettiva utilizzeremo al meglio queste competenze. Mi fa un pensierino finale alla precaria ed eterogenea struttura della sua compagine azionaria? Ci sono banche, assicurazioni, un formidabile competitor e degli industriali sciolti. Posso anche essere d’accordo con lei, ma è un tema che riguarda gli azionisti…